domenica, novembre 28, 2004

about a boy/2

Molti mi trovano simpatico.
Contro la mia volontà! Lo giuro.

giovedì, novembre 25, 2004

Cristiani e "cristianisti"

Eureka!
Ho scoperto perché Chirac è stato tanto ostile al concetto di “radici” cristiane:

“Le radici? Che immagine strana... Perché considerarsi come una pianta? In gergo francese, “piantarsi” vuol dire sbagliarsi, o fare un errore…”
Citiamo e lodiamo l’intervista a Remi Brague

“Quelli che difendono il valore del cristianesimo e il suo ruolo positivo nella storia mi sono di certo più simpatici di quelli che lo negano. Io non intendo certo scoraggiarli. Mi piacerebbe persino che in Francia fossero più numerosi. E questo non perché costoro siano degli “alleati oggettivi”. Ma soltanto perché quello che dicono è vero. Dunque, grazie ai “cristianisti”. Soltanto, io vorrei ricordare loro che il cristianesimo non si interessa a sé stesso. S’interessa a Cristo. E anche Cristo stesso non s’interessa del proprio io: Lui s’interessa a Dio, che chiama in un modo unico, «Padre».”

“Il cristianesimo non ha niente d’occidentale. È venuto da Oriente. I nostri avi sono diventati cristiani. Hanno aderito a una religione che all’inizio era per loro straniera.”
“La civiltà dell’Europa cristiana è stata costruita da gente il cui scopo non era affatto quello di costruire una “civiltà cristiana”. La dobbiamo a persone che credevano in Cristo, non a persone che credevano nel cristianesimo.
Pensate a papa Gregorio Magno. Ciò che lui ha creato – ad esempio il canto gregoriano – ha sfidato i secoli. Ora, lui immaginava che la fine del mondo fosse imminente. E dunque, non ci sarebbe stata alcuna “civilizzazione cristiana”, per mancanza di tempo. Lui voleva soltanto mettere un po’ d’ordine nel mondo, prima di lasciarlo. Come si rassetta la casa prima di partire per le vacanze.
Cristo non è venuto per costruire una civiltà, ma per salvare gli uomini di tutte le civiltà. Quella che si chiama “civiltà cristiana” non è nient’altro che l’insieme degli effetti collaterali che la fede in Cristo ha prodotto sulle civiltà che si trovavano sul suo cammino. Quando si crede alla Sua resurrezione, e alla possibilità della resurrezione di ogni uomo in Lui, si vede tutto in maniera diversa e si agisce di conseguenza, in tutti i campi. Ma serve molto tempo per rendersene conto.”

mercoledì, novembre 24, 2004

sinpatico umorista

A conclusione di una cena con amici, io ordino un tiramisù.
Nel sano spirito della goliardia, la persona di fronte a me, assaggia la mia, già di per sé scarsa, porzione.
Io, non volendo essere meno goliardico, atteggio il viso a dolore cogente per l’irreparabile perdita, ma non scatta nell’altro nessuna reazione divertita, perciò rincaro la dose. Fisso adirato il fraterno interlocutore e sibilo: “io scherzo su tutto ma non sui dolci”, convinto che ciò avrebbe suscitato grande ilarità; invece quello si è sentito gelare.Ed io invece che mi aspetto sempre che i miei interlocutori reagiscano prorompendo in un:
“Ah!ah!Ah! Francesco. Che simpatico umorista!”

martedì, novembre 23, 2004

pacco contropacco e contropaccotto


Sabato 27 novembre 2004, alle ore 11, nella Basilica Vaticana il Santo Padre Giovanni Paolo II presiederà, insieme con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, una Celebrazione Ecumenica per la consegna delle Reliquie dei Santi Gregorio Nazianzeno e Giovanni Crisostomo, Vescovi e Dottori della Chiesa.

L'annuncio della restituzione delle reliquie è stato fatto (ufficiosamente tra settembre e ottobre) dallo stesso Pontefice attraverso una lunga lettera indirizzata al Patriarca ecumenico Bartolomeo. Nella sua lettera il Papa rivolge il suo appello per cercare di giungere all’unione tra la chiesa latino-cattolica e quella bizantino-ortodossa. Il papa sottolinea il significato spirituale del fatto che le reliquie di questi due santi arcivescovi di Costantinopoli, a seguito di varie vicende storiche, si trovano nella basilica vaticana, accanto alla tomba di san Pietro - fondatore della chiesa di Roma - e fratello di sant'Andrea - fondatore della Chiesa di Costantinopoli.

"Secondo l'imperscrutabile disegno di Dio, colui che attrae il bene anche dal male, alcune reliquie dei Padri della Chiesa assieme agli altri santi accanto alla tomba del beato Pietro fratello di Andrea, ricordano a tutti noi l'obbligo della piena comunione per la quale il Divin Maestro pregò!", ha sottolineato Giovanni Paolo II.

La lettera del Papa è importante non solo per il suo tono familiare ma anche per l'uso della lingua greca.
Infatti è la prima volta che scrive in greco dopo la sua elezione papale avvenuta nel 1978 (le sue lettere precedenti erano scritte in francese oppure in inglese. Il Papa ringranzia il Patriarca ecumenico per l'invito;fatto durante la sa visita in vaticano il 29 giugno scorso;a visitare Costantinopoli nel mese di novembre durante la festa di sant'Andrea. "Tuttavia - come egli dice - nonostante il mio ardente desiderio, in questo momento non mi è possibile accettare l'invito; varie circostanze mi costringono di rinviare la gioia di un incontro con lei e la letizia del cuore di pregare insieme a lei nella chiesa cattedrale del Patriarcato ecumenico". Continuando il Papa sottolinea che è felice perché accoglie volentieri la richiesta che gli hanno rivolto: "Ho intenzione di offrirvi come espressione di devozione e di onore le reliquie dei santi patriarchi Giovanni Crisostomo e Gregorio Teologo predecessori della vostra santità in questa sede. Affidiamoci a loro; nel cielo questi santi intercedono dinanzi al trono dell'Altissimo in modo che si affretti quel giorno benedetto nel quale - dopo aver superato gli ultimi disaccordi - potremo di nuovo mangiare insieme dell'Unico Pane e bere dall'Unico Calice, prendendo parte insieme al Santo Banchetto sul quale si continua il misterioso sacrificio della Nuova Alleanza".
Il rito si svolge in tre momenti: la lettura del testo della lettera indirizzata dal Santo Padre al Patriarca Ecumenico di Costantinopoli per la consegna delle reliquie, la consegna stessa delle reliquie da parte del Santo Padre e il ringraziamento del Patriarca.

domenica, novembre 21, 2004

about a boy

Dopo due mesi di frequentazione, Virginia de Leiva sentenzia:
- Tu sei simpatico a tratti.
- e... a tratti?
- e a tratti no!

memento

LEZIONE DOMESTICA SU ADAMO, LE SCIMMIE,L’EVOLUZIONE E L’INVOLUZIONE DI CERTI OMINIDI
di LUIGI AMICONE

(CON LE MIE SCUSE A LANFRANCO!)

