venerdì, giugno 30, 2006

Sonetos Fùnebres VIII



Andrea Affaticati sul Foglio di giovedì 29 giugno 2006 racconta delle Prefiche testate giornalistiche alemanne che con singhiozzi e lacrime hanno pianto la morte dell'italico giovane orso che attraversato l'Adamello, fu condannato a morte congiuntamente dai tirolesi e bavaresi Ministeri regionali per l'ambiente poichè, per aver desinato con polli e pecore, venne ritenuto un pericolo per gli uomini.
"Bruno" è stato "giustiziato" in Baviera da un gruppo di cacciatori che hanno sparato e ucciso l'animale selvatico verso le ore 4.50 antimeridiane del 26 giugno 2006.


Ovvero:L’orso che ha dato a tutti una “lezione d’umiltà” manca pure ai tedeschi

Berlino.In Germania l’orso Bruno è diventato un eroe nazionale.
Tanto che per dargli lustro martedì molte testate hanno ricordato che è morto nella terra di Papa Ratzinger: la Baviera. Nessuno ha però raccontato la leggenda di San Corbiniano, il fondatore della diocesi bavarese di Frisinga che ha indotto il Pontefice ad avere nel suo stemma anche l’effige di un orso, oltre alla conchiglia. San Corbiniano era in viaggio per Roma quando un orso sbranò il suo cavallo. Il santo, per punizione, gli caricò sulle spalle il fardello portato fin lì dal suo animale e soltanto quando giunsero a Roma lo lasciò libero. Per Benedetto XVI l’orso della leggenda rappresenta il peso e la speranza della vita.
Con Bruno, invece, il cucciolo di due anni partito dalle valli trentine, la sorte non è stata così clemente.
Dopo sette settimane di scorribande tra le alpi del Tirolo austriaco e quelle bavaresi è stato abbattuto alle 4.50 del mattino di lunedì, nei pressi del Spitzingsee. Ma anche se nessuno ha citato questa coincidenza, i pezzi non sono stati meno ispirati.
L’austero quotidiano Frankfurter Allgemeine ha deciso di fare uno strappo alla regola, concedendo a Bruno l’onore di uno dei suoi due editoriali in prima pagina, addirittura quello più lungo, dove normalmente si discetta sullo stato della nazione e del mondo. Nel necrologio Reinhard Wandtner, l’autore, ha ricordato che proprio l’orso è uno dei primi animali, se non il primo, con i quali i tedeschi instaurano
un rapporto affettivo. Quello in versione peluche, però, Teddybär. Poi, ancora in tenera età, imparano che quello in carne e ossa è tutt’altro che un coccolone.

I romanzi di Karl May – una sorta di Emilio Salgari tedesco – si tramandano da generazioni, e lì l’eroe si confronta spesso con un esemplare attaccabrighe. Bruno non ha smentito l’immaginazione di May: ha ucciso qualche pollo e magari delle pecore. Ma soprattutto ha spaventato un paio di mountainbiker. “E’ che a noi la natura piace possibilmente addomesticata”, concludeva Wandtner.

L’intreccio con i Mondiali

La Bild Zeitung, ha saputo intrecciare mirabilmente la vicenda dell’animale con
il calcio: “La sua morte getta un velo di tristezza sull’euforia per i mondiali, le nostre bandiere sono a mezz’asta.
Bruno non era un mostro. Era il primo orso che veniva a farci visita dopo 170 anni. Bruno era un ospite a casa di amici”.
Ma sono stati il berlinese Tagesspiegel e lo Spiegel online ad avergli dedicato i due necrologi più ispirati.
Christiane Peitz, sul Tagesspiegel, scriveva: “Ora ci si litiga in tutto il paese. Se non era veramente possibile catturare l’animale. Se fosse tipico o atipico della specie che Bruno attaccasse pecore, polli e non cervi. Se per caso il problema non era lui, ma la madre, l’orsa Jurka, che gli aveva insegnato a cacciare gli animali sbagliati. Put the blame on mame, babe”. Poi,
dopo qualche divagazione su quel che Bruno rappresentava per noi – la voglia di libertà, di anarchia, ma anche la nostra incapacità di una pacifica coesistenza in senso lato – Peitz concludeva: “L’uomo ha sterminato gli animali feroci per proteggersi.
La bestia che è in noi si sfoga invece in altro modo, vedi Portogallo-Olanda, i tradimenti raccontati in diretta dai vip, gli spettacoli teatrali osceni, i film d’azione. Ma i western ci hanno insegnato che solo un eroe morto è un eroe buono.

Bruno è morto di una morte dignitosa. Guardando negli occhi il suo nemico. Ora lo vogliono imbalsamare per metterlo in un museo. Ma Bruno è molto più di un trofeo di caccia: è una lezione di umiltà che il genere umano dovrebbe tenere a mente”.

Per il giornalista dello Spiegel online, invece Bruno era come Annibale che, con il suo esercito e con quaranta elefanti al seguito, aveva attraversato le stesse Alpi per raggiungere la terra promessa: la Baviera. “Bruno non aveva alcuna voglia di starsene a casa e vivere con i genitori fino a trent’anni, come fanno gli italiani”. Ma “come il giovane Amleto di ritorno alla corte di Danimarca, anche Bruno era giunto in Baviera per rendersi conto che non era affatto il benvenuto”.
La morte di Amleto, per quanto eroica, ha però troppi comprimari. E così il pezzo si chiude con un altro paragone: “E’ un destino tragico quello che condanna coloro che hanno una luce speciale a spegnersi per primi.
Bruno rientra in una lunga schiera di celebrità le cui vite si sono spente troppo presto. Elvis, Marilyn Monroe, Jimi Hendrix, John Lennon, la principessa Diana… e ora Bruno”.

venerdì, giugno 23, 2006

A SECRETIS

ovvero:Tanto di cappello (cardinalizio)


Il 22 giugno 2006 è stato reso noto all'universo mondo che il Sommo Pontefice "ccioiosamente" regnante ha accettato le dimissioni dell'Eminentissimo Cardinal Decano dalla carica di Segretario di Stato di Sua Santità e (provvientissimus Deus!) ha nominato qual novello Segretario di Stato l'Eminentissimo Arcivescovo di Genova il salesiano Tarcisio Bertone.
In vero, la nomina: "diverrà effettiva a partire dal prossimo 15 settembre, il giorno successivo alla fine del viaggio pontificio nella natia Baviera.
Nel frattempo il segretario di stato uscente, il cardinale Angelo Sodano, continuerà nelle sue funzioni “con tutte le facoltà inerenti a tale ufficio”.
... il fatto che si tratti di una nomina “postdatata” è senza precedenti: in passato infatti il cambio della guardia avveniva nel momento stesso dell’annuncio. Questa anomalia, dovuta ufficiosamente alla volontà di porre fine alle indiscrezioni giornalistiche, può trovare anche spiegazione nella naturale resistenza di ogni uscente ad abbandonare il proprio incarico, specie se si ritiene di essere ancora adeguati alla bisogna. E non c’è dubbio che Sodano, nonostante i 78 anni e mezzo di età, di cui oltre 15 spesi da segretario di stato, non avrebbe avuto problemi a continuare fino agli 80 anni. Questa ritrosia alle dimissioni però si è scontrata con la volontà di Benedetto XVI di porre al vertice della macchina curiale una persona di sua assoluta fiducia. Alla fine, visto il desiderio di Sodano di coronare il suo servizio al Pontefice accompagnandolo nel viaggio in Baviera (11-14 settembre) nel pieno delle sue funzioni di segretario di stato, sembra che il Papa, che ha una personalità delicata, non lo abbia voluto privare di tale onore e così ha accettato le sue dimissioni “chiedendogli di rimanere in carica fino al 15 settembre”



Nato a Romano Canavese, in provincia di Torino il primo dicembre 1934, prete della congregazione salesiana fondata da San Giovanni Bosco, teologo, canonista, fu per sette anni già fido collaboratore di Ratzinger in qualità di Segretario della Congregazione della Dottrina della Fede.
Un brutto giorno, però, il cardinale Dionigi Tettamanzi (nano maledetto non sarai mai eletto!) "accettò il sacrificio" di lasciare il vescovado genovese per abbracciare la dura ed umiliante croce della guida della diocesi ambrosiana cosicchè Bertone fu spedito all'ombra della Lanterna e il cardinal Ratzinger fu privato del fido collaboratore (sostituito magnificamente da Angelo Amato: un'altro salesiano).

Da mesi si pronosticava il nome di Bertone e nelle ultime settimane la nomina era data imminente da tutti i vaticanisti.
Solo il Duca de Gandìa rimaneva scettico ed incredulo; pronosticando un Lajolo che invece è stato promosso "cardinale in pectore"(promoveatur ut amoveatur?) alla guida del governatorato della Città del Vaticano (sai che divertimento contare quanti biglietti sono stati staccati in un mese ai musei vaticani!); non considerando possibile che fosse posto ad un ruolo così delicato un, in vero validissimo, ecclesiastico ma così poco dotato di spirito diplomatico.

Il nuovo capo della diplomazia vaticana sarà infatti uno che da ragazzino era diffidato dai carabinieri perché collezionava pistole Mauser abbandonate dai nazisti e mozzava le canne ai fucili 91 e sparava con gli Stein nelle cave di pietra del Canavese.
Uno che quando il leghista Calderoli sfoderò in televisione la maglietta anti-islamica dichiarò: «Certe persone andrebbero mandate a fare i lavori forzati in Cirenaica, per capire il valore vero del rispetto».
Uno che di fronte allo scandalo del Calcio ha risposto lapidariamente «Bisogna fare piazza pulita ».
Uno che solingo fra i vescovi italiani ha fatto una campagna contro il diffondersi della festa neopagana di Halloween e che ha chiesto ai fedeli di boicottare il film "Il Codice da Vinci".

Bertone non parla l'inglese ma in comenso parla un fluido tedesco.
Suona il pianoforte; ama assai la musica classica e sommamente Mozart: è palese che sotto il regno del sedicesimo Benedetto le doti diplomatiche non sono indispensabili ma ciò che si richiede è "reciproca conoscenza e fiducia".

