mercoledì, dicembre 07, 2005

Gaudet Mater Ecclesia!


Il "divinus" Magister nel 'quadragesimo anno' dalla conclusione del Concilio Vaticano II segnala la volontà vaticana che quegli anni di "aggiornamento" della Chiesa cattolica, come li disse -e li pensò- Giovanni XXIII, vengano finalmente letti storicamente e teologicamente, e non mitologicamente alla stregua di un sessantotto ecclesiastico.
Con la contestazione sassantottina il Concilio Vaticano II non ha infatti nulla a che fare, tant'è che all'epoca del maggio parigino e delle manifestazioni negli atenei americani conto la guerra del Vietnam il Concilio si era chiuso da tre anni.
Fu proprio allora che il generale uragano della "Contestazione" volle inpadronirsi dello Spirito del Concilio.

Come ha ben spiegato Benedetto XVI nella sua autobiografia, in quegli anni del dopo Concilio ci si rese conto che mente lui ed altri giovani, e meno giovani, teologi si erano battuti per contestare, e smantellare, una recente tradizione e terminologia neoscolastica post-tridentina, per riportare alla coscenza -ed al linguaggio- ecclesiale l'antica Tradizione magisteriale dei Padri della Chiesa indivisa, del primo millennio, di contro molti si prefiggevano,, invece di fare tabula rasa della Chiesa "tridentina" per ricostruire dal nulla una "nuova" Chiesa ed un "moderno" Cristianesimo "libero" dal proprio passato quasi che avere un passato bimillenario fosse un peccato mortale.

Il cardinale Joseph Ratzinger, incontrando nel 1988 a Santiago i vescovi cileni, ha parlato di “un isolamento oscuro del Vaticano II” e ha detto:

“Alcune descrizioni suscitano l'impressione che dopo il Vaticano II tutto sia diventato diverso e che tutto ciò che è venuto prima non potesse essere più considerato o potesse esserlo soltanto alla luce del Vaticano II. Il Vaticano II non viene trattato come una parte della complessiva tradizione vivente della Chiesa, ma come un inizio totalmente nuovo. Sebbene non abbia emanato alcun dogma e abbia voluto considerarsi più modestamente al rango di Concilio pastorale, alcuni lo rappresentano come se fosse per così dire il superdogma, che rende tutto il resto irrilevante”, mentre “possiamo rendere davvero degno di fede il Vaticano II se lo rappresentiamo molto chiaramente così com'è: un pezzo della tradizione unica e totale della Chiesa e della sua fede”.

In effetti, negli anni postconciliari era di moda paragonare la Chiesa a un cantiere, in cui si facevano demolizioni e nuove costruzioni o ricostruzioni. Molto spesso nelle prediche l'ordine di Dio ad Abramo di andarsene dal suo paese era interpretato come un'esortazione alla Chiesa ad abbandonare il suo passato e la sua tradizione.

Al contrario, bisogna ribadire con nettezza che un'interpretazione del Vaticano II al di fuori della tradizione contrasterebbe con l'essenza della fede: la tradizione, non lo spirito del tempo, è l’elemento costitutivo del suo orizzonte interpretativo. Certo non può mancare lo sguardo sull’oggi. Sono i problemi attuali che richiedono risposte. Ma queste non possono venire se non dalla rivelazione divina, che la Chiesa tramanda. Questa tradizione rappresenta anche il criterio a cui ogni nuova risposta deve attenersi, se vuole essere vera e valida.

Su questo sfondo anche la distinzione così in voga tra “preconciliare” e “postconciliare” è molto dubbia sul piano teologico e su quello storico. Un Concilio non è mai un punto di arrivo o di partenza sul quale possa essere scandita la storia della Chiesa o addirittura la storia della salvezza. Un concilio è piuttosto un anello di una catena la cui fine nessuno conosce al di fuori del Signore della Chiesa e della storia. Non può mai introdurre una frattura nella continuità dell’azione dello Spirito.

Continuità ha che fare con prosecuzione. Ci sarà allora un Vaticano III? Non sorprende che si sia avanzata una richiesta di questo tipo, peraltro da parti tra loro opposte.

Secondo alcuni dovrebbe riunirsi un nuovo Concilio che finalmente realizzi la democratizzazione della Chiesa, consenta l'accesso ai sacramenti a coloro che dopo un matrimonio fallito hanno contratto una nuova unione, apra la strada al matrimonio dei sacerdoti e al sacerdozio femminile, e porti alla riunificazione dei cristiani divisi.

Altri pensano che la confusione e la crisi dell'irrequieto periodo postconciliare avrebbero bisogno urgentemente di un Vaticano III che metta ordine e faccia da guida.

Una cosa è certa: anche questo nuovo eventuale concilio – magari di Nairobi o di Mosca, Nairobiense o Moscoviense – si collocherebbe nel solco della tradizione e sarebbe solo un altro elemento di questa venerabile serie.

Il Vaticano II non è stato né l'inizio né la fine della storia conciliare e abbiamo il compito di realizzarlo, prima di parlare del futuro.

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