domenica, febbraio 12, 2006

Ciao Darwin

Ovvero: "Fatti non foste a viver come bruti"

Il 12 febbraio del 1809 nasceva a Shrewsbury (Shropshire) in Inghilterra Charles Robert Darwin.
[...]il 197° anniversario della sua nascita [...] sarà celebrato con commossa memoria il Darwin’s Day, in Italia e nel mondo.
Perché tanta solennità e tanta fretta nel glorificare il grande naturalista inglese? Si potevano aspettare quei tre anni mancanti, per una commemorazione più tonda.
E poi perché un “Day” per Darwin e non per Galileo o Newton o Einstein? Gli organizzatori ritengono evidentemente che i tempi incalzino, che il grande naturalista inglese sia minacciato e bisogni correre alle difese, mentre Galileo, Newton e Einstein possano dormire in pace. Chi minaccia Darwin? I creazionisti americani? Forse l’Intelligent Design di Seattle?
O preoccupano di più le parole di Papa Ratzinger a Piazza San Pietro: “Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione”?. Già nel quarto secolo, ricorda il Papa, San Basilio Magno rimproverava ai seguaci di Ario che essi: “…immaginavano l’universo privo di guida e di ordine, come in balìa del Caso.” [...]

La mia ipotesi è che il darwinismo stia cedendo dal suo interno.
Ogni successo o scoperta della biologia è ormai da tempo accreditata a Darwin, e ciò è comprensibile se la biologia è sempre più intesa come “nota in calce” alla teoria dell’evoluzione. (Dawkins). Quello che si sta dissolvendo è l’impianto teorico della dottrina, che per il vero è sempre stato travagliato.

Mezzo secolo fa, nel centenario dell’uscita de “L’Origine delle Specie” di Darwin (1859), il biologo canadese W.H. Thompson, incaricato di stendere una prefazione alla riedizione, lamentava: “Questa situazione, dove uomini si riuniscono in difesa di una dottrina che non sono capaci di definire scientificamente e ancor meno di dimostrare con rigore scientifico… è anomala e indesiderabile nella scienza.”
Bisogna riconoscere a Darwin il gran merito storico di aver svincolato le epoche della vita dalla teologia. Non ritenne tuttavia, e questo va ancora a suo merito, che la sua teoria fosse incrollabile. Anzi scrisse: “Se potesse essere dimostrato che esistesse qualche organo complesso che non avrebbe potuto essere formato attraverso leggere modifiche, numerose e successive, la mia teoria crollerebbe definitivamente.”[...]
Col passare dei decenni, “tutte” le sue proposte [di Darwin] sono state contraddette, non dai creazionisti, ma dai darwinisti stessi. La trasmissione dei caratteri acquisiti (teorizzata nella teoria della Pangenesi), l’onnipotenza della selezione naturale, il gradualismo delle trasformazioni, le forme intermedie, la tendenza al progresso, la discesa dell’uomo dalla scimmia… tutte queste cose giacciono nei polverosi musei della scienza, sostituite da nozioni che col Darwin storico non hanno più alcuna relazione.
E come allora si sostiene la Grande Teoria?
Contrapponendosi all’ingenuità di un Creazionismo letterale, che sbriga la creazione del cosmo, della vita e dell’uomo in sei giorni e misura la durata dell’universo in poco più di quattromila anni. Per tenersi in piedi, il darwinismo preferisce andare a cercare i suoi antagonisti in sinagoga o in sagrestia, piuttosto che nei laboratori dei ricercatori innovativi. E intanto elargisce premi e celebra giornate di gloria. A parte la disperazione che il darwinismo ha prodotto nei fedeli, privati del loro Dio, della loro anima, della loro fede, dell’aldilà, di tutte le loro virtù (tra cui quella di non opprimere i deboli), rimasti senza bellezza, speranza e significato, a parte tutto questo, nessuno si è curato della legittimazione che il darwinismo offriva al razzismo, alla sopraffazione, all’egoismo.
Scrisse Darwin, nel suo “Descent of Man”, e lo ripeterò sino alla noia: “Tra tutti gli uomini ci deve essere lotta aperta (e), tra qualche tempo a venire, è quasi certo che le razze umane più civili stermineranno e si sostituiranno in tutto il mondo a quelle selvagge”, e così l’uomo sarà innalzato, perché la sua superiorità non si misurerà dalla differenza tra il negro e lo scimpanzé, ma tra quella tra il bianco caucasico e il babbuino (oltre al negro, anche le scimmie antropomorfe saranno state eliminate). Anche in questa previsione Darwin ha sbagliato. Queste frasi vanno tuttavia fatte presenti a coloro che hanno richiesto che Darwin fosse insegnato ai bambini delle scuole elementari.

Voglio ricordare ai celebratori del darwinismo quel che accadeva in Inghilterra e in America cent’anni fa, nel 1906. Nelle vicinanze della cittadina di Piltdown si cominciavano a scoprire i resti del teschio di una specie nuova, l’uomo-scimmia di Piltdown o ‘Eoanthropus dawsoni’, che ebbe l’onore di quarant’anni di esposizione al
Museo di Storia Naturale di Londra, di menzione su tutti i libri di testo, finché nel 1953 si scoprì essere un volgare falso, un montaggio della volta cranica di un aborigeno australiano con la mandibola di un orango del Borneo, in cui era incastonato un dente manipolato.

Nello zoo del Bronx, a New York, era intanto esposto nudo al pubblico, in una gabbia insieme a un orango e uno scimpanzé, un pigmeo del Congo, come esempio di anello intermedio tra la scimmia e l’uomo, con il beneplacito della Società Zoologica Americana. Si chiamava Ota Benga e morì suicida.

Darwin ha fatto il suo tempo, e non ha portato né la soluzione dei problemi delle origini, né la probità nella biologia, né la pietà nel mondo.
Il mio modesto consiglio è quello di dare alla sua tomba le debite onoranze… e di dimenticarlo.
Giuseppe Sermonti

(il Foglio, sabato 11 febbraio 2006)

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