Che dire posso ancora del nuovo Segretario di Stato vaticano?
Trattandosi di un salesiano, e vistone il carattere fumantino, per evitare che il Cardinal Bertone faccia scoppiare la terza guerra mondiale, ai pii e fedeli figli di santa Romana Chiesa non resta altro che inplorare la Madonna Ausiliatrice e ripetere con viva fede mane e sera:
"Auxilium Cristianorum.
Ora pro nobis!"

giovedì, giugno 22, 2006

San Giovanni "Degollado"

Ovvero: Gesù gli domandò: "Qual è il tuo nome?". Rispose: "Legione", perché molti demòni erano entrati in lui. (Lc. 8, 30)




Il messicano padre Marcial Maciel Degollado, nato nel 1920, fondatore della Legione di Cristo; la Congregazione religiosa con il più alto numero di nuove vocazioni; è stato a più riprese accusato di abusi sessuali da ex seminaristi o ex sacerdoti degli stessi Legionari di Cristo. Da notizia diffusa dalla Sala Stampa della Santa Sede in data 19 maggio 2006, la Congregazione della Dottrina della Fede ha emanato una disposizione con cui si condanna "a morte" l'ottuagenario e malato "Fundadòr" ad "una vita riservata di preghiera e penitenza" (peraltro il Reverendo già da anni aveva lasciato la guida della sua "creatura").

Il "divinus" Magister da anni ormai, insinuava che, (dopo mezzo secolo di accuse)pur nel silenzio più totale, qualcosa si stava muovendo negli uffici dell'ex Sant'Ufficio guidato dal Cardinal Ratzinger.

A norma del Motu Proprio ‘Sacramentorum sanctitatis tutela’ promulgato il 30 aprile 2001 da Giovanni Paolo II, l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, ha autorizzato una investigazione delle accuse. Ma và rimarcato che ciò che interessava inquisire a Ratzinger non era la fedeltà al voto di castità del padre Marciel, ma un altro "reato" considerato molto più importante e più grave (ognuno ha le proprie priorità!): il fascicolo con l'accusa, presso l´ex Sant´Uffizio, infatti recava la dicitura latina "Absolutionis complicis (Arturo Jurado et alii - Rev. Marcial Maciel Degollado)". Ovvero: "dell´assoluzione del complice".

Ossia: è ritenuta colpa gravissima quella di un sacerdote che si confessa ed ottiene l'assoluzione da un altro prete con cui è stato complice del "misfatto" di cui si chiede l'assoluzione sacramentale (segnatamente se si tratta di peccato contro il sesto comandamento!).
Se quindi la Congregazione della Dottrina della Fede ha emesso per padre Maciel una "condanna" al silenzio e della penitenza fino alla morte , lo avrà fatto sicuramente tenendo conto dell'accusa di aver violato la santità di uno dei sette Sacramenti e non per aver violato uno dei dieci comandamenti.

La cosa deve essere assai rimarcata soprattutto in vista della morte di padre Macier, e rimarcata da coloro che vorranno opporsi all'apertura del processo di beatificazione.
Non vorrei, infatti, che il 'divinus' Magister oggi assai "gongolante", perchè papa Ratzinger quale umile massaia nella casa del Signore ha fatto pulizia della sporcizia della Chiesa, dovesse un domani stramazzare al suolo venendo a sapere della richiesta di apertura di un processo di beatificazione per il prossimamente defunto fondatore dei Legionari di Cristo.

Non è fanta-religione danbraunesca o una bizzarra provocazione.

La situazione potrebbe benissimo verificarsi: la sbandierata umiltà con cui il fondatore, e la congregazione dei Legionari tutta, si è piamente sottomesso sotto la sacra pantofola del pontefice "ccioiosamente" regnante, potrebbero benissimo essere "propagandate" quali manifestazione di "virtù eroica" del padre Maciel, seguendo la lunghissima teoria di santi oggi canonizzati che in vita furono perseguitati dalle autorità della Chiesa, accusati di eresia, sospesi "a divinis", molti fondatori e fondatrici di ordini religiosi furono scacciati dalle loro stesse congregazioni: l'agiografia è ricchissima di consimili drammatici "fioretti".

Ad esseri obbiettivi, la pubblicizzata "condanna" del Sant'Uffizio è in realtà una "NON condanna".

Ad essere obbiettivi si è trattato di una ufficiale giustificazione del perchè del non procedere da parte del Dicastero vaticano contro padre Maciel: in ragione e per riguardo all'estrema vecchiaia dell'inquisito.
La condanna, quindi, c'è stata solo nella percezione dell'opinione pubblica che al solo sentire nominare la Congregazione della Dottrina della Fede, si immagina macchine di tortura, odore di zolfo e streghe al rogo.

Il vecchio padre Maciel non è stato sottoposto a nessun supplizio della corda, ne è stato scomunicato, me è stato (formalmente!) dichiarato colpevole di aver violato alcuna legge ecclesiastica. Ragion per cui se dopo morto fosse fatto oggetto di devozione chi potrebbe obbiettare seriamente?

Se la tomba di padre Maciel divenisse meta di pellegrinaggi e ci fossero persone che asserissero e comprovassero, certificati medici alla mano, di essere stati guariti dopo aver pregato il fondatore dei Legionari di Cristo?
Tutto il male di cui si è detto dei Legionari di Cristo, anche da parte di porzioni della stessa Chiesa Cattolica Romana, cosa apparirebbe se non meschinità dettate dall'invidia?
E l'invidia spirituale è pericolosissima, come scrive Guido da Cocconato :" ci sono ambienti dentro la Chiesa che vogliono che la Legione di Cristo sia devitalizzata e alla fine, magari, soppressa.

Non è una novità, è stato così fin dalla fondazione, nel 1941. Chi conosce la storia della Legione – pochi ahimé, ma anche chi ne è all’oscuro può sempre leggere la prima parte dell’intervista a padre Maciel, La Mia Vita è Cristo – sa di cosa parlo. E si tratta di ambienti trasversali.

Perché c’è stata sì l’ostilità storica del mondo liberal, con i gesuiti in testa. Ma non solo quella. Tanto per fare qualche esempio, non va dimenticato l’attrito negli anni ’80 e ’90 con l’Opus Dei, che ha visto sbucare dal nulla questi preti conquistadores a farle concorrenza nelle sue piazze di elezione, da Madrid a Città del Messico. Fino a casi “clamorosi” come quello dell’Università Finis Terrae di Santiago, in Cile, una piccola perla che nel 2002 fu acquistata dai Legionari di Cristo bruciando sul traguardo proprio l’Opera, sulla carta ben più potente e favorita.

Così come non va dimenticato che negli Stati Uniti, dalla fine degli anni ’90 a oggi, gli attacchi forse più duri alla Legione sono venuti da giornalisti conservatori o neo-conservatori come Michael Rose, Matt Abbott e da giri come quello della American Family Association. Non va dimenticato neppure che a partire dalla guerra in Iraq, quando nel mirino di certi ambienti USA oltre a Giovanni Paolo II finì il Cardinale Sodano, vero oppositore di quel tipo di operazione politico/culturale, anche i legionari, legatissimi a Sodano e alla sua impostazione, finirono nel mirino.

Infine un esempio recente, che può apparire poco significativo, mentre lo è eccome. E’ chiaro a tutti che la città di Roma è un po’ una rappresentazione in miniatura della Chiesa Cattolica, o meglio una vetrina di ciò che offre oggi il cattolicesimo. E’ altrettanto noto che il cuore culturale e teologico di questa offerta, il complesso delle università pontificie, versa in uno stato di grigiore. Non solo per la frammentazione parossistica degli atenei, ma per l’abbassamento di livello dei docenti, per l’appannamento culturale e l’insignificanza che spesso vi regna. Bene, i Legionari di Cristo nel giro di cinque anni hanno costruito a Roma un centro studi per 400 confratelli. Un ateneo, il Regina Apostolorum, che è diventato il punto di riferimento per una disciplina chiave come la bioetica, e l’unico in costante crescita di iscrizioni, mentre l’anno scorso ha organizzato più incontri e seminari di quanto hanno fatto tutte le altre università Pontificie messe insieme. Così la nuova Università Europea, la prima università cattolica parificata creata in Italia da 40 anni a questa parte, è nata grazie al lavoro e all'abilità organizzativa dei Legionari.
Ma si potrebbe continuare: a Roma i Legionari hanno iniziato a lavorare, con notevoli risultati, in un settore importantissimo e trascurato, quello della vita consacrata femminile, della formazione culturale e spirituale delle suore, diventando lentamente un punto di riferimento per tanti piccoli ordini.... eccetera.

Tutto questo solo per dire che di nemici, per invidia o per ostilità ad una certa visione ecclesiale, la Legione di Cristo ne ha sempre avuti tanti e variegati."




Perciò, dicono i simpatizzanti della "Legio Christi", da sempre, per un motivo o per un altro, si è tentato di "buttare la croce addosso" a padre Maciel e ai suoi figli spirituali che però costantemente hanno reagito "chinando il capo", deferenti ai comandi delle autorità ecclesiastiche.
Si è, infatti, rimarcato da più pulpiti che l'albero piantato dal reverendo Maciel ha prodotto frutti buoni, e gli estimatori di padre Maciel non potranno, nei secoli fedeli, ricordare il detto evangelico secondo cui un albero cattivo non può produrre frutti buoni.
Eppure, a voler essere maliziosi, bisogna ammettere che il libro della Genesi insegna ed ammonisce che anche da un albero che produce frutti "buoni" e "desiderabili" possono derivare inconvenienti gravidi di assai tristi conseguenze!

Forse non lo sapremo mai se i Legionari di Cristo, a dispetto della personale specchiatezza morale dei singoli membri, siano stati vittime di "un peccato di origine".

domenica, giugno 18, 2006

LASCIA CH'IO PIANGA [2]


Il sacerdote scolopio Enrique Iniesta ("maestro, profesor del Real Colegio de los Escolapios de Granada y Vicepresidente del Centro de Estudios Históricos de Andalucía") nell'anno giubilare organizzò un pellegrinaggio a Roma della "Real y Muy Ilustre Cofradía del Cristo de la Expiración y Maria Santisima del Mayor Dolor": una confraternita della "Semana Santa" di Granada, che si portò appresso la statua della Virgen "del Mayor Dolor " (opera dell'artista contemporaneo Luìs Alvàrez Duarte).

Il pomeriggio di domenica 18 giugno del 2000 la Vergine dolorosa, oppressa da un enorme manto di velluto ricamato d'oro, assediata da decine di candelabri d'argento e vasi d'argento stracolmi di fiori bianchi, sotto un sontuoso baldacchino, fu solennemente portata in lenta e dondolante processione al ritmo delle marce funebri, dalla chiesa di San Giovanni dei Fiorentini fino a Piazza San Pietro (e ritorno) in occasione del "Giubileo delle confraternite".
Mai confraternita spagnola aveva "osato" trasferirsi "in toto" per le strade di Roma con tanto di incappucciati e dame con le loro nere mantillas "para que en el Vaticano vieran un ejemplo de lo que es la exaltación religiosa andaluza más espectacular."

sabato, giugno 17, 2006

ex audientia Santissimi

E' inesorabilmente arrivata l'estate financo nei Sacri Palazzi!
"Signum magnum" dell'avvento della calura estiva fin su alla Terza Loggia è stato il cambiamento di mozzetta operato dal Sommo Pontefice "ccioiosamente" regnante che ha sostituito la mozzetta
invernale di velluto rosso bordata di ermellino (indossata ancora il pomeriggio del 3 giugno 2006 per l'incontro con i movimenti in Piazza san Pietro) con la versione estiva in raso paonazzo.