Dio, ma perché permetti che si discuta a scuola dei fatti tuoi?
Hai voglia a dire che non c’è antinomia tra evoluzionismo e creazionismo, in quanto il secondo non compromette le ragioni del primo.
La creazione non è un fatto del passato. E’ adesso. Non sei tu che ti fai scorrere il sangue nelle vene. Non sei tu che, proprio in questo momento, ti crei, Gloria. Ebbene: non trovi che sia un grande mistero tutto questo? Come non detto.
“Ma scusa papà, se l’ominide aveva un cervello più piccolo del nostro, come si fa a dire che il peccato originale riguarda anche noi? Adamo ed Eva hanno peccato come uomini o come ominidi?”. No scusa, quella è la meravigliosa storia della creazione…
“Vuoi di re che Adamo non è mai esistito, e Isacco?”.
Ma lascia stare Isacco, quello è uno del popolo ebraico, altro che se non è mai esistito. Adamo, invece, è l’archetipo…
“Arche che?”.
Prendiamola da un’altra parte. Beethoven, figlia mia, nona sinfonia, hai presente?
“Sì, pà ma che c’entra Beethoven?”. C’entra, cavolo. Prova a dare una spiegazione evoluzionistica di come esce fuori una nona da una merdaccia come può essere un uomo, e per di più sordo.
“Merdaccia?”. Sì, cioè vale a dire “poca cosa”. Hai presente quando in quaresima il prete ti mette la cenere in testa e ti dice “polvere sei e polvere tornerai”?. “Sì,vabbé, ma papà cosa c’entra tutto questo con gli ominidi…”.
C’entra nel senso che l’uomo o l’ominide, chiamalo come vuoi, sembrano niente, sembra roba che alla fine finisce ai vermi, merdaccia appunto. “Sembra”, ma non è. E questo tu già un po’ lo capisci perché anche se sei piccola non sei più una scimmietta, cominci a capire che dentro di te ci sono desideri infiniti, e cominci a esprimerli in vario modo, ecco: cominci a domandare… non so se mi segui.
“Ti seguo, pà, ma stavamo parlando di Adamo ed Eva, preistoria e ominidi, che c’entrano Beethoven e le merdacce?”.
Volevo dire che il racconto della Genesi è una poesia.
“Ma allora non è vero?”.
Altro che. E’ verissimo, mica c’è solo la scienza. Prendi la mamma: tu la puoi descrivere misurando l’evoluzione del suo cranio e delle sue ossa, puoi descriverla con una radiografia e con l’analisi del sangue. Bene, questa si chiama analisi scientifica. Ma se tu la mamma la racconti con una poesia non è che dici cose meno vere di lei,anzi, dici una verità che, per quanto approssimativa essa sia, è esistenzialmente e sintiticamente mille volte più importante di quella scientifica.
“Cosa vuoi dire papà, che la preistoria non esiste e che l’evoluzionismo è una teoria?”. Esatto, voglio dire che se mille anni fa l’idea di una preistoria o la teoria di Darwin non esistevano e tra mille anni entrambe le teorie non esisteranno più, quello che c’è dentro la poesia di Leopardi o dentro l’esperienza che fai di cos’è la mamma, c’era ieri, c’è oggi, ci sarà doma- ni, sempre. Si chiama “Essere”, “Mistero”.
Tu devi studiare bene queste cose scientifiche perché Dio ti ha dato il cervello per usarlo e non per buttarlo all’ammasso. Tanto più che la scienza, se tiene presente il Mistero, cioé se è ragionevole e non delirante, ci aiuta a vivere con più agio in questo mondo. Ci aiuta a costruire i frigoriferi, Internet e i razzi che vanno su Marte. Però senza l’esperienza scientifica puoi vivere bene lo stesso, senza un po’ di coscienza dell’Essere o del Mistero diventi una rimbambita. Hai capito, Gloria?
“Vorresti dire che Adamo ed Eva erano sì degli ominidi, ma col cervello come il nostro?”.
Senti, Gloria, magari avevano un cervello più piccolo del nostro, non lo so, magari eravamo tutte scimmie, non lo so. Però 99 sono rimaste scimmie, una no, e quella è il primo uomo, detto poeticamente, Adamo, uno che ha coscienza del Mistero fino a pretendere di farne a meno. E questo è precisamente “peccato”, “un di meno”.
“Eva però era un po’ meno scimmia…”.
Ma che ne so come Dio ha fatto partire l’uomo su questa terra, sono fatti suoi e noi non c’eravamo. La cosa importante è sapere chi sei, dove vai e…
“Ok, ok, ok papà, sono dieci e mezza, domani ho il compito in classe, tranquillo, ho capito tutto, io sono Gloria e vorrei andare a dormire. Posso?”
Ev-vabbé. Buonanotte. E poi dice che vogliono importare in Italia le home schooling americane. Cose da pazzi.

Ferrara/Cacciari

Estraggo, per mia meditazione, dagli interventi del pubblico incontro "Siamo tutti Olandesi" tenutosi il 16 Novembre a Milano.

Dixit Giuliano Ferrara

“Noi dobbiamo porci un problema semplice. Noi non possiamo ricostruire la cristianità per resistere alla sfida islamista, radicale, jihadista; sono tre aggettivi precisi, che uso per distinguerli da islamico. Islamista, radicale, jhadista. La grande lotta che dentro la civiltà islamica”

“La grande battaglia che si è aperta per dare sostanzialmente una nuova identità, che faccia fronte alla modernità che noi rappresentiamo nel mondo islamico, non possiamo fronteggiarla con la denunciata stessa logica identitaria, ricostruendo il programma di Lepanto.

Non possiamo, ma possiamo non fare niente? Possiamo non interrogarci? Possiamo accettare che il famoso politeismo dei valori che la nostra irrinunciabile devozione verso la democrazia, verso le regole della libertà e una relativa libertà dalle regole che ci siamo dati, arrivi fino al punto di scarnificare la nostra identità? Da renderla così evanescente, così leggera, così incapace anche di dialogo, anche di fronteggiare con un dialogo serrato, vero, significativo, in cui tu porti qualcosa della tua identità? Io penso di no.

Non voglio usare parole difficili, complicate ma certo non è roba per cardinali, per vescovi, non è roba solo ed esclusivamente per il magistero pastorale della Chiesa cattolica o delle molte altre Chiese dell’universo interreligioso.
Non è una questione confessionale.”
“Porsi questo problema del significato, del senso. Porsi questo problema eminentemente politico, ma carico di cultura, di un sistema di vita che noi presumiamo di dover difendere – poi i modi di difenderlo, con la guerra o senza la guerra, tutto sommato, dopo l’11 settembre, sono grandi questioni di tattica, questioni integralmente politiche. Ma sul fatto che si debba difenderlo c’è una sostanziale convergenza, in occidente.

Questo sistema di vita che cerchiamo di difendere dobbiamo reinterpretarlo, non nella nostalgia, che è sempre un sentimento regressivo, non nella chiusura del tradizionalismo, forse perfino con un grande sforzo di innovazione. Ma dobbiamo reinterpretarlo, perché se difendere il nostro sistema di vita significa difendere il vuoto, questo vuoto sarà riempito”

“Questo vuoto sarà riempito, e sarà riempito da un altro modo di vita, da un’altra concezione dell’esistenza, da un’altra concezione della trascendenza. Da una ortodossia e da un puritanesimo (il famoso puritanesimo Wahhabi) che sono una minaccia per tutti i valori in cui noi crediamo.”


Respondit filosofum Massimo Cacciari

“ Io ritengo che nella reinterpretazione della democrazia” “debba anche giocare un importante ruolo la reinterpretazione del nostro concetto di tolleranza.”

“Lo penso, l’ho scritto in saggi e in libri, perché il concetto di tolleranza, bisogna esserne consapevoli, si regge sul presupposto (non lo dicevo io, lo diceva Rosmini …) che quello di tolleranza è un concetto estremamente peloso. E’ chiaro che io tollero colui che reputo inferiore a me, perché se io reputo Ferrara uguale a me, come lo reputo, non lo “tollero”: lo ascolto, lo contraddico, mi interessa o non mi interessa quello che dice, ma non lo tollero. Il concetto di tolleranza implica un’inferiorità dell’interlocutore, e la mia pretesa di educarlo alla mia razionalità. Questo è sempre stato storicamente, così si è declinato il concetto,…. Io non credo che questo sia un modo utile o politicamente efficace di agire e di pensare la democrazia, e di agire nei confronti di coloro che al momento non sono affatto democratici.

