sabato, gennaio 14, 2006

Tolkien e Lewis

Stando al suo biografo Humphrey Carpenter, Tolkien, cattolico praticante, ebbe una parte non trascurabile nella conversione di Lewis al cristianesimo. Diversi nel carattere, negli atteggiamenti, i due scrittori e animatori del circolo degli Inklings lo furono anche negli esiti umani e letterari, e finirono col tempo per dividersi. Quel cenacolo di studiosi fu però anche un luogo di dibattito e di confronto sui temi della fede, cui gli interlocutori contribuivano partendo da esperienze diverse, alcune di esse, come avvertì a un certo punto lo stesso Tolkien, irriducibili e inconciliabili tra loro.
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SIMONELLI: La posizione inequivocabilmente cattolica di Tolkien è tutta nella percezione del sacramento come una cosa reale, nel suo confessarsi tutte le volte che si accostava alla comunione. Nelle lettere al figlio Christopher durante la Seconda guerra mondiale, mentre questi era al fronte, ripete sempre: mi raccomando, frequenta i sacramenti, recita almeno un’Ave Maria al giorno, e quando puoi, vai in una chiesa francese; non importa se non capisci quello che dicono, se trovi confusione, preti che tirano su col naso e bambini che strillano, ma frequenta il sacramento. E non bisogna dimenticare che Tolkien si è accostato al cattolicesimo grazie alla testimonianza della madre. Ha visto le sue sofferenze, il ripudio da parte dei parenti per la sua conversione. Non ha avuto cioè un approccio “spiritualeggiante” alla fede, mentre per Lewis, per quanto possa essere stata reale la sua conversione, il cristianesimo resta una metafora intellettuale.

Tolkien rimprovera a Lewis questo approccio?

SIMONELLI: Non esplicitamente. Ma nelle loro discussioni c’è sempre un punto in cui i due opposti atteggiamenti confliggono. Una sera, ad esempio, durante uno degli incontri degli Inklings venne fuori il tema della cremazione. Il fratello di Lewis, non capendo perché la Chiesa cattolica fosse contraria, pone la questione a Tolkien. Tolkien risponde che il corpo è tempio dello Spirito Santo e per questo non può essere distrutto.
«Ma devi ammettere che è un tempio abbandonato» gli replica Lewis.
«Ma questo significa forse che è giusto distruggerlo? Se una chiesa deve essere abbandonata per un qualunque motivo, tu non la farai saltare immediatamente in aria e neppure la raderai al suolo appiccandole fuoco».
«Lo faresti» risponde Lewis «per impedire che venisse usata, diciamo, dai comunisti? In quel caso preferiresti vederla distrutta?».

Qual è il punto di conflitto fra i due atteggiamenti?

SIMONELLI: Quello di Lewis è un ragionamento perfettamente plausibile dal punto di vista intellettuale. Se la chiesa è un simbolo, tanto vale che sia tu stesso a distruggerla per evitare che, cadendo nelle mani del nemico, diventi un simbolo negativo.
Ma Tolkien risponde: «No, non lo preferirei».
«E perché no?» domanda il fratello di Lewis.
Tolkien allora porta un altro esempio: «Se tu sapessi che un calice sta per essere usato da uno stregone, come in quella storia di Williams, per questo considereresti tuo dovere distruggerlo?».
Lewis dice: «Penso di sì».
E Tolkien: «Allora saresti mentalmente colpevole se lo facessi. Il tuo compito è soltanto quello di riverirlo». Perché questa risposta? Perché, comunque, per Tolkien, il calice rimane qualcosa in cui c’è stato il sangue di Cristo, vero, reale, e nessun uomo può distruggerlo. Invece, per chi ha un approccio più che altro simbolico-intellettuale, occorre impedire che qualcun altro usi quel simbolo.
Per Tolkien, tu devi fare il tuo dovere di cristiano, che è onorare quel calice. Il resto non sta a te. ...


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