Indossando la mozzetta di raso rosso -e con in più la stola ricamata- Benedetto XVI nella tarda mattinata di venerdì, 16 giugno 2006, ha infatti ricevuto in udienza privata il Presidente della Repubblica del Costa Rica, Óscar Arias Sánchez, nonchè premio Nobel per la pace nel 1987, il quale ha chiesto alla Santa Sede l'appoggio in favore della campagna mondiale per il disarmo da lui promossa.

Arias Sánchez ha regalato al Pontefice un libro fotografico, opera di Mario Bozzo, sui meravigliosi parchi naturali del Costa Rica. Mentre Benedetto XVI, come al solito e con scarsa fantasia, ha ricambiato con delle medaglie del pontificato e una copia, in lingua spagnola, dell’Enciclica “Deus caritas est” (questo passa il convento).

Il colloquio privato fra il Santo Padre e il Premio Nobel è durato 24 minuti ed ha avuto luogo all’interno della biblioteca privata del Papa. Secondo le fonti vaticane, si è svolto in modo “molto cordiale", ma è soprattutto interessante notare che la conversazione si è svolta in lingua spagnola e senza la presenza di interpreti!
Da ciò si evince che il Sommo Pontefice "ccioiosamente" regnante si è ultimanente sottoposto ad un corso intensivo di "castigliano" in vista del viaggio apostolico in Spagna (7e 8 luglio 2006) per l'incontro Mondiale delle famiglie a Valencia.

Il programma prevede l'a visita a "los Reyes" (già incontrati a Castelgandolfo l'anno or sono) ed in assoluto il primo incontro (scontro) del sedici volte Benedetto con il Primo Ministro spagnolo Josè Luìs Rodriguez Zapatero.
Si intuisce che il Papa tiene un vivo desiderio di farsi intenere financo da chi parla l'idioma di Zapaterolandia.

venerdì, giugno 16, 2006

Sive ergo Græci… II


«Pertanto parliamo oggi del fratello di Simon Pietro, sant’Andrea, anch'egli uno dei Dodici.
La prima caratteristica che colpisce in Andrea è il nome: non è ebraico, come ci si sarebbe aspettato, ma greco, segno non trascurabile di una certa apertura culturale della sua famiglia. Siamo in Galilea, dove la lingua e la cultura greche sono abbastanza presenti. Nelle liste dei Dodici, Andrea occupa il secondo posto, come in Matteo (10,1-4) e in Luca (6,13-16), oppure il quarto posto come in Marco (3,13-18) e negli Atti (1,13-14). In ogni caso, egli godeva sicuramente di grande prestigio all'interno delle prime comunità cristiane.

Il legame di sangue tra Pietro e Andrea, come anche la comune chiamata rivolta loro da Gesù, emergono esplicitamente nei Vangeli. Vi si legge: “Mentre Gesù camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone chiamato Pietro e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, perché erano pescatori. E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini»”
(Mt 4,18-19; Mc 1,16-17).

Dal Quarto Vangelo raccogliamo un altro particolare importante: in un primo momento, Andrea era discepolo di Giovanni Battista; e questo ci mostra che era un uomo che cercava, che condivideva la speranza d’Israele, che voleva conoscere più da vicino la parola del Signore, la realtà del Signore presente. Era veramente un uomo di fede e di speranza; e da Giovanni Battista un giorno sentì proclamare Gesù come “l’agnello di Dio” (Gv 1,36); egli allora si mosse e, insieme a un altro discepolo innominato, seguì Gesù, Colui che era chiamato da Giovanni “agnello di Dio”. L’evangelista riferisce: essi “videro dove dimorava e quel giorno dimorarono presso di lui” (Gv 1,37-39).
Andrea quindi godette di preziosi momenti d’intimità con Gesù.
Il racconto prosegue con un’annotazione significativa: “Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia, che significa il Cristo», e lo condusse a Gesù” (Gv 1,40-43), dimostrando subito un non comune spirito apostolico. Andrea, dunque, fu il primo degli Apostoli ad essere chiamato a seguire Gesù. Proprio su questa base la liturgia della Chiesa Bizantina lo onora con l'appellativo di Protóklitos, che significa appunto “primo chiamato”.

Ed è certo che anche per il rapporto fraterno tra Pietro e Andrea la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli si sentono tra loro in modo speciale Chiese sorelle.
Per sottolineare questo rapporto, il mio predecessore Papa Paolo VI, nel 1964, restituì l’insigne reliquia di sant’Andrea, fino ad allora custodita nella Basilica Vaticana, al Vescovo metropolita ortodosso della città di Patrasso in Grecia, dove secondo la tradizione l'Apostolo fu crocifisso.

Le tradizioni evangeliche rammentano particolarmente il nome di Andrea in altre tre occasioni che ci fanno conoscere un po’ di più quest’uomo. La prima è quella della moltiplicazione dei pani in Galilea. In quel frangente, fu Andrea a segnalare a Gesù la presenza di un ragazzo che aveva con sé cinque pani d'orzo e due pesci: ben poca cosa - egli rilevò - per tutta la gente convenuta in quel luogo (cfr Gv 6,8-9). Merita di essere sottolineato, nel caso, il realismo di Andrea: egli notò il ragazzo – quindi aveva già posto la domanda: “Ma che cos’è questo per tanta gente?” (ivi) - e si rese conto della insufficienza delle sue poche risorse. Gesù tuttavia seppe farle bastare per la moltitudine di persone venute ad ascoltarlo.

La seconda occasione fu a Gerusalemme.
Uscendo dalla città, un discepolo fece notare a Gesù lo spettacolo delle poderose mura che sorreggevano il Tempio. La risposta del Maestro fu sorprendente: disse che di quelle mura non sarebbe rimasta pietra su pietra. Andrea allora, insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni, lo interrogò: “Dicci quando accadrà questo e quale sarà il segno che tutte queste cose staranno per compiersi” (Mc 13,1-4). Per rispondere a questa domanda Gesù pronunciò un importante discorso sulla distruzione di Gerusalemme e sulla fine del mondo, invitando i suoi discepoli a leggere con accortezza i segni del tempo e a restare sempre vigilanti.
Dalla vicenda possiamo dedurre che non dobbiamo temere di porre domande a Gesù, ma al tempo stesso dobbiamo essere pronti ad accogliere gli insegnamenti, anche sorprendenti e difficili, che Egli ci offre.

Nei Vangeli è, infine, registrata una terza iniziativa di Andrea. Lo scenario è ancora Gerusalemme, poco prima della Passione. Per la festa di Pasqua - racconta Giovanni - erano venuti nella città santa anche alcuni Greci, probabilmente proseliti o timorati di Dio, venuti per adorare il Dio di Israele nella festa della Pasqua. Andrea e Filippo, i due apostoli con nomi greci, servono come interpreti e mediatori di questo piccolo gruppo di Greci presso Gesù.

La risposta del Signore alla loro domanda appare – come spesso nel Vangelo di Giovanni – enigmatica, ma proprio così si rivela ricca di significato. Gesù dice ai due discepoli e, per loro tramite, al mondo greco: “E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (12,23-24).
Che cosa significano queste parole in questo contesto?
Gesù vuole dire: Sì, l’incontro tra me ed i Greci avrà luogo, ma non come semplice e breve colloquio tra me ed alcune persone, spinte soprattutto dalla curiosità. Con la mia morte, paragonabile alla caduta in terra di un chicco di grano, giungerà l’ora della mia glorificazione. Dalla mia morte sulla croce verrà la grande fecondità: il “chicco di grano morto” – simbolo di me crocifisso – diventerà nella risurrezione pane di vita per il mondo; sarà luce per i popoli e le culture.

Sì, l’incontro con l’anima greca, col mondo greco, si realizzerà a quella profondità a cui allude la vicenda del chicco di grano che attira a sé le forze della terra e del cielo e diventa pane. In altre parole, Gesù profetizza la Chiesa dei greci, la Chiesa dei pagani, la Chiesa del mondo come frutto della sua Pasqua.

Tradizioni molto antiche vedono in Andrea, il quale ha trasmesso ai greci questa parola, non solo l’interprete di alcuni Greci nell’incontro con Gesù ora ricordato, ma lo considerano come apostolo dei Greci negli anni che succedettero alla Pentecoste; ci fanno sapere che nel resto della sua vita egli fu annunciatore e interprete di Gesù per il mondo greco. Pietro, suo fratello, da Gerusalemme attraverso Antiochia giunse a Roma per esercitarvi la sua missione universale; Andrea fu invece l’apostolo del mondo greco: essi appaiono così in vita e in morte come veri fratelli – una fratellanza che si esprime simbolicamente nello speciale rapporto delle Sedi di Roma e di Costantinopoli, Chiese veramente sorelle.



Una tradizione successiva, come si è accennato, racconta della morte di Andrea a Patrasso, ove anch’egli subì il supplizio della crocifissione. In quel momento supremo, però, in modo analogo al fratello Pietro, egli chiese di essere posto sopra una croce diversa da quella di Gesù. Nel suo caso si trattò di una croce decussata, cioè a incrocio trasversale inclinato, che perciò venne detta “croce di sant'Andrea”.
Ecco ciò che l’Apostolo avrebbe detto in quell’occasione, secondo un antico racconto (inizi del secolo VI) intitolato Passione di Andrea:
“Salve, o Croce, inaugurata per mezzo del corpo di Cristo e divenuta adorna delle sue membra, come fossero perle preziose. Prima che il Signore salisse su di te, tu incutevi un timore terreno. Ora invece, dotata di un amore celeste, sei ricevuta come un dono. I credenti sanno, a tuo riguardo, quanta gioia tu possiedi, quanti regali tu tieni preparati. Sicuro dunque e pieno di gioia io vengo a te, perché anche tu mi riceva esultante come discepolo di colui che fu sospeso a te ... O Croce beata, che ricevesti la maestà e la bellezza delle membra del Signore! ... Prendimi e portami lontano dagli uomini e rendimi al mio Maestro, affinché per mezzo tuo mi riceva chi per te mi ha redento. Salve, o Croce; sì, salve davvero!”.