“Il discorso (…), in apertura alle lezioni di filosofia sulla storia di Hegel, tale e quale.
“Ex occidente lux”: la civiltà nasce ad oriente ma inevitabilmente qui trova la sua casa. Gli altri sono spacciati, e Hegel usa esattamente questa espressione, si tratta di rovine del passato, proprio perché loro non hanno la storia, cioè non hanno elaborato il concetto di storia. Non vi è storia nell’islam: questa è la posizione di Hegel che torna, non a caso, anche in tanti teorici americani, in termini più o meno banali, ma non sempre, anche molto ferrati. Torna questa idea che la diversità essenziale che costituisce la nostra originalità e la nostra superiorità, alla fine, è che noi abbiamo elaborato un concetto di storia, che noi concepiamo tutto, diceva Nietzsche, storicamente.”

“La concezione del divino, di Dio, nel cristianesimo, “ab origine” è assolutamente distinta e assolutamente diversa da quella islamica. Qui è la diversità, cioè la storia di cui noi parliamo, è immanente nel modo in cui la cristianità concepisce, già in epoca evangelica, il divino.
Questa è davvero una differenza teo-logica, dove il termine “logico” va sottolineato. Perché il modo in cui si concepisce il divino, cioè il Deus trinitas, come diceva Agostino, ha in sé la dimensione storica.

Un cristianesimo che non si incarna storicamente e che quindi non assume tutte le contraddizioni e i conflitti, che non si distingua al suo interno, non è concepibile”
“Cioè la storia dell’islam non è una storia teologicamente concepibile. Non è una storia che possa essere in alcun modo riportata a un principio: è contingenza, pura contingenza. Così il musulmano si rapporta alla storia, come a una serie di eventi che, in quanto storici, sono assolutamente contingenti.

Noi invece in ogni evento storico cerchiamo la ragione, il senso, la fenomenologia dello spirito di Hegel appunto, il fenomeno. Ciò che ci appare non è mai contingente, non è mai apparenza, ha una ragione di essere. I fenomeni li dobbiamo sempre salvare da questo punto di vista, nella loro storicità, non in termini ideali, come Platone.

Questa, ripeto, è la differenza fondamentale. L’ho detto e ripetuto, prima e dopo l’11 settembre, dobbiamo saperlo, di fronte ad ogni “abbracciamoci tutti” general generico, che non ha alcun senso se si ragiona seriamente di queste cose, e cioè che la posizione da cui deriva tutta la nostra concezione della storia, cioè del Deus trinitas, è di vedere la storia in Dio. Bisogna comprendere fino in fondo la paradossalità e la scandalosità di questa assunzione: tanta teologia l’ha edulcorata, continua ad edulcorarla”

“La storia in Dio, la morte in Dio: questo per tutto l’islam è bestemmia. E’ bestemmia e qua non troverete nessun membro dell’islam, nessun musulmano che possa pensarla diversamente.”

“Le cose vanno viste alla radice, non sulla schiuma delle onde. Questa è la questione. E se poniamo la questione a questo livello, comprendiamo quanto sia arduo impostare insieme nel nostro rapporto tra cristianità come civiltà che ha nel suo insieme immanente a sé questa categoria, per dirla i termini russi, della umano-divinità, (intesa non nel senso di una facile conciliazione dialettica, ma nel senso proprio del rapporto drammatico tra figura divina e figura storica), e dall’altro la dogmatica islamica di una incomparabilità assoluta tra l’elemento storico condannato alla contingenza e la teologia, e il discorso su Dio comunque esso venga concepito.

Voi capite bene, tra l’altro, come questa concezione sia davvero la responsabile di tutto il discorso tecnico-scientifico. Su quale presupposto si basa il grande exploit della nostra scienza? Ma esattamente su questo.”

“Quindi questa è la grande diversità, ma se ci poniamo da questo punto di vista. Ma se ci poniamo da un punto di vista diverso, più episodico, più superficiale, forse è facile (si fa per dire) trovare anche tatticamente, politicamente, nel senso più banale del termine, vie di comprensione e di riconoscimento.

Se andiamo alla radice della distanza allora il discorso si fa infinitamente più complicato, e così anche l’appello a una evoluzione dell’islam per la quale tutti noi possiamo operare politicamente.
E’ abbastanza semplice comprendere come, attraverso quali vie di azione politica e diplomatica, si potrebbe tentare di vitalizzare e potenziare le componenti che esistevano e che sono state più o meno massacrate dai regimi dittatoriali, autoritari, quasi sempre sostenuti dai regimi occidentali.

Si può porre la questione di come promuovere, potenziare, sostenere tutte quelle voci del mondo islamico che sono contro il fondamentalismo della jihad. Questa impostazione, alla quale politicamente siamo costretti tutti, uomini di buona volontà o meno, a cercare di pensare, e che può dare certamente dei frutti, non tocca questa questione di fondo.

Questa questione di fondo è una questione davvero e radicalmente filosofica, perché qui si pone il problema di una vera relazione con l’altro. E’ possibile una relazione con l’altro non fatto a nostra immagine e somiglianza?

La relazione è possibile anche laddove io colgo nella figura dell’altro qualcosa che mi appare davvero irriducibile a me?

Questo è il grande, serio tema che ci è oggi imposto, e che possiamo non essere in grado di risolvere.
Perché nella storia può essere che una relazione con l’altro non sia risolvibile se non in termini polemici.”

mercoledì, novembre 17, 2004

il coccodrillo come fa?

Un annetto fa, ai tempi in cui andai a vedere Magdalen, già sui mezzi di comunicazione si vociferava maliziosamente che Pedro Almodovar (aia!) stava girando un duro film di denuncia (mamma!!) contro i preti pedofili(Aiuto!!!) .

Il senso era: voi clero-e clericali annessi- che vi stracciate le vesti adesso -ah!ah! Ah!risata- tremate!Che quando arriva Almodovar “so cazzi!” (e non solo metaforicamente).

Io –che se lo dice un giornalista ne avrà ben donde!- mi ero quindi già preparato al peggio, poi ad Agosto ho conosciuto Ignacio In uno stabilimento balneare ho visto un animatore spelacchiato che dovendo, con la sua pianola, rallegrare il pranzo delle allegre vecchiette, spesso si portava dietro, a dargli man forte, i due figlioletti (5 e 14 anni) già ampiamente inseriti nel mondo dello spettacolo!
Il figlio maggiore, ad inizio carriera, partecipò e vinse lo Zecchino d’Oro, con un pezzo che rimane uno tra le più gloriose canzoni della musica contemporanea. Adesso lui fa il doppiatore, e soprattutto di cartoni animati.

Io -infondo, anche a me stà a cuore il futuro della specie- gli ho espresso tutto il mio compiacimento per la ricchezza, la vivacità di quel bagaglio d’ esperienze che sta acquisendo, in questa età nella quale si schiudono le potenzialità; bagaglio che avrà comunque un indubbio valore formativo della sua strutturazione personale. Ovviamente non glielo ho detto con questo lessico: io non molesto i bambini!

Parlottando vengo a sapere che ha appena finito di doppiare La Mala Education; ed io mi ritrovo a pensare ad una fredda sera d’autunno dell’anno prima, mentre esco dal cinema.

-E tu quale personaggio hai doppiato?

-Ignacio.

Io ignoravo che ruolo avesse esattamente Ignacio nella trama ma lo potevo intuire…
Avrei tanto voluto delle anteprime da rivendermi con aria saccente, poi, agli amici, nell’imminenza dell’uscita del film nelle sale, ma trattandosi di minorenne, ho avuto lo scrupolo di aspettare che la natura facesse il suo corso, e il doppiatore cambiasse timbro di voce.

