mercoledì, marzo 30, 2005

Adversus Haereses V

<< Una videocamera installata nel sepolcro non avrebbe ripreso nulla>>.

Così scrive il teologo ed esegeta cattolico Hans Kessler nel suo libro La Risurrezione di Gesù Cristo (Brescia) descrivendo il momento più misterioso e importante della fede cristiana, quello della resurrezione di Gesù, l’evento sul quale si fonda la credenza dei seguaci di Cristo, senza il quale la religione più diffusa nel mondo non avrebbe alcun senso.
[…]
Una videocamera, installata in un anfratto di pietra, puntata su quella lastra funeraria dov’era stato deposto il crocifisso, non avrebbe dunque ripreso nulla, ipotizza il teologo. Nessuna immagine o meglio l’immagine fissa di un morto avvolto nel sudario. Il biblista cattolico, che pure crede alla “realtà” della resurrezione, ha la preoccupazione di sottolineare, in questo modo e con questo paradossale esempio, che bisogna smetterla di insistere, come faceva certa vecchia apologetica, sulla “storicità” e sulla “fisicità” dell’evento pasquale, perché quell’evento – anche per chi crede – sarebbe avvenuto in una dimensione che nulla può avere a che fare con la nostra e che dunque nessuna telecamera avrebbe potuto mai fissare.

La << Resurrezione di Gesù >>, scrive lo studioso Giuseppe Barbaglio, << affermata come un evento reale, non è situata nel tempo e nello spazio >>.

Se la nostra ipotetica telecamera non ha ripreso nulla, spiega ancora Kessler, è perché il sepolcro vuoto << si colloca piuttosto sul piano della metaforica e della logica narrativa. La liberazione dal sepolcro è modello e immagine della cosa che si intende dire: modello e immagine della liberazione dalla morte e del dono di una vita nuova e precisamente indistruttibile >>. E conclude << La resurrezione non è perciò direttamente qualcosa che ha a che fare con il cadavere e, di conseguenza, il sepolcro vuoto non è parte costitutiva necessaria della fede cristiana nella resurrezione, ma piuttosto un suo simbolo illustrativo >>.
La nostra inchiesta inizia da qui.




Così inizia quindi “L’inchiesta sulla RESURREZIONE”, prezioso libretto apologetico (per me "apologetico" è un complimento) che ha come tema d’indagine le ore della sepoltura di Cristo, del vaticanista Andrea Tornielli, uscito in edicola per la settimana santa.
Dalle opinioni di certi fini esegeti ricavo alcune perplessità:
se una telecamera all’interno del sepolcro non avrebbe filmato nessun corpo, vuol dire che il corpo di un morto di nome Gesù non vi fu mai deposto?

E se la risurrezione di cui parlano i vangeli era solo una metafora della “liberazione dalla morte”. allora la metafora – e quindi la predicazione apostolica della risurrezione come prova della divinità di Cristo - manteneva tutto il suo valore anche se il cadavere di Gesù fosse rimasto disteso nel sepolcro oltre il terzo giorno ed oltre ancora, fino al naturale disfacimento per putrefazione?

Ma se la risurrezione è metafora “del dono di una vita nuova”, allora anche le sofferenze di Cristo – schiaffi, sputi, coronazione di spine, flagellazione, essere trapassato dai chiodi – culminanti nella morte per crocefissione, possono essere solamente un simbolo?

Quindi posso tranquillamente tralasciare ogni riferimento alla “fisicità” della crocifissione?
Credere al valore redentivo della morte di Gesù in croce, anche se in realtà Gesù non fece fisicamente quella morte dolorosissima, essendo la passione solo un espediente letterario funzionale alla logica metaforica del messaggio cristiano il cui valore si situa fuori dal tempo e dallo spazio?

Ma non diceva san Paolo che “se Cristo non è risorto vana è la nostra predicazione e vana la vostra fede”?

Di un Cristo primizia di coloro che risusciteranno – non fisicamente ma solo metaforicamente - dai morti alla fine del mondo, che me ne faccio?
Che me ne faccio di un Salvatore che mi ridona alla fine dei tempi il mio corpo metaforicamente risuscitato?
Povero Michelangelo! Chissà come rimarrebbe deluso dallo scoprire che ha perso anni ad affrescare tutti quei corpi muscolosi, nel grande Giudizio Universale della Sistina, quando se la poteva cavare con due metaforiche pennellate.

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