Come si vede, c'è qui una profondissima spiritualità cristiana, che vede nella Croce non tanto uno strumento di tortura quanto piuttosto il mezzo incomparabile di una piena assimilazione al Redentore, al Chicco di grano caduto in terra.

Noi dobbiamo imparare di qui una lezione molto importante: le nostre croci acquistano valore se considerate e accolte come parte della croce di Cristo, se raggiunte dal riverbero della sua luce. Soltanto da quella Croce anche le nostre sofferenze vengono nobilitate e acquistano il loro vero senso.

L'apostolo Andrea, dunque, ci insegni a seguire Gesù con prontezza (cfr Mt 4,20; Mc 1,18), a parlare con entusiasmo di Lui a quanti incontriamo, e soprattutto a coltivare con Lui un rapporto di vera familiarità, ben coscienti che solo in Lui possiamo trovare il senso ultimo della nostra vita e della nostra morte.»
[© Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana]


Benedetto XVI con la suddetta catechesi ha iniziato la sua manovra d'avvicinamento su Istanbul dove atterrerà a fine novembre 2006 (con un anno di ritardo a causa del Governo turco) per far visita al "Trono Ecumenico" in occasione della festa di Sant'Andrea, patrono della "Grande Chiesa"

mercoledì, giugno 14, 2006

Sonetos Fùnebres VII


«Settant’anni fa, il 14 giugno 1936, moriva Gilbert Keith Chesterton, giornalista, scrittore, umorista, critico d’arte inglese convertitosi al cristianesimo in età adulta per – si può dirlo tranquillamente senza timore di offenderne la memoria – sfuggire alla noia.

Tutta la riflessione di questo geniale pensatore inglese si è sviluppata infatti attorno al rapporto noia-gioia, come ha sottolineato uno dei suoi lettori più acuti, l’argentino Jorge Luis Borges: “Chesterton visse nel corso degli anni intrisi di malinconia a cui si riferisce con la definizione fin de siecle. Da questo ineliminabile tedio venne salvato da Whitman e da Stevenson […] Avrebbe potuto essere Kafka e Poe, ma coraggiosamente optò per la felicità”.

Trovatosi sul baratro della vita, Chesterton ormai adulto (la conversione ufficiale avviene nel 1922) si rende conto di quello che dopo di lui e sulle sue tracce sperimentò un altro grande convertito inglese, Clive Staples Lewis e cioè che, innanzitutto, “i cristiani hanno torto ma gli altri sono così noiosi!”.

Questo è il primo passo verso la conversione: scoprire l’avventurosa bellezza della fede religiosa, il tremendo brivido dell’Essere rispetto a quello disperante del Nulla.
Pieno di entusiasmo per la scoperta, Chesterton si tuffa, con la golosità di un bambino, nella fede cattolica che, continua Borges, “secondo lui, è basata sul buon senso.
Arguì che la stranezza di tale fede si attaglia alla stranezza dell’universo, come la strana forma di una chiave si adatta perfettamente alla strana forma di una serratura. In Inghilterra il cattolicesimo di Chesterton ne ha pregiudicato la fama, poiché la gente persiste nel ridurlo a un mero propagandista cattolico. Innegalmente lo fu, ma fu anche un uomo di genio, un gran prosatore e un grande poeta”.

Questo grande poeta è oggi, anche in Italia quasi del tutto sconosciuto. E’ appena uscito, ripubblicato dalla Morcelliana ottanta anni dopo la prima edizione, il suo capolavoro “Ortodossia”, che si chiude con una memorabile pagina sulla gioia, definito “il gigantesco segreto del cristiano”; ma, viene spontaneo chiedersi, quale frequentatore di librerie scoprirà l’esistenza di questo piccolo gioiello?

Un lettore che ha scoperto e fatto tesoro della riflessione chestertoniana è stato Joseph Ratzinger. Anche questo primo anno di pontificato di Benedetto XVI può essere facilmente letto e agevolmente compreso alla luce della dicotomia noia-gioia sin dal primo discorso: “Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande […] non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo”.

La monotonia dell’eresia

Benedetto XVI, come Chesterton, ha scoperto la forza benefica del paradosso e di continuo la sua voce si è alzata per provocare, stimolare e incalzare l’uomo contemporaneo distogliendolo dalle sue pigrizie mentali. Per esempio quando ha invitato i non credenti a vivere “come se Dio esistesse”, parole da brivido sulla bocca di un pontefice.
Come quando sulle montagne della Val d’Aosta ha affermato la “fallibilità” del Papa. Oppure quando, parlando ai giovani polacchi il 27 maggio scorso, li ha esortati dicendo: “Non abbiate paura di essere saggi, cioè non abbiate paura di costruire sulla roccia!”.
Qui è fortissimo l’eco di Chesterton che in Ortodossia afferma: “Taluni hanno preso la stupida abitudine di parlare dell’ortodossia come di qualche cosa di pesante, di monotono e di sicuro. Non c’è invece niente di così pericoloso e di così eccitante come l’ortodossia: l’ortodossia è la saggezza e l’essere saggi è più drammatico che l’essere pazzi. La chiesa non scelse mai le strade battute, ne accettò i luoghi comuni, non fu mai rispettabile. E’ facile essere pazzi; è facile essere eretici; è sempre facile lasciare che un’epoca si metta alla testa di qualche cosa, difficile è conservare la propria testa; è sempre facile essere modernisti, come è facile essere snob”.
In queste battuta in effetti è racchiuso molto del significato del pontificato di Benedetto XVI, un Papa che sa che la chiesa non è mai (né può essere mai) “rispettabile”.
Alle sabbie mobili del relativismo e del nichilismo egli contrappone la chiesa fondata sulla roccia di Pietro. E qui c’è un altro paradosso, quello dell’umiltà, la più controversa delle virtù, che, come ricordava Mario Soldati quando la si ha, si crede di non averla, e come uno pensa di averla, la perde.

La roccia su cui è fondata la chiesa di Cristo, Pietro di Galilea, cioè Benedetto XVI, è una roccia molto fragile. E’ proprio Benedetto XVI a dirlo nelle ultime catechesi pubbliche del mercoledì, tutte incentrate sulla figura dell’apostolo Pietro. In particolare in quella del 24 maggio ha osservato: “La scuola della fede non è una marcia trionfale, ma un cammino cosparso di sofferenze e di amore, di prove e di fedeltà da rinnovare ogni giorno. Pietro che aveva promesso fedeltà assoluta, conosce l’amarezza e l’umiliazione del rinnegamento: lo spavaldo apprende a sue spese l’umiltà.
Anche Pietro deve imparare a essere niente! Quando finalmente gli cade la mascheramaschera e capisce la verità del suo cuore debole di peccatore credente, scoppia in un liberatorio pianto di pentimento. Dopo questo pianto egli è ormai pronto per la sua missione”
.
Il Papa è “niente”. Parola di pontefice.

Il filo paradossale su cui si muove il pontefice- pensatore nel compiere la sua missione, è sottile e inquietante. Solo chi vuole stare al caldo delle sue sicurezze può non farsi inquietare, solo chi non vuole vedere e ascoltare, può ancora fantasticare della “chiesa-corazzata”, chiusa nella sua intolleranza non dialogante, che si muoverebbe verso nuove terre di conquista con la forza e sotto la sferza del Papa-panzer.
Non c’è, invece, Papa più dialogante di questo piccolo uomo tedesco (come sa bene anche il suo amico Hans Kung, per ventisette anni mai ricevuto da Wojtyla e subito accolto da Ratzinger) che avverte con tremore la profondità del Mysterium Ecclesiae, quel mistero espresso efficacemente dall’ennesimo paradosso dell’inglese Chesterton: “Quando, in un momento simbolico, stava ponendo le basi della sua grande società, Cristo non scelse come pietra angolare il geniale Paolo o il mistico Giovanni, ma un imbroglione, uno snob, un codardo: in una parola, un uomo. E su quella pietra Egli ha edificato la sua chiesa, e le porte dell’Inferno non hanno prevalso su di essa. Tutti gli imperi e tutti i regni sono crollati, per questa intrinseca e costante debolezza, che furono fondati da uomini forti su uomini forti. Ma quest’unica cosa, la storica chiesa cristiana, fu fondata su un uomo debole, e per questo motivo è indistruttibile. Poiché nessuna catena è più forte del suo anello più debole”.»

(Andrea Monda; Il Foglio; mercoledì 14 giugno 2006)

Sacra Conversazione /7

Ovvero: "Mariopoli"



Magdi Allam la sera di sabato 10 giugno, in quanto musulmano, è stato invitato a tenere un "sermone" sulla «possibilità del dialogo fra tutti gli uomini di ogni razza e religione a partire da quel valore che è in ogni cosa e che è l'esigenza di verità e bellezza presente in ognuno di noi», in faccia all'inclita schiatta dei ciellini riuniti nello stadio di Macerata prima del pellegrinaggio notturno che li condurrà al santuario della Madonna di Loreto.

«Forse molti di voi non sanno che Maria è venerata nell'islam. Nel Corano vi è un capitolo, La sura di Maria, a lei dedicato; complessivamente il suo nome vi compare una quarantina di volte: viene citata direttamente 16 volte, mentre in 23 casi parlando di «Gesù figlio di Maria» o il «Messia figlio di Maria». Ebbene proprio Maria è la figura unificante del cristianesimo e dell'islam. Il Corano le riserva la massima considerazione: «E quando gli angeli dissero a Maria: "O Maria! In verità Dio t'ha prescelta e t'ha purificata e t'ha eletta su tutte le donne del creato. O Maria, sii devota al tuo Signore, prostrati e adora con chi adora!" (III, 42)». Al pari del cristianesimo, l'islam condivide il mistero della verginità di Maria: «E Maria figlia di Imran, che si conservò vergine, sì che noi insufflammo in lei del Nostro Spirito, e che credette alle parole del Suo Signore, e nei Suoi libri, e fu una delle donne devote (LXVI, 12)».
Il francescano Giulio Basetti-Sani, nella sua opera Maria e Gesù figlio di Maria nel Corano, scrive entusiasticamente: «Da quattordici secoli, basandosi sui testi del Corano nei quali si esalta Maria Santissima, anche le generazioni musulmane l'hanno chiamata Beata! Maria è così un vincolo di unione tra cristiani e musulmani, perché anche nel Corano essa è il modello dell'anima credente che si è abbandonata completamente nel Signore per compiere sempre e generosamente la sua divina volontà. Per tutti, cristiani e musulmani, rappresenta il modello privilegiato di coloro che vogliono cercare Dio».