Ripensandoci, poi mi son detto che lo scrupolo di metterlo a disagio -chidendogli di narrare la trama del film- era forse eccessivo. Dopo essere costretto dal genitore, alla veneranda età di 14anni, a subire l’onta di continuare a cantare una canzoncina per bambini,davanti a delle vecchie plaudenti, per lui, doppiare un abuso sessuale, non poteva essere stato troppo imbarazzante.



E dopo quasi un mese di programmazione, sono andato a vedere questo pruriginoso melò. Ho scoperto che “melò” è un modo elegante per definire una commediola patinata che si ispira all’umorismo della serie dei film di Pierino: per la delusione di quelli che diplomaticamente hanno declinato la proposta di una serata al cinema.

Un polverone per nulla (per poco)! Quelli che si sono scandalizzati, non hanno mai visto i b-moves fine anni ’70 con Alvaro Vitali, Bombolo o Renzo Montagnani: “Dove vai se il vizietto non ce l’hai” . L’accostamento non sembri peregrino, visto che La Mala Educacion è ambientata alla fine degli anni settanta, ed accanto ad un travestito Garcia Gael, non avrebbero sfigurato un Lino Banfi e un Alvaro Vitali vestiti da donna, come nella migliore tradizione dell’umorismo boccaccesco italico d’annata.

Pretenzioso assai parlare di “manifesto della morte dell’Occidente”.Il film di Almodovar segna la crisi della cultura occidentale non più di Alvaro Vitali nella magistrale interpretazione di Paolo Roberto Cotechigno; anche se, me ne rendo conto, la sfumatura omosex, può aver messo a disagio gli spettatori che, come me, sono affetti da una, seppur vaga tendenza all’eterosessualità.



Azzeccato l’ingranaggio-su cui Almodovar lavorava da un decennio-, ma quando si scopre dove sta il trucco, la storia si trascina per (pochi) fastidiosi, prosaici minuti: non c’è più ritmo, forse perché non c’è più finzione.

La filosofia di fondo è che ogni uomo è mendacia, i rapporti tra gli uomini nascono da una volontà di sfruttare l’altro, ed in questo, aimè, “l’ingenuo” Ignacio non è da meno del “cattivo”padre Manolo:
"Penso che perdo la fede in questo momento e, non avendo fede, non credo né in Dio né nell'inferno. Se non credo nell'inferno, io non ho paura. E se non ho paura, sono capace di qualsiasi cosa".
Una lucida fenomenologia dell’abbrutimento umano; alla fine quello che ne esce meglio è proprio padre Manolo: non lo scialbo spretato ma quello del film dentro il film, credibile perché frutto di una sceneggiatura, per l'immaginario dello spettatore era perfetto nel ruolo proprio perché era falso.
Per Almodovar, nessuno ha sincere lacrime per il proprio abbrutimento.

Quizaz, quizaz, quizaz...

la marcia Perugia vs Assisi

A seguito delle polemiche sulle radici cristiane dell’Europa, Carlo Ripa di Meana ha riespresso il suo rammarico per la bocciatura di un suo emendamento al primo articolo dello Statuto regionale dell’Umbria.

Quel verde di un marito di Marina, convinto che, almeno, sulle radici cristiane dell’Umbria nessuno avesse nulla da eccepire, aveva presentato un emendamento che cercasse di evidenziare che la storia preunitaria aveva già fatto nascere in Umbria, valori ed ideali che oltre ad avere ancora un indubbio riverbero sui cittadini umbri di oggi, hanno plasmato la storia culturale dell’universo mondo.

Quel “ patrimonio spirituale e culturale, civile e cristiano, caratterizzato dai movimenti benedettino e francescano, che fa dell’Umbria una terra di pace, e di Assisi la capitale del dialogo tra le religioni.”
Si è optato per un anonimo e vago terzo comma che recita:

La Regione ispira la propria azione agli ideali di pace e di integrazione fra i popoli e, nell'ambito delle proprie competenze, favorisce ogni iniziativa volta a promuovere la reciproca conoscenza ed il rapporto fra le diverse culture.

Specificare donde scaturisce questa vocazione agli “ideali di pace e di integrazione”, no, eh?
Peccato!
Anzi –come direbbe Buttiglione- “anche se io pensassi che sia un peccato”…si deve convenire che se voglio l’autonomia regionale, se credo che la mia terra abbia una sua peculiarità, una sua storia, una vocazione! Sarebbe cosa buona e giusta –oltre che intelligente- proclamarle apertamente: Umbria pride! E che cavolo; c’è chi si inventa le radici celtiche! Si chiedeva di citare nello statuto regionale, Assisi -dico ASSISI!-, mica Gallarate.

Probabilmente i consiglieri regionali, di fronte all’emendamento di Ripa di Meana, avranno avuto la sensazione di un testo che si discosta dal linguaggio politichese e burocratese, che informa sciattamente ogni documento che vanti rilevanza istituzionale, ma ciò nulla toglie alla sintetica e al contempo ottima analisi esposta nel suddetto emendamento.

Certo che l’Umbria non è solo San Francesco e San Benedetto; ci sarebbe pure Santa Chiara, Santa Rita da Cascia, Santa Chiara da Montefalco, Santa Veronica Giuliani, (il beato) Iacopone da Todi e un altro centinaio di santi e beati; ma l’intento non era cattolicizzare lo statuto inserendovi una devota litania dei santi patroni, ma esaltare quei MOVIMENTI ideali e culturali di rilevanza mondiale sorti in seno alla storia cristiana dell’Umbria.

Molte regioni hanno preferito tagliare corto partendo dal Risorgimento, o (ancora più giustamente e sobriamente) direttamente dalla Resistenza su cui si fonda la carta costituzionale, ma nel caso dell’Umbria, credo che il citare Francesco d’Assisi non poteva da nessuno venire etichettato come deriva clericale.

La tesi secondo cui il cristianesimo non è l’unica religione che ha plasmato l’identità europea, nel caso dell’Umbria è palesemente insostenibile. Allora perché non scriverlo? E scriverlo dove si parla degli ideali e non dove, in un altro articolo, si parla della ‘preservazione’del “patrimonio spirituale” “civile e religioso”, facendo così del patrimonio spirituale roba da ProLoco, utile agli introiti del settore turistico alla stregua del settore “norcinerie”.E mi si conceda di notare che anche quando il fatto religioso viene “musealizzato”, mon si ha nemmeno allora la libertà intellettuale di specificare che quel patrimonio religioso, che tanto hanno a cuore, è cristiano (e cattolicissimo).

Sono certo che gli estensori dello statuto hanno considerato lapalissiana, e quindi superflua, tale menzione.
Bontà loro, democraticamente e laicamente, lasciano al cittadino la libertà di costruirsi un bagaglio di conoscenze storico-critiche che consentano una adeguata lettura dell’incipit dello statuto, che produca, nel procedimento ermeneutica, il recupero dei sottaciuti riferimenti. Complimenti: grazie per la fiducia!


Nello statuto dell’Emilia Romagna si dice che essa “si fonda sui valori della Resistenza al nazismo e al fascismo…”, mi colpisce che la giunta regionale in questo caso abbia voluto specificare “al nazismo e al fascismo”non ritenendo che fosse ormai più lapalissiano nominare‘La’ Resistenza tout court; manifestando in tal modo –a differenza degli ottimisti umbri- scarsa fiducia nelle capacità ermeneutiche del proprio elettorato.Forse che, avranno avuto paura che, di primo acchito, il pensiero corresse “ai valori della resistenza irachena”? Ipotesi da non scartare.


Leggo che è ancora in via di approvazione lo statuto della regione Marche, la quale “si ispira al patrimonio storico del Risorgimento, ai valori ideali e politici della Repubblica nata dalla Resistenza”(in questo caso tout court) “alla tradizione civile, culturale e comunitaria delle popolazioni marchigiane”.
Mentre leggevo mi son chiesto: quale apporto civile e culturale e -perché no?- religioso hanno dato le Marche alla storia del Risorgimento?
Ci dev’essere stato, visto che lo citano espressamente, in quel periodo storico un marchigiano doc che ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’ottocento, no?

