venerdì, settembre 02, 2005

Non sono Mosè, chiamatemi Patriarca! /1

Sive: ECCLESIA IN UCRAINA


Le invasioni barbariche non sono finite con l’arrivo dei Longobardi in Italia come sembrerebbe evincersi dai libri di scuola.

L’innesto –traumatico!- delle popolazioni provenienti dalle steppe euroasiatiche nella tradizione mediterranea ha spostato sempre più a nord il limes della cultura -e soprattutto del “mito” sia latino che bizantino- dell’impero romano.

Di pari passo si sono dilatati anche gli orizzonti missionari per il cristianesimo (latino e bizantino). Per il franco Carlo Magno, l’essere a capo di un vasto regno di confessione cattolico-romana è ragione sufficiente per considerarsi imperatore romano; la sottomissione dei (nuovi) barbari al dominio carolingio è tutt’uno con la loro conversione al cristianesimo: il Diritto romano è la legge propria dei cristiani. È bene rammentare che il Corpus Juris Civilis fu emanato da un imperatore cristiano per un impero cristiano!

Tra i barbari che insidiano i confini della “romanità medievale” (carolingia e bizantina) ci sono le tribù scandinave.

I Vichinghi; temuti dai Franchi, che li chiamavano: gli “Uomini del nord” ( North’s Men, da cui:“Normanni”);erano feroci guerrieri ed abilissimi marinai, approdavano a nord e a sud della Manica per commerciare e depredare (per i Vichinghi tra i due concetti non c’era poi molta differenza!).

Atri gruppi etnici finnici, originari della Svezia, detti Vareghi ( o Variaghi ) durante l’VIII secolo, risalendo i grandi fiumi che sfociano nel Baltico, penetrarono nelle vaste pianure dell’Europa orientale (di quella che ancora doveva diventare Europa orientale!), abitata da tribù Slave politeiste (cioè fuori dall’orbita franca, bizantina e islamica), così come politeisti erano gli stessi Vareghi, i quali nel loro idioma originario ugro-finnico si definivano col termine: Rus’.

In questa migrazione, che li portò fino al Mar Caspio, questi mercanti/pirati intercettano le rotte carovaniere tra l’impero islamico di Bagdad e l’impero cristiano di Costantinopoli. I Variaghi/Rus’ , inserendosi in questa rete commerciale crearono delle città carovaniere (le principali: Novgorod e Kiev), che grazie alle vie fluviali assicurano una rete commerciale che si estendeva dal Baltico ai ricchi imperi mediorientali. Il meno distante era l’impero della Nuova Roma: Costantinopoli che i Vareghi tentarono di assediare nell’860.

Vista l’impossibilità di una conquista diretta delle ricchezze bizantina furono creati saldi vincoli commerciali, tra la “Basilìa Romaiòn” (cioè il “Regno dei Romani”come si definiva Bisanzio) ed il “Principato” di Kiev che è l’istituzionalizzazione di un secolare “meticciato” dei governanti Vareghi con le sottoposte tribù Slave, tant’è che ormai non solo l’aristocrazia militare varega ma l’intera popolazione viene ora chiamata: “La Rus’ di Kiev”.



La prima traccia storica di un’osmosi tra Bisanzio e Kiev si trova in un’enciclica di Fozio agli altri patriarchi orientali datata 867 in cui il Patriarca Ecumenico si mostra molto speranzoso nella conversione degli slavi all’Ortodossia, sostenendo che il popolo dei “rhos” (?) aveva abbandonato “le proprie empie credenze pagane” per abbracciare la “pura e inalterata fede dei cristiani”.

In realtà in quel momento i “rhos” di cui parla Fozio sono ben lontani dall’abbandonare i culti tribali; una decina d’anni dopo Costantinopoli inviò un vescovo alla corte di Kiev, ma anche se ci furono conversioni, i cristiani rimanevano una sparuta minoranza fino a quando, per influenza della zia Olga, educata (e convertitasi) a Costantinopoli; Vladimir, principe di Kiev, si convertì e nell’anno 988 impose a tutto il popolo un battesimo di massa nelle acque del Dniepr.

Assieme ai vescovi e monaci, che avevano il compito di creare la struttura d’una società cristiana, da Costantinopoli arrivarono gli influssi culturali di una “grande potenza” dalla storia millenaria.

Gli storiografi medievali russi amarono puntualizzare che la conversione non fu una sottomettersi al più forte ma una scelta liberamente ponderata in base ai canoni culturali del popolo della Rus’: “Siamo andati (dai mussulmani) e non vi è gioia in loro, bensì tristezza e lezzo grande. Non è buona fede la loro. E siamo andati dai tedeschi (cattolici), e vedemmo che nei templi molti riti officiavano, ma di bello non vedemmo nulla. E dai greci andammo, e vedemmo dove officiavano in onore del loro Dio, e non sapevamo se in cielo ci trovavamo oppure in terra: non vi è sulla terra uno spettacolo di tale bellezza”.



A capo dei vescovi della Rus’ c’era il metropolita di Kiev, scelto e consacrato direttamente dal Patriarca Ecumenico proprio per rimarcare la sottomissione dei fedeli russi alla Chiesa di Costantinopoli.
A causa delle ripetute aggressioni militari sia da oriente sia da occidente, il nucleo politico della Rus’ si spostò dalle rive del Dniepr molto più a nord, sulle rive della Moscova e nonostante il territorio kioviense, assoggettato da popoli non russi, non sia più sotto il dominio del Principato di Mosca, il metropolita di Kiev continua ad essere la massima autorità religiosa di tutti i russi.

A causa di un’ennesima invasione mongola, nel 1299 il metropolita Maksim, fuggì a nord, nei territori del regno moscovita ed il successore Pietr dal 1326 si stabilì a Mosca pur continuando a mantenere il titolo di Metropolita di Kiev e di tutta la Rus’, continuando ad essere scelto dal patriarca di Costantinopoli, e riuscendo sostanzialmente ad essere accettato quale capo spirituale del territorio kiovense ormai saldamente in mano al Principato di Lituania e al Regno di Polonia.

Ma qualcosa stava cambiando.
L’agonia cinquantennale dell’impero di Costantinopoli conclusasi il 29 maggio 1453 fece emergere una coscienza nuova sul ruolo della Chiesa russa, e dello Stato russo, nei confronti della Costantinopoli sia religiosa che politica.

Già alla fine del ‘300 il “Gran Principe” di Mosca Vasilij I vietava che nelle liturgie si nominasse l’imperatore bizantino (come prescriveva il rito greco) poiché, come egli affermava: “i russi avevano la Chiesa ma non l’imperatore”.
Dopo il 1453, non essendoci più un imperatore “ortodosso” ed essendo il Patriarca Ecumenico un suddito dei “pagani” turchi, il Principato di Mosca è l’unico stato indipendente il cui sovrano professi “la vera fede” e per questo è l’erede naturale della “Nova Roma” di Costantino il Grande.
Mosca diventa allora la “Terza Roma”.
Questa ideologia politica è il pendant della rivendicazione da parte della Chiesa dell’”autocefalìa”: cioè l’indipendenza canonica da Costantinopoli, e di conseguenza la richiesta del grado di Patriarca ed il titolo di “Sua Santità”per quel metropolita di Kiev residente a Mosca e che nel frattempo aveva mutato il nome in: Metropolita di Mosca e di tutta la Rus’.

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