La dimensione teologica su Maria è confortata da una secolare e straordinaria condivisione popolare del suo culto da parte di cristiani e musulmani.
Dal 18 al 25 maggio scorso, in occasione della nascita della Vergine [ops!], ben due milioni di egiziani di entrambe le religioni si sono riversati nel santuario mariano sul monte Al Tir, a Samallut nella provincia di Al Minya. La Sacra famiglia vi avrebbe sostato per tre notti, nel corso dell'esodo in Egitto che, secondo la tradizione islamica, si sarebbe protratto per dodici anni.

Se visitate il sito www.zeitun-eg.org/zeitoun1.htm potrete vedere le immagini dell'apparizione della Madonna sulla Chiesa copta di Maria nel quartiere di Zeitun al Cairo, immortalata da un fotografo la notte del 2 aprile 1968.
Un'altra apparizione della Madonna è stata registrata il 25 marzo 1986, in un primo tempo da due meccanici musulmani e poi da un numero crescente di persone, sopra la Chiesa di Santa Demiana Martire a Shoubra al Cairo.

In Pakistan c'è una città, Mariamabad, che prende nome da Maria. Il 3 settembre di ogni anno, circa 500 mila fedeli, in gran parte cristiani ma tra loro ci sono anche dei musulmani, partecipano a un pellegrinaggio mariano.
In Turchia il piccolo santuario di Maria a Efeso consta di tre locali: nella sala d'ingresso i fedeli accendono le candele, la camera da letto è stata trasformata in chiesa, mentre una sala con camino è adibita a luogo di preghiera per i musulmani.

Ebbene se i musulmani condividono la devozione e i pellegrinaggi mariani nei Paesi musulmani, perché mai non lo dovrebbero fare nei Paesi cristiani?
Ecco perché lancio un appello ai musulmani d'Italia: facciamo del culto di Maria un momento unificante della spiritualità con i cristiani e facciamo del pellegrinaggio di Loreto un momento di condivisione della fratellanza religiosa tra tutte le persone di buona volontà.»

martedì, giugno 13, 2006

Sacra Conversazione /6

Ovvero: Magdi Allam sul Corriere della Sera del 13 giugno 2006 denuncia:
"Sito islamico educa i bimbi all’odio. Quiz e videogiochi antisemiti nelle pagine web curate dai Fratelli Musulmani"



«Lo sai fanciullo musulmano che gli ebrei hanno assassinato 25 profeti di Dio e che la loro storia nera è colmadi criminali omicidi e di corruzione? ».
Comincia così la rubrica «Lo sai?», nel sito Awaladuna, I nostri bambini, gestito dai Fratelli Musulmani (www.awladnaa.net).
Il logo ritrae lo stereotipo dell'ebreo carnefice con in testa la kippà, lo sguardo truce e il ghigno crudele, in mano un coltellaccio che gronda di sangue fino a formarne una pozza per terra. Succede oggi, proprio mentre l'Occidente si affanna a corteggiare i Fratelli Musulmani in Egitto, nei territori palestinesi e anche in Italia, illudendosi che siano un antidoto al terrorismo di Bin Laden.

Il quiz, in lingua araba, così prosegue: «Lo sai che gli ebrei assassini sono quelli che più di altri hanno offeso e oltraggiato il nostro Signore, Eccelso e Potente?»; «Lo sai che gli ebrei hanno tentato più volte di uccidere il nostro amato Profeta, ma Dio lo ha protetto dalla loro malvagità?»; «Lo sai che il male e la perversione diffusi oggi nel mondo sono il frutto delle azioni e degli intrighi degli ebrei che vogliono distogliere la gente dalla via di Dio?»; «Lo sai che gli ebrei che occupano la nostra terra e i nostri luoghi sacri nell'amata Palestina hanno progettato di occupare gli altri territori musulmani, e hanno pianificato di estendere la Grande Israele dal Nilo all'Eufrate e vogliono profanare la tomba del nostro amato Profeta?»; «Lo sai che gli ebrei istigano tutto il mondo contro l'islam e i musulmani con il pretesto di combattere il terrorismo e hanno ordito complotti contro gli altri Paesi musulmani come hanno fatto in Iraq e in Afghanistan?».

Nella rubrica «Le scienze e l'informazione » si legge questo titolo: «L'assassinio dei bambini è parte della fede ebraica».

Nello spazio riservato ai «Giochi e concorsi», c'è un videogame dal nome «La strada per Gerusalemme ». Sullo sfondo si vede la Spianata della moschea di Al Aqsa e della Cupola della Roccia, il terzo luogo di culto sacro dell'islam, a sinistra un aereo caccia con la scritta «Allah è grande ». Cliccandoci sopra si abbattono dei simboli con la stella di Davide che scorrono sullo schermo. Più se ne colpiscono, più ci si avvicina alla vittoria che coincide con la distruzione di Israele.
Tant'è che in un poster dal titolo «La nostra festa sarà il giorno della liberazione della nostra terra», si vede la cartina di uno Stato palestinese che si estende anche sulla superficie di Israele, che è stato letteralmente cancellato. In un altro poster dal titolo «Giuro che mi vendicherò, ma per Dio e per la religione», si vede un bambino di quattro o cinque anni che a muso duro impugna un kalashnikov.

Nella rubrica «La mia grande patria» si indica che Siviglia e l'Andalusia sono parte della terra islamica.

Nella rubrica «Cultura generale» compare un albero i cui rami simboleggiano le battaglie vinte da Maometto contro le tribù ebraiche e pagane, con la scritta: «Il Profeta ha condotto il Jihad (la guerra santa) contro gli infedeli e gli ipocriti e li ha sconfitti. L'inferno è il loro rifugio e il loro destino è la dannazione! ».

In un commento pubblicato sul sito liberale www.metransparent.com, l'intellettuale svizzera di origine yemenita Elham Manea ha esclamato: «Mio Dio, non dovremmo forse vergognarci di noi stessi? Quali informazioni vengono inculcate nelle teste dei nostri ragazzi? Di quale odio e quale astio cieco vengono riempite le loro menti?». Siffatti discorsi hanno un nome, il loro nome oscilla tra «il fanatismo esplicito contro chiunque professi la religione ebraica» e la «ostilità totale contro gli ebrei».
"La Manea sottolinea così il suo stupore: «Non ci credevo perché i Fratelli Musulmani continuano a ripetere che non odiano nessuno e che secondo la loro interpretazione la religione islamica è una religione di pace, che non hanno alcun problema con gli ebrei né con la religione ebraica, bensì con lo Stato di Israele e le sue azioni repressive contro il popolo palestinese».
La verità è esattamente opposta: l'odio nei confronti degli ebrei e la negazione del diritto di Israele all'esistenza sono due facce della stessa medaglia.
Eppure facciamo finta di niente.
Sappiamo che Hamas, la sigla che rappresenta i Fratelli Musulmani palestinesi, mira esplicitamente all'annientamento di Israele, ma ci ostiniamo a immaginare che in virtù della realpolitik prima o dopo cambierà atteggiamento. Lavandoci di fatto le mani e abbandonando Israele al suo destino. Così come sappiamo che l'Ucoii, la sigla che rappresenta i Fratelli Musulmani in Italia, disconosce il diritto di Israele all'esistenza e legittima gli attentati terroristici palestinesi, eppure è stata accreditata come interlocutore dello Stato..."

Si Queris Miracula

Ovvero: Come mirabilmente accade che una pisciatina d'acqua benedetta del fu Commissario Tecnico italico, nonchè opusdeista, Giovanni Trapattoni nulla potè a fronte di una nazionale italica formata da pubblici peccatori; mentre assaissimo potè, e può, la devozione allo Spirito Santo della protestante nazionale carioca.



Faccia da bravi ragazzi, correttezza in campo, mani giunte prima della partita, segni della croce. Sono brasiliani. Qualcuno nato nelle favelas. Loro sono i calciatori più forti del mondo. E sono (quasi) tutti di fede evangelico pentecostale.

Luglio 2002. In Giappone e Corea la nazionale verde-oro ha rifilato due gol alla Germania. Il portiere Marcos se ne sta sulla linea di porta, mani levate al cielo, solo con le sue preghiere. Kakà e Lucio sono a terra, abbracciati, fasciati dalla bandiera dell’ordem e del progreso, in religioso raccoglimento. Zé Roberto, defilato, alza gli occhi al cielo.
Così tutti gli altri, in un tripudio di magliette con la scritta “I belong to Jesus”, io appartengo a Gesù. Un messaggio forte, al punto che la Fifa ha vietato ai giocatori di manifestare il proprio credo in campo, con gesti o sottomaglie esplicite.

Quattro anni dopo, c’è attesa: come si comporteranno i brasiliani, favoritissimi? Se lochiedono i numerosi gruppi evangelico pentecostali teutonici, che sulle loro pagine web dedicano ampio spazio a questi messaggeri di Gesù o, come qualcuno gli ha chiamati, agli “atleti di Dio”.

In cima alla lista, l’imprendibile e geniale Kakà, uno dei pochi che non ha vissuto l’esperienza delle baraccopoli, ma che al contrario è cresciuto nell’alta borghesia paulista. Nel dicembre scorso ha sposato la sua Caroline: “Perché è una persona che piacerebbe tanto anche a Gesù”. Luogo della cerimonia, la chiesa evangelica di San Paolo “Renascer em Cristo”, punto di riferimento anche per tanti atleti pentecostali.

E che dire di Adriano, Imperatore nerazzurro, che la sua fede in Cristo l’ha riassunta nel tatuaggio sul braccio: “Gesù vive con me, Gesù sta con me e io sto con Gesù”. L’esperienza degli slums di San Paulo l’ha vissuta eccome Zé Roberto, in forza al Bayern Monaco.
Proprio la Bundesliga del protestantissimo paese ospitante è il serbatoio ideale per gli atleti di Cristo.
E’ dello Stoccarda il goleador Cacau, considerato un santone, quasi un erede dell’“italiano” Amarildo (ex Cesena) che negli anni ’80 regalava Bibbie agli avversari. Cacau ha trovato un escamotage per aggirare il divieto Fifa: dopo ogni rete solleva la maglia scoprendo una canotta dal (poco) sibillino quanto pacifico messaggio “J….”.
E poi c’è il roccioso stopper Lucio, anche lui Bayern. O Marcelo Bordon dello Schalke 04. Tra i più ferventi, troviamo anche la mezzala del Barcellona campione d’Europa Edmilson.
Il sito internet dall’eloquente indirizzo www.fussballgott.com racconta le loro storie.
In ultimo il fenomeno dei fenomeni. No, non Ronaldo, ma Ronaldinho. Non compare ufficialmente tra gli atleti di Dio, ma chi gli chiedesse: “Donde viene mai sì straordinario talento?”, lui non può che rispondere, sorriso sulle labbra: “Dalla mano di Dio”.