Ah! Ho capito! Volevano riferirsi a PIO IX.

giovedì, novembre 11, 2004

FENOMENOLOGIA della strega catodica

Gli opinionisti hanno cercato di far ammettere a Buttiglione che se è stato cacciato a pedate dalla Commissione Europea, non è perché cattolico “intransigente” (ma che vuol dire! O si è o non si è cattolici) , ma perché inadeguato nel ruolo di commissario alle giustizia.
Buttiglione non si è difeso minimamente ma ha sostenuto che il parlamento europeo, secondo la costituzione fresca di firma, non ha l’autorità di sfiduciare chicchessia.
Chiunque altro, politico o no, si sarebbe adontato -e di brutto!- a sentirsi apostrofato come incapace, lui rimane il “bambacione” di sempre: dando così l’impressione di avallare lui per primo la propria inettitudine.

A Strasburgo, di fronte a chi gli diceva: ‘Lei è un cretino! S’informi!’; lui controbatteva che il Parlamento Europeo, a priori non possiede le categorie trascendentali atte a fondare valutazioni valoriali autentiche.
Meraviglioso! Un uomo inabile all’arruolamento politico!

Un filosofo che si preoccupa di battersi per il rispetto delle kantiane categorie del ragionamento! Per questo, contro i falsi sillogismi circolati nell’ultimo mese, io son convinto che il mite Rocco, in virtù della sua sincera adesione alla democrazia (intesa come regolamentazione democraticamente tessuta), si sarebbe impegnato coscienziosamente per il rispetto di quei principi normativi approvati dall’UE.

Quando fu nominato, non mi parve di vederlo fare salti di gioia, così come dopo essere stato “segato” a tutti ci è parso che la cosa non gli sia molto dispiaciuta: Buttiglione è un serissimo caso di mancanza di empatia.

La sua inadeguatezza non è intellettuale ma fisica!

Con le sue spalle strette e cascanti, secco con la “panza”, con la sua andatura dinoccolata, con la voce di Paperino con il singhiozzo, Buttiglione era (e rimane) fisicamente inadeguato.
La sua assoluta carenza di sex appeal, congiunta alla sua professione di fede cattolica fa di lui l’icona del perdente.

Buttiglione nell’immaginario collettivo (non solo in Italia ma a questo punto a livello europeo!) è il compagno delle medie, quello strano; quello da prendere in giro per quello che dice, per il fatto stesso che lo dice uno con l’aria del pirla.

Adesso tutto sembrerebbe covare sotto la cenere delle infervorate e devote(?) polemiche. Quando quell’ingenuo -idealista- bambinone metterà su un movimento per la difesa della libertà d’essere cattolici, vorrei tanto che si avesse l’onestà intellettuale di non accusarlo d’essere un barbablù (!) quando invece lo si considera un barbapapà.

mercoledì, novembre 10, 2004

la strega catodica

Non sono ancora riuscito a vedere una puntata della nuova serie di “Scrubs”.
Triste, no?

Sabato scorso, mi ero impuntato di vederlo fino alla feccia, ma non ho resistito a fare un po’ di zapping, e mi sono trovato a vedere quell’“Infedele” di Gad Lerner: ospite l’onorevole Buttiglione, reduce da una ospitata da Fabio Fazio(sissimo!).Intendiamoci: Fazio lo trovo brillante, e capisco che non si può pretendere da lui che costantemente esibisca il mellifluo ossequio che ostenta con Gorbaciov.

Lo ammetto: Buttiglione non è stato “programmato” per i ritmi televisivi; ma molti che lo invitano nelle loro trasmissioni architettano le interviste, in modo da farlo sembrare ridicolo; ridicolo lui, per mostrare la ridicolaggine delle sue convinzioni; ridicolo e retrivo il suo modo di pensare (e stiamo parlando di un filosofo!). Ridicole e intolleranti, le sue convinzioni, per mostrare quanto è retriva ed intollerante la Chiesa Cattolica.

A nessuno importa sapere cosa pensi Buttiglione. Per la vulgata, Buttiglione non ha un pensiero autonomo. Buttiglione ripete a pappagallo quello che ha sentito dire dal pulpito, alla messa parrocchiale; o da Ruini, all’ultima prolusione alla CEI; o che ha letto nell’ultima enciclica papale: tutti siam sicuri che, scemotto com’è, perde il suo tempo ad aggiornarsi sulle ultime direttive oscurantiste del Vaticano; la Santa Sede, come all’Unione Europea ben sanno, è l’istituzione più malvagia dell’universo, come dimostra la valanga di risoluzioni antivaticane votate dal parlamento di Strasburgo.

Lo ammetto serenamente: il buon Rocco non è tipo che ispira simpatia; è antropologicamente buffo, e tanto basta ad azzerare ai nostri occhi la sua statura intellettuale. Ci troviamo in una situazione simile a quella degli Austrias ( FelipeII, FelipeIII, FelipeIV) che tenevano i nani a corte per compiacersi della propria regale superiorità: anche noi (laici europei) punzecchiamo l’illiberale Rocco per sentirci evoluti e moderni!

Io non ritengo che Buttiglione sia illiberale ma capisco che è bello crederlo.

Fa comodo crederci e collegare l’omicidio di un omosessuale, avvenuto giorni fa in Inghilterra, ad opera di un gruppo di minorenni, con le intolleranti dichiarazioni di Buttiglione. Ah! Questi giovani tesserati inglesi dell’UDC!

Da parte mia temo che nonostante la sua devozione al cattolicesimo sia un moderato, perfino ossequiante i valori della democrazia.
Il buon filosofo si è chiesto, ed ha chiesto, perché altri cattolici che fanno politica (ed a livello altissimo!), non sono stati sottoposti a simili indagini inquisitorie: io tento una risposta.
Il “peccato” di Buttiglione è quello di non modellarsi ad altri cattolicissimi leader che continuano a sperticarsi in ossequi alla Santa Sede, avendo però,avuto prima il “buon gusto” di divorziare dalla moglie e andare a convivere con Azzurra.

martedì, novembre 09, 2004

ite missa est!

Vedo Virginia de Leiva,vestita, pettinata e (soprattutto)profumata,davanti al portone della chiesa. Guarda l'orologio,le16:30.
-Dov'eri?
-beh, oggi è festa e le monache mi hanno offerto un pezzo di torta!
Che ci fai qui di pomeriggio? La squadro sornione.
Che eleganza!E'bello da parte tua essere venuta per la festa.
-Fanno una festa?!
-e' la festa del monastero...
-Perchè una messa tu la chiami festa?
-A Virgì! Che pretendi da delle monache!
-No,è che sono passata a dare un'occhiata... e comunque mi sono vestita così perchè ho un appuntamento!
-Ah!Ah! Ed io che speravo ti fossi redenta! -rispondo simpaticamente, attento a schivare eventuali temibilissime affilate punte di calzature femminili-
Comunque poi c'è il rinfresco in refettorio, e visto che proprio oggi è l'unico giorno all'anno in cui è aperto al pubblico... ti converrebbe rimanere!


19:30
Stringo la mano ad una soddisfatta madre badessa,ed esco da un ancora affollato refettorio.
Messo piede fuori dalla chiesa Virginia si stringe infreddolita nel suo giubbetto di pelle.Dato che lei odia andare al cinema, le dico:
-Cosa meglio di concludere la serata andando al cinema, per coronare degnamente la santificazione delle feste?
Lei capisce immediatamente!L'idea la diverte, e mi sorride complice; guarda l'ora
-Dobbiamo sbigarci,pero per lo spettacolo delle otto e mezza.
-Aspetta che guardo sul giornale!... Ma tu non avevi una cena con quel tipo?
-Oooh, non fa niente! Aspetterà.
- Allora vediamo dove lo danno...La... mala... educacion...ecco! Trovato!

sabato, novembre 06, 2004

genetically correct 2

“Vita e persona non coincidono necessariamente. L’uomo ha in comune con le piante e con gli animali la vita: vegetativa nel primo caso, sensitiva nel secondo. Tra la vita delle piante e degli animali e quella dell’uomo c’è però un abisso o, se si vuole un salto di qualità.”

