venerdì, dicembre 16, 2005

l'allodola di Frisinga /4

Ahimè, dopo duemila anni di Cristianesimo c'è ancora troppa confusione su cosa sia il retto pensiero cristiano e cosa no.
Sommanente illuminante di quale debba essere il retto sguardo cristiano sulla realtà è stata l'omelia dell'8 dicembe di Benedetto XVI.
Il pontefice "ccioiosamente regnante" ha mirabilmente esposto la dinamica che vive l'uomo, ogni uomo che viene in questo mondo, che lo porta a provar inimicizia per Dio, durante l'omelia dell'Immacolata Concezione, commemorando i quarantanni della conclusione del Concilio Vaticano II. Contro tutte le aspettative degli "esperti" che preannunciavano che il pontefice avrebbe approfittato della solennità per fare un bilancio del Concilio e della sua più o meno corretta attuazione, Benedetto XVI, invece, s'è attenuto al tema della memoria liturgica del giorno : il peccato Originale e la Grazia redentrice di Gesù Cristo.

Il dogma del peccato Originale non è solo un buffo racconto sugli alberi da frutta ma è soprattutto quella realtà misteriosa e tragica che ogni uomo può comprendere perfettamente senza conseguire alcun dottorato in esegesi dell'Antico Testamento, ma semplicemente guardandosi dentro:

"Cari fratelli e sorelle! Se riflettiamo sinceramente su di noi e sulla nostra storia, dobbiamo dire che con questo racconto è descritta non solo la storia dell'inizio, ma la storia di tutti i tempi, e che tutti portiamo dentro di noi una goccia del veleno di quel modo di pensare illustrato nelle immagini del Libro della Genesi. Questa goccia di veleno la chiamiamo peccato originale. Proprio nella festa dell'Immacolata Concezione emerge in noi il sospetto che una persona che non pecchi affatto sia in fondo noiosa; che manchi qualcosa nella sua vita: la dimensione drammatica dell'essere autonomi; che faccia parte del vero essere uomini la libertà del dire di no, lo scendere giù nelle tenebre del peccato e del voler fare da sé; che solo allora si possa sfruttare fino in fondo tutta la vastità e la profondità del nostro essere uomini, dell'essere veramente noi stessi; che dobbiamo mettere a prova questa libertà anche contro Dio per diventare in realtà pienamente noi stessi. Con una parola, noi pensiamo che il male in fondo sia buono, che di esso, almeno un po', noi abbiamo bisogno per sperimentare la pienezza dell'essere. Pensiamo che Mefistofele – il tentatore – abbia ragione quando dice di essere la forza "che sempre vuole il male e sempre opera il bene" (J.W. v. Goethe, Faust I, 3). Pensiamo che patteggiare un po' col male, riservarsi un po' di libertà contro Dio, in fondo, sia bene, forse sia addirittura necessario."
Questa è nè più nè meno la colpa originaria! La radice avvelenata di ogni piccolo o grande male operato dall'uomo. Ciò che distrugge il legame tra Adamo e il Creatore è la meschinità dello sguardo con cui l'uomo si pone di fronte al proprio essere, all'essere del mondo e all'Essere stesso di Dio: "Ho sentito il Tuo passo nel giardino, ho avuto paura e mi sono nascosto".

Se il cristiano non accetta il dramma della continua tentazione operante nel cuore dell'uomo a procedere all'annichilimento dell'Essere, mi si spieghi a cosa serva al cristiano aver fede nella venuta del Salvatore : Gesù Cristo? Ma soprattutto da cosa lo abbia salvato, o lo debba salvare?
"Dal peccato", risponderebbe chiunque a questa domanda; anche un ateo, anche un agnostico, un anticlericale, risponderebbe perentoriamente che il Figlio di Dio si è incarnato per salvare l'uomo dal peccato: questa è infatti la Dottrina. Ma ciò che deve inquietare è che il senso di ironico distacco con cui correttamente risponderebbe l'anticlericale che considera: 'peccato', 'grazia', 'incarnazione', 'redenzione' niente più che "flatus vocis", non è poi troppo distante dall'intimo sentimento con cui il comune cristiano si accosta (o si discosta) dai medesimi contenuti della fede.
A che servirebbe l'opera redentrice di Cristo, la sua vittoria sul peccato e sulla morte se poi tutti gli uomini, anche i cristiani buoni e bravi che non peccano, soffrono come tutti, sono tartassati da malattie e calamità senza alcuno sconto da parte del loro Dio "Amore", e poi muoiono come tutti gli altri?

Questa e altre simili considerazioni scaturiscono da una sottovalutazione, o peggio eliminazione totale dall'orizzonte del pensiero del cristiano della dinamica Peccato-Grazia, sostituita da un più laica quanto manichea contrapposizione Bene-Male.

Ciò da cui Gesù Cristo salva l'uomo l'umanità non è tanto dal cumulo di colpe piccole e grandi sommate dai singoli uomini nel corso delle generazioni, quanto dal peccato che affratella l'intero Genere umano: cioè il sospetto che l'amore di Dio sia una truffa. E' da questa originaria meschinità di sguardo, che affligge ogni singolo esponente del genere umano, che Gesù Cristo è venuto a salvare!
Dio s'è incarnato, si è fatto vero uomo "per darci un esempio" dice san Pietro cioè per mostrare che è possibile all'uomo vivere in comunione con Dio, per far entrare tutti gli uomini in questa dinamica di amore del Padre Eterno col suo Figlio Eterno dal momento, infatti, che il Figlio di Dio ha assunto la natura umana tutto il genere umano può, se unito al Figlio partecipare di questo amore.
Questo legame tra il Figlio di Dio e il suo discepolo si chiama "Grazia" e solo in questa continua adesione al modo di pensare di Dio, rivelato agli uomini dall'uomo-Dio Gesù che è possibile non ricadere nell'annichilimento della realtà che chiamiamo peccato.

Cristo quindi non ha sconfitto il Male nel senso che lo ha eliminato (e la cosa scandalizza molti uomini sedicenti "spirituali"), ma lo ha sconfitto estirpato alla radice la menzogna del Maligno che insinuava che Dio vuole male all'uomo, dando Gesù stesso, con la sua vita di sofferenze, la testimonianza che niente di ciò che è umano, compresa la sofferenza e la morte, può di per sè deturpare la sintonia tra l'uomo e Dio.
La più grande prova di questa nuova dinamica di comunione nella Grazia tra Dio e l'uomo, pur nelle immutate feriali condizioni esterne, ci è data nella persona che più ebbe stretti contatti umani - e spirituali- con il Salvatore: la sua madre.

"È in lei [Maria]che Dio imprime la propria immagine, l'immagine di Colui che segue la pecorella smarrita fin nelle montagne e fin tra gli spini e i pruni dei peccati di questo mondo, lasciandosi ferire dalla corona di spine di questi peccati, per prendere la pecorella sulle sue spalle e portarla a casa. Come Madre che compatisce, Maria è la figura anticipata e il ritratto permanente del Figlio. E così vediamo che anche l'immagine dell'Addolorata, della Madre che condivide la sofferenza e l'amore, è una vera immagine dell'Immacolata. Il suo cuore, mediante l'essere e il sentire insieme con Dio, si è allargato. In lei la bontà di Dio si è avvicinata molto a noi. Così Maria sta davanti a noi come segno di consolazione, di incoraggiamento, di speranza. Ella si rivolge a noi dicendo: "Abbi il coraggio di osare con Dio! Provaci! Non aver paura di Lui!..."

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