(Il Foglio ; martedì 13 giugno 2006)

sabato, giugno 10, 2006

Assassinio nella Cattedrale

Ovvero: come mirabilmente avvenne che l' "orrido" Camillo Langone, studiando il nuovo, monumentale dizionario “I nomi di persona in Italia” (Utet) sia venuto a conoscenza del luogo ed, eziandio, della data di morte dei nomi dei santi patroni, con relativi colpevoli e complici.
[Il Foglio; sabato 10 giugno 2006]



Baudolino (cattedrale di Alessandria).

E’ stato ucciso dall’indifferenza dei cittadini alessandrini nel 1969.
Da quell’anno più nessun bambino è stato chiamato col nome del santo patrono che aveva protetto la città dalla fondazione, per otto secoli, riuscendo a salvarla perfino da Federico Barbarossa.

Se l’alessandrino Luigi Tenco non si fosse sterilmente suicidato a Sanremo, avrebbe potuto dare un senso alla sua vita mettendo in cantiere un piccolo Baudolino che sarebbe stato sicuramente più bello della canzone bocciata al festival.
La cattedrale di Alessandria accoglie, in un tripudio di candele elettriche, le statue dei patroni delle 24 città della Lega Lombarda. Sono per lo più inerti decorazioni, senza rapporti coi nomi e quindi con le cose del nostro tempo. Uno dei pochi meriti di Umberto Eco consiste nell’aver intitolato un suo romanzo “Baudolino”: non è servito ma almeno ci ha provato, a resuscitare un nome un tempo molto diffuso in Piemonte il cui significato è “amico coraggioso” [...].

Chiafreddo (cattedrale di Saluzzo).

Saluzzo diede alla patria Bodoni il gran tipografo, Pellico il gran prigioniero, Bergese il grande cuoco, Dalla Chiesa il gran carabiniere. Da quindici anni non dà più nemmeno un Chiaffredo.
L’ultimo venne calpestato in cattedrale dai fedeli distratti nel 1991.

Quei saluzzesi avevano altri nomi e altre storie a cui pensare: era l’anno di “Castelli di rabbia”, il fortunato esordio di un giovane corregionale, Alessandro Baricco. Il protagonista del romanzo si chiamava Dann.

Grato (cattedrale di Aosta).

Gli irriconoscenti cittadini aostani, notoriamente interessati solo a riempirsi le tasche di buoni benzina a spese dei cittadini italiani che pagano le tasse anche per loro, hanno ucciso Grato nel 1963.
Ricavo la ferale notizie da “I nomi di persona in Italia”, il nuovo, prodigioso, dizionario onomastico Utet compilato da un gruppo di linguisti torinesi capeggiati da Alda Rossebastiano.

Nella cattedrale di Aosta ancora si conservano le reliquie di san Grato vescovo, ma sembra che quegli ossicini non siano più buoni nemmeno per il brodo. Nessuna mamma valdostana intende onorare il patrono del capoluogo dando il suo nome al proprio pargolo. Una volta erano dedicate a San Grato le confraternite che aiutavano i contadini rovinati dal maltempo, oggi ai risarcimenti per la grandine ci pensa Pantalone, che ad Aosta più che altrove fa rima con corruzione.

Secondo (collegiata di Asti e cattedrale di Ventimiglia).

Per chiamare un bambino Secondo bisogna che esista un Primo e che si ipotizzi un Terzo. Difficile che ciò avvenga presso un popolo morente da 1,3 figli per donna. Anzi impossibile, siccome Secondo è stato assassinato nel 1992.
Chi è stato?
Il dizionario Utet segnala solo la data dei delitti, per quanto riguarda i luoghi vengono avanzate ipotesi (Asti o Ventimiglia) mentre su colpevoli e complici ho
notato un certo riserbo. Niente paura, le indagini le completo io: il 1992 era l’anno del trattato di Maastricht, la più grande cessione di sovranità che governo italiano (in questo caso l’Andreotti Sette) abbia mai firmato. E senza nemmeno la scusa di una pistola puntata alla tempia. Nell’uomo come negli animali cattività e sterilità vanno di pari passo: il numero medio di figli per donna, che da un paio di anni si manteneva stabile, basso ma stabile, ebbe un ulteriore cedimento. Giulio Andreotti, per chi non se lo ricordasse, era lo stesso uomo politico che firmò la legge autorizzante l’aborto [...].

Omobono (cattedrale di Cremona).

Scrive Lévi-Strauss: “Ogni nome possiede una determinazione culturale che permea
l’immagine che gli altri si fannodel portatore e che, attraverso vie sottili, può contribuire a modellare la sua personalità in maniera positiva o negativa”.
Bisognerebbe verificare l’incremento di cattiveria (reati eccetera) registrato a Cremona dal 1987, anno in cui Omobono è stato soffocato in cattedrale con la complicità del clero. Era ancora fresco il nuovo codice di diritto canonico, dove si legge: “I genitori, i padrini e il parroco abbiano cura che non venga imposto un nome estraneo al senso cristiano”. Formulazione vaga per non dire pilatesca, vattelapesca il senso cristiano. Sembra di capire che un prete, al massimo, può obiettare se gli sottopongono un disgraziatino da battezzare come Belfagor o Seiseisei, per il resto il codice non alza alcun argine al dilagare dell’onomastica bariccoide dei Danny (982 bambini spuntati proprio a fine Ottanta) e dei Denny (1.102).

Intanto il nome di Sant’Omobono, “uomo semplice, fedelissimo e devotissimo”, partecipe del senso cristiano come pochi, riposa in pace.

Berica (basilica di Vicenza).
La Madonna di Monte Berico è ancora, dicono, patrona di Vicenza, ma a Berica hanno tagliato la gola nel 1982. Da allora più nessuna bambina è stata battezzata (o anche non battezzata) con questo nome, a Vicenza (o anche non a Vicenza).
In compenso quell’anno Jessica Lange vince il premio Oscar, e il suo nome dilaga per il Veneto.

Vent’anni dopo, con Berica dimenticata nella cassa, lo scrittore Vitaliano Trevisan, vicentino e bernhardiano, spande queste righe: “L’unica cosa che raggiunge il cielo, nello spaventoso buco di provincia che è il nostro comune, ma anche tutta la provincia e certamente l’intera regione del Veneto e in definitiva tutta la nazione, è la puzza del cattolicesimo”. Trevisan ha un buco al posto del naso e confonde Cristo con Hollywood.

Petronio (basilica di Bologna).

I nomi sono conseguenza delle cose e l’assenza delle cose è conseguenza dell’assenza dei nomi. Che in piazza Verdi non esista legge (per quanti ruggiti faccia Sergio Cofferati, leone sdentato che non mette paura nemmeno al cane più pulcioso di punkabestia), che in piazza Maggiore non esista tranquillità (la basilica è transennata e poco agibile per timore di attentati musulmani), certo è dovuto all’affievolimento del patronato di San Petronio sulla città, a sua volta dovuto alla fine di una tradizione onomastica che univa la terra al cielo e saldava le generazioni in un vincolo a prova di bomba.

Nell’ormai lontano 1974 i bolognesi uccisero il bambino Petronio e più nessuno ha pensato di riportarlo in vita.

Nell’ormai lontano 1974 il professor Giovanni Brizzi chiamò suo figlio Enrico. Pensava forse che se lo avesse chiamato Petronio “Jack Frusciante” avrebbe venduto di meno? Eppure Brizzi, specialista di storia romana, non poteva ignorare Petronio Arbitro, il primo grande romanziere sorto in Italia.
In questi trent’anni su Bologna si è scritto, detto e cantato anche troppo, senza mai arrivare al nocciolo della questione. Ad esempio nessuno ha mai detto che l’affresco antimaomettano nella basilica di San Petronio non si protegge con spiegamenti di polizia ma col restauro delle convinzioni culturali quindi cultuali, perciò anche onomastiche, che ne sono alla base.
“Nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino” cantava Lucio Dalla, e invece il bambino si è perso eccome. Ma forse è un caso di morte apparente: se domani il bambino Petronio venisse riportato in vita sono sicuro che la città sarebbe salva.

Apollinare (basilica di Ravenna).

E’ morto addirittura nel 1970, Apollinare.
“Abbi cura del nome, perché esso ti resterà più di mille grandi tesori d’oro” scrive il Siracide. I ravennati hanno fatto il contrario: hanno lasciato morire il nome e hanno continuato a spolverare i mosaici luccicanti di Sant’Apollinare Nuovo. Per non perdere i turisti, mica per altro (ingresso in basilica euro 7,50, studenti e soci Touring 6,50, giornalisti e militari gratis).
Perduto il nome, perduta la ragione del luogo: oggi Sant’Apollinare Nuovo è un non-luogo, perfettamente riproducibile a Las Vegas, e Ravenna che fu capitale del mondo è solo un cadavere neanche troppo squisito.

Ceccardo (duomo di Carrara).

Il duomo di Carrara non si può dire propriamente cattedrale perché oggi il vescovo risiede a Massa. Forse concattedrale, o nemmeno, comunque la sostanza tragica non cambia: è qui che nel 1976 venne soppresso Ceccardo.

Il poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi all’inizio del secolo scrisse “Colloquio d’ombre”, come se presagisse qualcosa. Nel ’76 nessuno prestò attenzione a questa morte, si preferì festeggiare la nascita del quotidiano “La Repubblica”, di linea abortista e quindi ceccardicida.
Oggi nessun bambino si chiama come l’antico vescovo di Luni, protettore della città delle cave. E il duomo suona a vuoto, come fosse stato costruito solo per fare pubblicità al marmo locale.

Rufino (cattedrale di Assisi).

Nel 1990 arrivò ad Assisi il capo musulmano Yasser Arafat, andò a torcere il collo sulla tomba di San Francesco, i frati si sdilinquirono, lui regalò loro un presepe in madreperla, i frati si risdilinquirono, pensarono di essere l’ombelico del mondo, si esaltarono, si agitarono, lo spirito di Assisi che bisognerebbe capire chi lo manda si mise a soffiare, a ululare, agitando tonache e cervelli e sandali.
Nel parapiglia i frati, forse senza volerlo, schiacciarono Rufino. Che poi San Rufino è il santo a cui è dedicato il duomo, centro della vita religiosa secolare, e non la basilica, centro della vita conventuale dedicato a San Francesco, ma siccome per molti anni i frati hanno goduto di sovraesposizione mediatica ciò che succedeva in basilica si rovesciava su Assisi tutta. Compreso il Padre Nostro recitato a favore di telecamera dal catastrofico custode del Sacro Convento assieme all’imam di Perugia.
Il motu proprio di papa Benedetto XVI ha imposto ai frati comportamenti più composti ma Rufino non è ancora resuscitato.
Che fare?
Il nuovo vescovo deve andare ai corsi prematrimoniali e raccontare ai fidanzati ivi riuniti la storia di questo santo che per rimanere fedele a Cristo si fece gettare nel fiume conuna pietra al collo.
Lì si parrà la nobilitate di monsignor Sorrentino: vediamo se riuscirà a persuadere qualche futura mamma.