“La parola ‘persona’ significa, secondo San Tommaso d’Aquino, quanto c’è di più nobile in tutto l’universo e indica la dignità dell’individuo di natura razionale (Summa Teologica, I, q.29, a.3) , che in quanto tale, è libero di scegliere il suo ultimo fine e ha la piena responsabilità delle sue azioni. La ragione è in questo senso, con la volontà, il fondamento della dignità della persona umana.
Fra le creature terrene, la dignità di persona spetta dunque solo all’uomo, perché solo l’uomo è un individuo razionale;”

Leggendo (Roberto de Mattei sul Foglio di oggi) mi dicevo: niente di più evidente; nulla di più logico, nulla di più razionale; semplicemente medievale!

Alcuni pensatori moderni( postmoderni) però, tendono a separare il concetto di “persona” -cioè depositario dei diritti umani- dall’ appartenenza tout court alla specie homo sapiens!
Ciò che farebbe una persona sarebbe l’avere coscienza di sé e dei propri “desideri” e scopi che muovono l’esistenza: quindi un topo che cerca il modo di mangiare il formaggio- lui si che lo sa cosa vuole dalla vita!- schivando la trappola, è più persona (ergo avrebbe più diritti civili) di me umano si, ma che ha difficoltà a trovare uno scopo nella propria vita.

Aiuto! Ma dove li fabbricano questi “cervelli”: in laboratorio? Ovviamente il modificare il significato-filosofico!- dei termini del discorso è funzionale ad allargare il campo alla sperimentazione scientifica, eliminando, così alla radice, tutta una montagna di pallose diatribe etiche e deontologiche!

Quando lo dico molti si stracciano le vesti, ma scienza e ragione sono distinte e separate! L’uomo ragiona; la scienza è una particolare applicazione dell’intelletto per dare una risposta, nel concreto, ad alcune limitate problematiche umane. Diceva Wittgestein (quello vero!): ‘Noi sentiamo che persino nell’ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto una risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati’.

“Cadono nel tranello quei cattolici che pretendono di contrapporre all’avversario argomenti “scientifici” invece che argomenti “filosofici”, ammettendo con ciò stesso il primato della scienza sulla filosofia.
L’embrione infatti non è uomo solo perché l’uovo fertilizzato contiene un nuovo programma di vita, delineato e iscritto in modo stabile nel menoma dello zigote. Ciò è vero, ma non dimostra ancora che esso sia persona. L’embrione è persona perché il suo principio vitale è il medesimo dell’uomo adulto. Ma questo principio vitale -ecco il punto- non è di natura biologica, ma spirituale.”

“Certo, l’esame biologico ridimostrerà che l’embrione non è un mero grumo di cellule, ma è un individuo della specie umana, identificato dal proprio patrimonio genetico, che contiene progetto di vita unico e irripetibile. L’embrione và però considerato come uomo per un motivo filosofico, non biologico. L’umanità dell’embrione è infatti un’evidenza razionale, che parte dall’esame del dato biologico ma poi si eleva all’esame filosofico sulla base della costatazione che un individuo della specie umana può vivere solo perché possiede un principio vitale spirituale che lo costituisce come una “sostanza individuale di natura razionale”, ossia una persona.”

genetically correct

Sul Foglio del 2 Novembre qualcuno ha osato scrivere che:
Il nato da fecondazione in vitro in realtà è un sopravvissuto a mille, invasive, manipolazioni

La fecondazione artificiale, per comune ammissione, porta con sé circa l’85 per cento degli insuccessi, il 50 per cento di tagli cesarei, un’alta mortalità embrionale, il 22 per cento di aborti spontanei, il 5 per cento di gravidanze tubariche, il 27 per cento di gravidanze multiple (con relative morti o malformazioni), il 29 per cento di parti pre-termine, il 36 per cento di nati con basso peso, rischi di anomalie genetiche o malattie degenerative, oltre a una preoccupante mortalità e morbilità neonatale (Serra e Flamigni).

Decine di storie raccontate sui giornali testimoniano la verità di queste conclusioni, alle quali sarebbe possibile giungere con il semplice ragionamento, analizzando le tecniche della fecondazione in vitro (Fiv).
Anzitutto, i gameti femminili (oociti) sono prodotti in alto numero, non per via naturale, ma con iperstimolazione ovarica, utilizzando “una vasta gamma di farmaci” (Flamigni), in particolare ormoni. Ne consegue, oltre ai danni per la donna, che già il 40-50 per cento degli oociti così ottenuti abbiano il cariotipo (patrimonio cromosomico) alterato.
Il seme maschile non può essere usato così come è, e va quindi “purificato” (centrifugazioni). Gli oociti vengono poi (molto spesso) sottoposti a manipolazioni invasive che consentano allo spermatozoo di penetrare: Pdz (parziale dissezione della membrana pellucida dell’oocita, tramite laser o sostanze chimiche); Suzi (iniezione dello spermatozoo sotto la zona pellucida); Icsi (iniezione dello spermatozoo tramite siringa).
Cosa significa tutto ciò? Significa che le membrane dell’oocita avrebbero il compito, in natura, di selezionare, tra milioni, lo spermatozoo più vitale, migliore, più sano, facendo penetrare solo lui ed escludendo gli altri; invece con tali tecniche, essendo la mobilità e la sanità dello spermatozoo scarsa, se ne determina dall’esterno la penetrazione, ferendo la membrana ed eliminandone la funzione naturale di barriera. Con l’Icsi, inoltre, vi è un intervento ancora più intrusivo, perché uno spermatozoo a caso, non selezionato (non è possibile farlo), probabile portatore di anomalie cromosomiche, viene iniettato con un microago nell’ovulo, compiendo un’operazione traumatica di cui non si conoscono ancora gli effetti, eccetto i più intuibili: “Il rischio che i bambini siano sterili come il padre” (Testart); il rischio “di malattie degenerative riguardanti il sistema nervoso o i muscoli” (Flamigni).

Il “colloquio” ormonale con la madre

I gameti vengono poi deposti nella provetta, mezzo di coltura che ha il compito di riprodurre la tuba: il problema è che si tratta di una riproduzione tanto incerta da variare col variare dei medici e degli anni (Flamigni), accusata di “provocare un cambiamento nell’espressione dei geni”. Per questo molti embrioni coltivati in vitro muoiono precocemente. Nei mezzi di coltura inoltre “il metabolismo dell’embrione e il suo sviluppo risultano notevolmente rallentati” (Carbone).
Salta, infine, il cosiddetto “colloquio crociato”, il continuo scambio di messaggi ormonali con cui l’embrione e la mamma comunicano tra loro, e attraverso cui avviene la produzione da ambedue le parti di proteine necessarie al regolare sviluppo dell’embrione fino all’impianto. A questo punto gli embrioni sopravvissuti, se non necessitano di un’ulteriore manipolazione (con annesse controindicazioni) che faciliti l’annidamento, possono essere impiantati in utero (avendo saltato il naturale passaggio in tuba). Occorre però più di un embrione, per avere qualche possibilità di successo. Perché? Lo abbiamo visto: oociti con cariotipo alterato, seme maschile non selezionato dalla natura, manipolazioni invasive, colloquio crociato assente, mucosa dell’endometrio uterino che non ha potuto svilupparsi in sincronia con l’embrione, metabolismo rallentato…

