lunedì, marzo 20, 2006

dei Sepolcri, X



Slobodan Milosevic è morto il giorno 11 marzo 2006 nella prigione di Scheveningen, in Olanda, essendo dal Tribunale Internazionale dell'Aja accusato di "crimini contro l'Umanità".
I risultati dell'autopsia avevano ufficializzato che la morte dell'ex presidente serbo era dovuta a un infarto del miocardio, senza però escludere del tutto l'ipotesi di un avvelenamento. Perciò, per fugare ogni dubbio e mettere fine alle voci di cospirazione si è proceduto ad un ulteriore esame tossicologico da cui è emerso che l'ex dittatore assumeva volontariamente un farmaco sbagliato che comprometteva la terapia contro l'ipertensione prescritta dagli specialisti.
Milosevic prendeva di proposito un antibiotico sbagliato, la rifampicina, usata per curare lebbra e tubercolosi, che contrastava gli effetti dei farmaci per il cuore.

Potrebbe trattarsi di un suicidio, seguendo la tragica scia familiare. Mentre il giovane "Slobo" studiava Giurisprudenza a Belgrado, il padre si suicidò. Undici anni dopo, anche la madre farà lo stesso, e poi lo zio materno, ex generale. E' facile intuire che queste tragedie familiari segnano profondamente il giovane Slobodan.
L'anziano Milosevic avrebbe, quindi, cercato di togliersi la vita e nel contempo, dichiarandosi più volte timoroso di essere avvelenato, fare del proprio suicidio un'arma politica cercando di scaricarne la responsabilità ad occulti mandanti.
Il 10 marzo, giorno prima del decesso, Milosevic aveva scritto al ministro degli esteri russo sostenendo di non ricevere cure adeguate: chiedeva aiuto a Mosca, perché temeva che qualcuno cercasse di avvelenarlo. "Nella lettera - riferisce il ministero russo - l'ex presidente ribadisce la sua richiesta di sostegno dalla Russia per ottenere il permesso di sottoporsi a una terapia in una clinica di Mosca".

La seconda ipotesi, meno "eroica", è che cercasse di aggravare le proprie condizioni cliniche per ottenere di trasferirsi in Russia per sfuggire alla condanna e al carcere perpetuo.
Si è tratto, quindi, dell'ultimo calcolo politico errato della sua lunga carriera.

Alla notizia della sua morte il mondo si è ricordato del dittatore balcano uscito dalle scene politiche dopo la rivolta popolare del 5 ottobre 2000.

Colpisce che il governo serbo abbia dato l'assenso alla sepoltura in Patria dell'uomo che ha trascinato il paese in dieci anni di continue guerre che i politici e la maggioranza dei serbi giudica sbagliate e catastrofiche.
Su richiesta del presidente serbo Boris Tadic il Consiglio supremo di difesa ha prontamente annunciato che non intendeva mettere unità dell'esercito serbo-montenegrino a disposizione per le esequie e che quindi era assolutamente escluso che ci sarebbe stato un funerale di Stato, ma al contempo si avallava il riposo in pace della salma sotto le zolle del giardino della casa di Milosevic nel suo paese natale: "quella Pozarevac dove il suo figlio ossigenato e ribaldo aveva costruito la Disneyland serba – Bambi, ora chiuso – e anche la più grande discoteca serba – Madonna, poi venduta – e la sua tomba sarà un’attrazione solo per i rancorosi, la nostalgia è quella riservata a Tito, le canzoni che gli zingari di Pascevo intonano agli angoli delle vie pedonali di Belgrado parlano di Uzice, della Seconda guerra mondiale, di Tito, niente Srebrenica o Vukovar, niente Milosevic" (Toni Capuozzo).
Forse la volontà politica è stata quella di voler celebrare, con le pubbliche esequie di Milosevic nel museo del Comunismo, a poca distanza dal mausoleo di Tito, celebrare i solenni funerali della stessa Jugoslavia: quella Jugoslavia che iniziò ad agonizzare durante i funerali di Tito ed il cui nascosto cancro del particolarismo etnico la distrusse politicamente ma anche nella psiche dei suoi politici e dei suoi cittadini.
La pietra tombale di Milosevic precede di poche settimane il referendum per l'autederminazione della Repubblica del Montenegro che porterà alla definitiva scomparsa del concetto e del nome stesso di Jugoslavia.

Sul quotidiano “Politika”, il 17 marzo è stato pubblicato un necrologio che recitava: “Grazie per tutte le chimere e le ruberie, per ogni goccia di sangue che a causa tua hanno versato in migliaia, per la paura e l’incertezza, per le vite e le generazioni fallite, per i sogni che non abbiamo realizzato, per il terrore e le guerre che, senza chiedercelo, hai condotto a nome nostro, per tutto il peso che ci hai caricato addosso. Ci ricordiamo dei carri armati nelle vie di Belgrado e il sangue sui marciapiedi. Ricordiamo Vukovar. Ricordiamo Dubrovnik, Ricordiamo Knin e la Krajina. Ricordiamo Sarajevo. Ricordiamo Srebrenica. Ci ricordiamo dei bombardamenti. Ci ricordiamo del Kosovo. E lo ricorderemo ancora per un po’. E lo sogneremo. Ci ricordiamo dei morti, dei feriti, degli sfortunati e dei profughi. Ci ricordiamo delle nostre vite distrutte. Lo terranno a mente i cittadini della Serbia”.

Milosevic è stato l'ultimo a morire tra i presidenti delle repubbliche jugoslave che trascinarono i loro popoli in guerre fratricide, perciò, c'è stata una voglia collettiva di metterci "una pietra sopra", di dimenticare rapidamente i massacri le fosse comuni; ma la mentalità germinata da un decennio di odi e di vendette ha profondamente plasmato le coscienze degli ex-jugoslavi per i quali: "è meglio essere stato un criminale di guerra che una vittima". La fine di Milosevic conferma questa amara situazione: le genti dell'ex-Jugoslavia son più pronte a esprimere il cordoglio per la scomparsa di un dittatore, accusato di pesantissimi crimini, che per la scomparsa di migliaia persone innocenti ma sconosciute.
"Il dettaglio più emozionante delle esequie è un messaggio di solidarietà e di condoglianze scritto da un altro detenuto, il criminale di guerra croato generale Ante Gotovina. Un saluto da vecchi nemici, da fronti etnici sorpassati, da tagliagole arrugginiti, da un mondo che ha lasciato solo macerie e cicatrici".

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