Crescentino (cattedrale di Urbino).

Il bambino Crescentino è stato ucciso qui, tra le candele elettriche e le locandine di Famiglia Cristiana, nel 1990 come Rufino.

Il santo Crescentino, disgustato, non fa più crescere il nome di Urbino nel mondo ma anzi lascia che ogni anno la sua università si rimpicciolisca. Siccome l’onomastica non tollera vuoti, il ’90 fu l’anno di Kevin.
Grazie al premio Oscar vinto da Kevin Costner per “Balla coi lupi”, molti genitori italiani non ebbero più dubbi. O meglio, ebbero solo dubbi ortografici: il dizionario Utet segnala 1.808 Kevin, 11 Kewin, 8 Kevyn, 5 Keven. Ci sarebbe voluto il Regio Decreto numero 1238 del 9 luglio 1939 ma lo avevano cancellato nel ’66, anno di alluvioni e calate dei Beatles. Prescriveva saggiamente così: “E’ vietato imporre al bambino lo stesso nome del padre vivente, di un fratello o di una sorella viventi e, se si tratta di bambino avente la cittadinanza italiana, anche nomi stranieri”.
E’ improbabile che anche uno solo dei succitati genitori abbia inteso onorare San Kevin, monaco irlandese.

Magno (cattedrale di Anagni).

Nella città dei papi e di Manuela Arcuri, di cui san Magno vescovo e martire è patrono, c’è la cattedra ma non ci sono i discepoli.
Magno è stato fatto fuori nel 1994, il delitto è recente.

Quando si spegneva il nome del loro protettore in che faccende erano affaccendati gli anagnini?
A smantellare il culto non erano riusciti nemmeno i saraceni che nel IX secolo rubarono le reliquie (poi recuperate).
Forse aveva ragione Alain De Benoist, forse il nemico principale è un altro. Chiamiamolo nichilismo, il formidabile debilitante mentale che strema i genitori e impedisce loro di chiamare il proprio figlio con un nome che significa “grande”.

Cetteo (cattedrale di Pescara).

Si chiamava Cetteo il padre di Ennio Flaiano e si è chiamato Cetteo qualche altro pescarese fino al 1986, quando il nome è stato messo a morte.

Negli annali cittadini si ricorda che l’86 fu contrassegnato da scontri violenti, con numerosi feriti. Ma non era l’estrema difesa dei difensori di Cetteo contro i nemici del santo patrono: si trattava semplicemente di tifosi del Pescara e della Lazio.
Il sommo erudito Alfredo Cattabiani racconta in “Santi d’Italia” che san Cetteo, vescovo di Amiterno, venne gettato dai longobardi nel fiume Pescara con una pietra al collo (lo stesso metodo usato con Rufino). “Le loro ossa rifioriscano dalle tombe e il loro nome si perpetui sui figli” dice il Siracide. Se i genitori pescaresi la piantassero di dare ai figli nomi già pronti per le botteghe di modernariato (Ivan ovvero Scalfarotto, Jarno ovvero Trulli, Giada ovvero Colagrande), lascerebbero un segno più durevole del loro passaggio in questa valle di lacrime.

Archelao (cattedrale di Oristano).

Il dizionario Utet dice che l’onomastica religiosa maschile tiene meglio di quella femminile.
Il fenomeno è sotto gli occhi di tutti: Luca, Marco e Matteo vanno sempre piuttosto bene, a differenza di Anna e di Maria, che retrocedono continuamente, per non dire di Assunta, Carmela, Immacolata, un pianto.
Questo in generale, perché in particolare abbiamo visto quale strage di nomi maschili innocenti sia stata compiuta dalla modernità.

Nonostante sia indiscutibilmente virile (in greco significa “capo del popolo”), nemmeno Archelao ce l’ha fatta. E’ stato ucciso nella cattedrale di Oristano nel 1981.

Nulla ha potuto la Madonna del Rimedio, onorata nella cappella in fondo a destra. Stavolta non possono accusare i turisti perché Oristano è dalla parte opposta della Costa Smeralda. Sono stati i sardi, altroché.
Sant’Archelao invece fu lapidato per ordine dell’imperatore Traiano: la colpa era la solita, la conversione al cristianesimo.
“Il patrocinio del santo offre un modello di carità ed assicura la sua intercessione” ricorda il catechismo agli oristanesi dimentichi. Effettivamente c’è un gran bisogno di conversione e il battesimo di nuovi Archelao sarebbe un segno di speranza per tutta la Sardegna.

mercoledì, giugno 07, 2006

Comunismo e ricreazione

ovvero: Lettera ad una Bertinottessa.

Il Presidente della Camera dei Deputati Fausto Bertinotti come accennò nel proprio discorso d'insediamento : "andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione", il 5 giugno ha principiato la sua visita pastorale ai "luoghi comuni" sacri ad una porzione della società italiana, dal paesello di Barbiana (nel "rosso" Mugello), luogo indissolubilmente legato all'esperienza pastorale di Don Lorenzo Milani: icona e "profeta" della democratica, laica, libera, formativa e meritocratica scuola italiana ovviamente solo quella statale, come detto sempre nel discorso d'investitura:
" Per questo noi vogliamo contare sulla scuola come una parte fondamentale nella costruzione di una nuova convivenza; e vorrei qui ricordare il lavoro prezioso delle insegnanti e degli insegnanti che costituiscono un patrimonio per il futuro del nostro paese. Un patrimonio con cui lavorare per sconfiggere la peggiore delle selezioni di classe, quella che può colpire in giovane età ragazze e ragazzi, spingendoli all'esclusione. E vorrei ricordare da questa tribuna la lezione, in cui vorrei tutti ci riconoscessimo, di una grande coscienza civile e di un riformatore del nostro paese che di questo tanto ci ha insegnato: don Lorenzo Milani."

Ma la scuola di Barbina cos'era se non una "scuola privata"?
Una scuola "popolare", gratuita ma pur sempre "privata" o per meglio dire "non statale"?
Ovviamente un Bertinotti, proprio perchè non c'erano rette d'iscrizione, risponderebbe che la "rivoluzionaria", "libera" ( e cioè "pubblica") scuola di don Milani era quindi vera icona di come deve essere un'autentica Scuola statale.
Dal che si evince che, per un Bertinotti, è alla propria fazione politica che fu demandato (da Dio? dal Proletariato? dalla dialettica della Storia?) l'attuazione nella Scuola pubblica (cioè statale) delle intuizioni, e delle rivoluzioni educative proprie della scuola (privata) di don Milani. E che -come logica conseguenza- la Sinistra, con la contestazione studentesca sessantottina, ha pienamente "inverato" nella Scuola italiana l'utopico progetto educativo della scuola di Barbiana!
Sarà per questo che la Sinistra si oppone ad ogni altra possibile riforma scolastica?
Forse che qualunque ulteriore "riforma" eliminerebbe quella "perfezione" educativa della Scuola italica di cui "il compagno" don Milani sarebbe il nume tutelare?

Lorenzo Milani era un ebreo assai benestante che, crebbe in una ambiente culturale completamente agnostico -mai aveva sentito pronunciare il nome di Cristo- ed ebbe una una raffinata educazione altoborghese. Si convertì al cattolicesimo, si fece prete e da quel giorno: contestò, contestò e contestò ancora; e la mentalità borghese, e un clero diffidente della Modernità; ma fino alla morte continuò tutte le mattine a celebrare la santa Messa e tutte le sere a recitare il santo Rosario.

Denunciò apertamente il "buon costume" di sfruttare il Cristianesimo e Gesù Cristo per benedire il proprio conservatorismo sociale ed economico, di un asservimento della Chiesa e dei suoi riti quale baluardo della mentalità borghese. Un Cattolicesimo, ridotto a ninnolo rassicurante della collezione di "buone cose di pessimo gusto" della nonna.

Morì nel 1967.
Mentre moriva si fece leggere la passione di Cristo secondo tutti e quattro i vangeli per far sentire a sua madre come è che muore un cristiano.
A don Milani non sarebbe piaciuto il '68.

E chiaro che Bertinotti può costruirsi i suoi "miti", il suo personalissimo "oppio dei popoli", ma ad un don Lorenzo Milani la Scuola italiana, così tanto sbandierata come "pubblica" non piacerebbe per niente.
Anche oggi contesterebbe, contesterebbe e contesterebbe una scuola il cui unico indubbio merito è quello di incoraggiare le dinamiche di socializzazione degli studenti che stazionano sui motorini fuori dal cancello dell'istituto scolastico.

Don Milani alla Professoressa denunciava una Scuola che dagli studenti voleva solo che sapessero i nomi degli dei e degli eroi omerici. Ma forse che oggi il "ragionare" per slogan, per frasi fatte e per luoghi comuni sia intellettualmente più stimolante del nozionismo del tempo che fu?

In una conferenza ai direttori didattici tenuta nel '62 su invito di Fioretta Mazzei (cioè la più stretta collaboratrice di Giorgio La Pira) don Lorenzo Milani parlando del suo progetto educativo, disse che: il suo metodo è estratto direttamente dalla cultura contadina, “austera e non permissiva ”.

Don Milani a quarant'anni dalla morte -ammettiamolo- ci sembra che parli con il linguaggio di un personaggio da ancien regime.
Che centra don Milani con la sua idea di una educazione che appassioni lo studente alla realtà , e la realtà nella sua totalità; avendo a cuore ogni fattore del reale ed attenzione alle loro intime connessioni; con il feriale andazzo dei nostri contemporanei plessi scolastici?
E della scuola statale, innanzitutto. Che, ovviamente, è la sola e unica vera istituzione su cui, come la nutella sul pane sciapo, è stato spalmato lo -santissimo- spirito educativo di don Lorenzo Milani.

Se il presidente Bertinotti vuol credere a queste pie leggende della Sinistra, libero di farlo, ma -mi raccomando!- lo faccia "privatamente".
Non "confessionalizzi" la sua carica istituzionale in obbedienza a dei dogmi di partito: "l'obbedienza non è più una virtù"!