Sintetizzando: la “ridotta vitalità dell’embrione e la scarsa recettività dell’utero” (Carbone) determineranno, spesso, il non attecchimento, aborti spontanei, mortalità perinatale e neonatale, sviluppo anomalo. Nel 15 per cento circa dei casi nascerà un bambino, quasi un “sopravvissuto”: con quali conseguenze fisiche e psicologiche? Alle difficoltà elencate, si aggiungano una serie di variabili, quali gli eventuali errori del medico nel dosaggio degli ormoni, nel tempo scelto per il prelievo degli ovociti, nelle manipolazioni, nell’evitare sbalzi di temperatura nella fase di transfer degli embrioni…
Va infine ricordato che la crioconservazione degli embrioni aggiungerebbe ulteriori fattori di rischio, in quanto nella fase di scongelamento circa il 30 per cento muore, mentre i rimanenti, destinati all’impianto, presentano, come è ovvio, perdita di vitalità e cellule danneggiate (fonti: G.M. Carbone, “La fecondazione extracorporea”, Esd; C. Flamigni, “La procreazione assistita”, Il Mulino; A. Serra, “L’uomo-embrione”, Cantagalli).
Francesco Agnoli

venerdì, novembre 05, 2004

idea russa


Ho sentito più volte dire a Natasha Stefanenko - ovviamente dire in televisione- che in l’insalata russa, in Russia la chiamano insalata italiana.
Quando l’altra sera, ho cercato di sfoggiare la mia saccenteria ad una cena cui partecipava una ragazza russa, la bionda ha negato decisamente. Forse, come qualcuno ha ipotizzato, lei vive alla “periferia dell’impero”(russo), e non sa cosa cucinano i moscoviti, ma il Baltico non penso sia molto periferico!
D’ora in poi sarò costretto ad essere più diffidente nei confronti della Stefanenko.
Mi dispiace Natasha!

Ma torniamo a russe a noi contemporanee.
Per il poco che ho frequentato cotal “Perla del Baltico”, mi sono convinto che: l’“umorismo slavo” è ciò che“antropologicamente” rende diversi i russi. Dicono delle totali freddure, aspettandosi una reazione divertita: probabilmente per loro, la scena più comica della cinematografia mondiale, è la “mitica” carrozzina di un neonato che precipita giù da una scalinata.

Lei mi ha trovato simpatico, nonostante io non abbia fatto molto per esserlo; per meglio dire: quando “faccio il simpatico” solitamente riesco a creare un gelido baratro di incomprensioni e risentimenti. Per lei le mie acide battute andavano liscie come il ghiaccio, anzi come la vodka senza ghiaccio.
Domenica scorsa ho ricevuto il grazioso incarico di accompagnarla a messa; nella mia veste di cicerone, passando presso l’isola tiberina ho indicato la sinagoga; lei guarda la sinagoga e poi guarda me; indica la sinagoga e poi, sorridendo beatamente, indica verso di me: delizioso humor russo!
Io ho riso di gusto!
Il mio desiderio inconfessabile è quello di farmi crescere i boccoli da ebreo ortodosso.
Nei giorni successivi, ha riaffermato di riconoscere la mia anima yiddysh.

Ho cercato in lei una risposta ad una mia stramba teoria, ovvero: quando Reagan raccontava le barzellette a Gorbaciov, il leader sovietico non batteva ciglio, da ciò evinco che il russo tende a non manifestare la proria ilarità.
“Ma quando un russo fa una battuta divertente, se i suoi interlocutori ridono di gusto, lui s’offende?”
Gli italiani al tavolo hanno avuto serie difficoltà a capire il senso paradossale della domanda. Lei capisce e, abbozzando un sorriso mi stringe la mano.
Ogni volta che, volendo essere spiritoso, dicevo una cretinata, la bionda fanciulla dell’est, mi stringeva la mano; da ciò posso farmi sorgere il ragionevole dubbio che:
quando negli incontri bilaterali itali-russi, dopo che Berlusconi fa una dichiarazione alla stampa, Putin sorridendo gli stringe la mano… beh! Forse …

Delle strane motivazioni che spingono un russo a stringerti la mano, ne ho parlato il giorno dopo con Virginia de Leiva. Lei, come suo solito non si è scomposta per niente, dicendo che non ci trova nulla di strano e che anzi, dalle sue parti,in Abruzzo, è un atteggiamento consueto stringere la mano a qualcuno per manifestargli il proprio muto e totale dissenso.
Ciò conferma un’altra mia teoria socio-politica: l’Abruzzo è un mondo a sé. Dovrebbe essere una regione a statuto speciale, meglio ancora: un voivodato.

giovedì, novembre 04, 2004

revisionismo

Ieri ho fatto una scoperta.Io sono un cretino.
Scoperta che ha modificato la mia interpretazione della storia: Re di Puglia si trova in Friuli Venezia Giulia.
Ho sempre creduto che il sacrario militare di Re di Puglia, si trovasse in Puglia.

Eh, si: alle volte sono così ingenuo! Ed alle volte ho delle enormi lacune in geografia!
Un esame di storia contemporanea con tanto di corso monografico sul 1°conflitto mondiale, non mi ha minimamente fatto mai balenare il dubbio che Re di Puglia fosse nelle vicinanze di Gorizia.

Certo: anch’io mi ero posto il problema del perché seppellire così lontano dall’Isonzo e dalla Bainsizza, i militi della prima guerra mondiale.La domanda me l’ero posta una dodicina d’anni fa, accantonando per più di due lustri l’argomento “cimiteri militari”.
Mi ero risposto che fosse stato un atto di riguardo verso i congiunti dei militi meridionali.
Immaginate le povere madri calabresi che per portare un fiore sulla tomba del proprio figlio morto sul Carso, avrebbero dovuto attraversare l’Italia intera. Perché non trasportarli in Puglia?
Per me Re di Puglia poteva presumibilmente trovarsi nei pressi di Margherita di Savoia!

martedì, novembre 02, 2004

Homo Poeticus


En esta isla no es amor
en esta isla no es amor
perchè io amo mangiare.
Perchè io amo mangiare :
e qui cibo non c’è ne!

En esta isla no es amor
en esta isla no es amor
perchè io amo dormire.
Perché io amo dormire:
qui dormire non si può!

Adesso mi sento un po’ solo
mi mangio un nocciolo
che me fa morir!
Allora ci vuole una flebo
é meglio che non bevo,
perché mi fa svenir!

Allora lo porto io l’amor,
allora lo porto io l’amor
en esta isla solitaria
perché senza amore
vivère non si può!

lunedì, novembre 01, 2004

santi numi!

Andando alla ricerca di notizie sulla Roma dell’Ottocento, mi sono piacevolmente imbattuto in un polemico scritto protestante, delizioso nella descrizione e nella riprovazione dei costumi della Roma ecclesiastica.
Tra le altre cose si descrive un tipico Santo della Roma papalina:

Il santo contemporaneo, che fosse in maggior grido, era l’abate don Vincenzo Pallotti, chiamato comunemente 1’ abate Pallotta.

Era un uomo di statura piccolissimo, vestiva l’abito ecclesiastico con una semplicità piuttosto affettata, la sua casa era un santuario. Nella prima camera vi era una statua della Madonna in cera di grandezza naturale, ritta in piedi dentro un’urna di cristallo, una lampada era sempre accesa dinanzi ad essa.
In una seconda camera vi era un gran crocifisso alto quanto la parete con la via crucis all’ intorno.
La terza camera era piuttosto grande, e le pareti erano tutte ricoperte di libri ascetici e teologici perfettamente inutili per lui, perchè diceva non aver tempo da perdere nel leggere.In mezzo di quella camera vi era un gran crocifisso messo in terra, che tutti quelli che entravano dovevano baciarlo.
Finalmente vi era un camerino dove egli si teneva per confessare. In esso vi era il Monte Calvario con la scena della crocifissione tutta in rilievo, poi vi era un piccolo canapè tessuto di paglia ordinaria. Nella sua casa non vi era cucina, perchè per lui perfettamente inutile; egli non mangiava che poco pane, un pezzo di formaggio nei giorni di grasso, e qualche frutto secco nei giorni di magro; la sua bevanda non era che acqua semplice.

Il suo padre era un ricco pizzicagnolo. Divenuto vecchio, vedendo il figlio così santo, confessò al figlio di avere, come il solito, rubato nel peso agli avventori, e domandò al figlio come rimediare a questo fatto. Il figlio che era ignorante, ma di buona fede, non aveva adottata la morale dei preti di restituire alla Chiesa quello che si è rubato ai laici; d’ altronde è impossibile trovare tutti i derubati per fare la restituzione. Allora l’abate Pallotta ordinò al padre di dare da quel1’ ora innanzi tre once di più a libbra a tutti coloro che andavano a spendere. Il buon vecchio così fece; ma il pubblico essendosene avveduto, era tale l’affluenza degli avventori nella sua bottega, che dalla mattina alla sera era sempre piena. La cosa sarebbe finita con l’intiero fallimento del vecchio; ma gli altri due figli che erano nella bottega, che non dividevano per nulla le opinioni del fratello, scacciarono il padre, e così rimisero le cose come prima.

L’ abate Pallotta godeva una grande influenza in Roma, egli otteneva tutto quel che voleva, avea fondato due case di rifugio per le povere ragazze abbandonate, e mandava tutte le sere alcuni de’ suoi discepoli nelle vie più frequentate di Roma a cercar coteste ragazze, e persuaderle di entrare nei suoi rifugi; in questo modo ne manteneva più di duecento. Egli aveva stabilito una congregazione di preti chiamata l’Apostolato cattolico(…)

L’abate Pallotta era un fanatico, ma lo era in buona fede. Egli non si serviva della sua santità per arricchire sè od altri; egli era umile, ed era notte e giorno occupato a predicare, confessare ed assistere i malati. Egli morì nel 1849, nei tempi di grandi sconvolgimenti in Roma; egli fu sempre eguale a sè stesso, continuò nel suo tenore di vita senza intrigarsi per nulla nelle cose politiche; a tutti coloro che gli domandavano cosa egli pensasse su quelle cose, rispondeva che bisognava pregare e pregar molto, affinché Dio dirigesse tutto alla sua gloria.
Mentre il popolo romano dava la caccia ai preti, 1’ abate Pallotta era da tutti riverito e rispettato.

Ed ecco l’incontro ecumenicamente encomiabile tra don Pallotti e l’autore del libro anticattolico, all’epoca seminarista passato alla riforma grazie alla propaganda valdese.

L’ abate Pallotta è un prete che gode in Roma fama di grande santità. Piccolissimo di statura, macilente nel viso, gracile nella persona, calvo nella testa, coperto di un abito di panno grossolano, legato al fianco con una cintura della stessa stoffa, affetta 1’ aria di uno di quei santi che si veggono dipinti sugli altari. Egli gode in Roma tutta la stima e la venerazione specialmente del popolo basso.

Quest’uomo è il confessore ordinario dei prigionieri dell’ Inquisizione, ed era stato mandato da me per convertirmi. Appena entrato nella mia prigione, trasse da una delle vaste saccoccie del suo abito un Crocifisso di ottone, un libro, ed una stola violacea; poscia trasse da una manica del suo abito un’ immagine della Vergine in basso rilievo sul rame: adattò il Crocifisso sulla tavola poggiandolo al muro in modo che restasse ritto, e pose ai piedi di esso la immagine della Vergine, si pose al collo la stola e si prostrò avanti a quelle immagini a pregare.
Dopo alcuni minuti di preghiera, si assise, e m’ invitò ad inginocchiarmi ai suoi piedi per fare la mia confessione. Io risposi che Dio solo rimette i peccati, e che la mia confessione l’ aveva fatta a Dio, la faceva ogni giorno a Dio, e perciò non poteva farla ad un uomo; tanto meno a lui che non conosceva punto, e che sapea di certo non avergli mai fatta alcuna ingiuria per cui dovessi domandargliene perdono.
Mentre io parlava così, il povero abate si faceva segni di croce, si levò da sedere tutto spaventato, ed allontanandosi da me, mi disse che io era posseduto dal demonio, e che voleva esorcizzarmi (, ed afferrato il libro degli esorcismi si accingeva a farlo, ma io, levandogli il libro dalle mani, gli dissi che i posseduti dal demonio sono coloro che perseguitano così barbaramente gl’ innocenti, e quindi se avea voglia di esorcizzare qualcuno, andasse ad esorcizzare i Padri Inquisitori e il mio carceriere.
Queste parole fecero su di lui l’effetto della scossa elettrica. Cadde genuflesso innanzi a me, trasse di tasca una disciplina di ferro, e, movendo non so quale ordigno, si aprì il suo abito dietro le spalle che rimasero nude, in quello stato incominciò con quanta forza aveva a disciplinarsi gridando: "Signore, misericordia".

(L’ abate Pallotta era un missionario, ed i Missionari usano ancora, in Roma ed in qualche altro paese, di darsi la disciplina per muovere il popolo al ravvedimento. L’ abate Pallotta, uomo di buona fede, se la dava davvero; ma in generale la disciplina dei Missionari è un atto di commedia, nè più nè meno…
Per tornare all’abate Pallotta, egli avea sempre una disciplina in tasca; ma la sua disciplina non era per ostentazione, era piccola, ma le lamine di ferro erano taglienti, e fra una lamina e 1’ altra in luogo di esservi un anello, vi era una stella di ferro a più punte ben aguzze. Quando si disciplinava, tirava un cordoncino avanti sul petto che apriva la sottana in due dietro le spalle, e il sangue scorreva realmente allorchè si disciplinava. Egli non si faceva mai la disciplina in pubblico ma solo quando si trattava della conversione di qualche peccatore ostinato).

Quest’ azione mi scosse fortemente, non sapea cosa pensare di quell’ uomo. Pochi istanti passarono in quello stupore; ma, quando vidi le sue spalle insanguinate, mi scossi, mi gettai sopra lui, e gli strappai violentemente la disciplina di mano. Avrei desiderato di avere con me il sig. Pasquali, affinchè, col suo sangue freddo e con la sua conoscenza biblica, avesse fatto conoscere a quell’ uomo il suo fanatismo religioso: ma egli levatosi in piedi mi disse in tono amorevole: "Figlio mio, voi che temete tanto pochi colpi di disciplina, cosa farete nei tormenti indescrivibili dell’ inferno, nei quali fra poco cadrete, se ricusate il perdono che oggi Iddio vi offre nella sua misericordia?"

Qui nacque fra noi una discussione: io diceva che non solo non ricusava il perdono di Dio, ma che lo avea di già ricevuto nella sua misericordia. "Eresia, ostinazione, diceva il prete: il perdono di Dio non si riceve che per nostro mezzo."
Non ti starò qui a rapportare quella discussione che durò per circa mezz’ ora, solo ti dirò che a tutti i passi del Vangelo che io citava per dimostrare che il perdono dei peccati ci viene gratuitamente da Dio alla sola condizione di credere in Gesù Cristo, egli rispondeva baciando l’immagine della Vergine, e pregandola che mi liberasse dal demonio dell’eresia.
Voleva che anch’ io baciassi quell’ immagine e mi prostrassi con lui solo per dire un’ Ave Maria, promettendomi che la Vergine avrebbe operata la mia conversione.
Io mi ricusai positivamente, e recitai con solennità le parole del secondo comandamento di Dio. Allora l’abate Pallotta rimise in tasca le sue immagini, e uscì dalla prigione dicendo:
"Questo genere di demoni non si scaccia che con l’orazione e col digiuno!"