Santa anche Subito! 5

Ovvero: Daniela Santanchè, Parlamentare di Alleanza Nazionale intervistata da Ilaria Mazzarotta ( Metro, lunedì 5 giugno 2006)

"Perchè ha "punzecchiato" alle Iene la [ops!] collega onorevole Vladimir Luxuria sulla presunta bruttezza delle sue gambe?

Non sono punzecchiature, come al solito i giornalisti amano montare un caso. Volevo solo invitare una persona che stimo a mostrare le gambe. La mia "paura" era che si fosse subito omologata al suo ruolo istituzionale.

Luxuria ha poi seguito il suo consiglio e si è presentata [ri-ops!]
a Montecitorio in minigonna. Che ne pensa?


Mi ha fatto piacere vederla apprezzare il mio consiglio, anche perchè credo che ognuno debba essere se stesso.

E' vero che quando ha visto Luxuria in gonna le ha fatto i complimenti per le gambe?

No, anzi. Dopo averla vista penso sia meglio che continui a mettere i pantaloni! Ci tengo, comunque, a dire che noi due andiamo d'accordo e che queste sono solo battute. Sono altre le cose importanti.

Lei continuerà a mostrare le gambe con le sue gonne e i tacchi a spillo?

Non ne faccio un vanto, sono fortunata ad avere le gambe che ho, ma non è un merito. Continuerò a vestirmi come credo, finchè mi reggono le gambe!"

domenica, giugno 04, 2006

Historia Ecclesiastica Anglorum

Come mirabilmente avvenne che, ai primordi del secolo XXI,
Taylor Marshall: prelato anglicano, nonchè famoso blogger; insieme alla moglie e ai figli; abiurata l'eresia, piamente si sottomettesse alla Santa Madre Chiesa Cattolica Romana:


Ovvero: "My Canterbury Trail to Rome"


«I was not always drawn to the Catholic Church. I once resisted it with great force. As a college student I believed that Pope John Paul II was the Antichrist and that the Catholic Church was the Scarlet Whore of Babylon described by St John in the Apocalypse...

Why would a man in his right mind want to become a Catholic?!
Fundamentally, I am a Catholic because I believe with all my heart that the Church is the Body of Christ. The Church is not the invisible Soul of Christ. There is no such thing as "an invisible Church," because the Church is defined as "the Body" which is a visible empirical reality.»
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«Avevo iniziato il mio Essay on the Development of Doctrine ai primi del 1845, e ci lavorai intensamente per tutto l'anno, fino ad ottobre. Mentre procedevo, i dubbi mi si chiarirono, tanto che cessai di parlare di "cattolici romani" e li chiamai arditamente "cattolici" e basta. Prima di giungere al termine dell'opera decisi di entrare nella Chiesa cattolica e il libro è rimasto nelle condizioni di allora, cioè incompiuto»
«L'8 ottobre 1845 scrissi a molti miei amici la seguente lettera.
"...Aspetto staserapadre Domenico, dei Passionisti...
Io lo vidi per qualche minuto il giorno di San Giovanni Battista dell'anno scorso. E' un uomo semplice e pio; dotato di notevoli qualità. Non conosce le mie intenzioni, ma io intendo chiedergli di essere accolto nell'unico ovile di Cristo...
P.S. Questa lettera non partirà finchè non sarà tutto fatto. Naturalmente non aspetto risposta.»

«Dal momento in cui divenni cattolico, naturalmente non ho più da narrare una storia delle mie opinioni religiose. Con questo non intendo dire che la mia mente sia rimasta in ozio o che io abbia smesso di meditare su argomenti teologici; ma non ho più avutovariazioni da registrare; più nessuna anzia del cuore.
Ho goduto una perfetta pace e tranquiliità; non mi è venuto più un sol dubbio. Al momento della conversione non mi rendevo conto io stesso del cambiamento intellettuale e morale operato nella mia mnte. Non mi pareva di avere una fede più salda nelle verità fondamentali della rivelazione, nè una maggior padronanza di me; il mio fervore non era cresciuto; ma avevo l'impressione di entrare in un porto dopo una traversata agitata; per questo la mia felicità, da allora ad oggi; è rimasta inalterata.

Non ebbi difficoltà ad accettare gli articoli di fede che non sono inclusi nel credo anglicano. In alcuni credevo già; e nessuno rappresentò per me un problema. Al mio ingresso nella Chiesa cattolica li accettai con la massima facilità e con la stessa facilità li professo ora.
Naturalmente mi guardo bene dall'affermare che ogni articolo del credo cristiano, sia nell'interpretazione cattolica che in quella protestante, non sia irto di difficoltà; è la pura verità che io per primo non so rispondere a queste difficoltà. Molte persone sentono moltissimo la difficoltà della religione; le sento anch'io come loro, ma non sono mai riuscito a capire che rapporto ci sia tra il fatto di percepirle anche in grado molto acuto e moltiplicandole a dismisura e quello di dubitare delle dottrine a cui sono connesse. Diecimila difficoltà, secondo me, non costituiscono un solo dubbio; difficoltà e dubbi sono incommensurabili tra loro.

Naturalmente possono esserci difficoltà che riguardano l'evidenza, ma io parlo di difficoltà insite nelle dottrine stesse, o nelle loro relazioni reciproche. A un uomo può dispiacere che non riesca a risolvere un problema di matematica, di cui gli è stata o non gli è stata data la risposta, ma non per questo dubita che il problema ammetta una risposta e che una particolare e determinata risposta sia quella vera.
Fra tutte le verità di fede, per quel che mi risulta, la più irta di difficoltà è l'esistenza di Dio: eppure è anche quella che si impone con più facilità alla nostra mente.
Si dice che la dottrina della transustanziazione sia difficile a credere.
Io non credevo a questa dottrina prima di farmi cattolico. Non ebbi nessuna difficoltà a credervi non appena credetti che la chiesa cattolica romana è l'oracolo di Dio.»

«Ho detto in una pagina precedente che al momento della conversione non mi accorsi che fosse avvenuto in me nessun cambiamento di opinione o di sentimento nel campo dottrinale; ma non posso dire altrettanto nel campo pratico, e per quanto mi dispiaccia di contrariare le anime pie anglicane, debbo confessare che mi sento molto cambiato nel modo di valutare la Chiesa d'Inghilterra. Non saprei dire quando, ma certamente molto presto, fui preso da uno sconfinato stupore per aver potuto un tempo pensare che essa facesse parte della Chiesa cattolica...
Immagino che il motivo principale fosse il contrasto che mi si presentava nella Chiesa cattolica. Qui scorsi subito una realtà che per me era assolutamente nuova. Mi resi conto che non stavo più costruendomi una chiesa con uno sforzo del pensiero; non occorreva che facessi un atto di fede nella sua esistenza; non dovevo più costringermi ad una posizione forzata. Il mio pensiero ritrovava distensione e serenità; ed io guardavo la Chiesa quasi passivamente, come una grande realtà oggettiva.
La guardavo: riti , cerimonie, precetti; e dicevo: "Questa si che è una religione"; e allora, quando riandavo col pensiero a quella povra Chiesa anglicana per la quale mi ero tanto affaticato, e ripensavo atutto quello che la riguardava, e ai vari tentativi di abbellirla dal punto di vista dottrinario ed estetico, essa mi sembrava assolutamente inesistente.
Vanità di vanità e tutto è vanità! Come posso scrivere quello che si svolgeva dentro di me, senza apparire volutamente satirico?
Eppure parlo sinceramente e seriamente...

Parlo della Chiesa anglicana senz'ombra di disprezzo, anche se a loro sembro sprezzante. Per loro, ovviamente, è un caso di aut Caesar aut nullus, ma per me no.
La Chiesa anglicana può essere una grande opera, anche se non è opera divina; e umanamente io la condidero grande. Quelli che non ammettono più il diritto divino dei re sarebbero molto indignati se per questo venissero considerati cattivi cittadini. Analogamente io vedo nella Chiesa anglicana una venerabile istituzione, ricca di illustri ricordi storici, un monumento di antica saggezza, un formidabile strumento di potenza politica, un grande organismo nazionale, fonte di grandi vantaggi per il popolo, e fino ad un certo punto, testimone e maestra di verità religiose. E credo che, da un'equa valutazione complessiva di quanto ho scritto in proposito dopo la mia conversione al cattolicesimo, apparirà chiaro che io non l'ho mai considerata in una luce diversa; con la conversione mi è invece sparita dalla mente, e ci vorebbe quasi un miracolo per farcela tornare, l'idea che la Chiesa anglicana sia qualcosa di sacro, che sia un oracolo della dottrina rivelata.»

[Venerabile John Henry Cardinal Newman;
APOPOGIA PRO VITA SUA]

venerdì, giugno 02, 2006

vite parallele /8

Cadendo in una fossa un Angelo il ritiene

«Ma ritornando hora a Filippo, haveva egli gran compassione de' poveri, e massime delle persone di buono stato in miseria cadute, a' quali costumava fare di notte occultamente limosuna; E una volta nell'anno mille cinquecento cinquanta recando egli seco, come era solito, del pane per darlo ad un certo vecchio di famiglia assai nobile, ma posto in necessità, occogliersi che volendo nella via dell'Orso dare luogo ad un carro, che verso lui velocissimamente correva, di cadere disavedutamente in una fossa assai profonda cavata per un edificio nuovo; Ma come volle Iddio, che di lui haveva singolarissima cura, fu da mano Angelica miracolosamente in aria ritenuto; per la qual cosa non solo non vi cadè egli dentro, ma si sentì anco in un subito trattone fuori per li capelli, senza essersi fatto male alcuno»

["La Vita del Beato padre Filippo Neri" di Antonio Gallonio C.O. pubblicata nel 1601]
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Il sacerdote gesuita Claudio Rossi di 61 anni è morto mercoledì 31 Maggio 2006 dopo esser precipitato in un pozzo ardesiano sottostante la piccola chiesetta all'interno della Villa Finzi in località Sant'Agapito nei pressi di Palestrina. La villa è di proprietà dei congiunti del sacerdote, vicerettore della cappella dell'università "La Sapienza", che vi si era infatti recato per trovare la madre e la sorella.

Gli attuali proprietari ignoravano l'esistenza stessa del pozzo, costruito probabilmente dai primi proprietarei della villa e poi ricoperto con tavole di legno, terra e mattoni per costruirci sopra una cappella dedicata alla Santa Vergine. Padre Rossi vi era entrato per pregare ed è precipitato nel pozzo vuoto e profondo trenta metri mentre stava portando dei fiori all'altare della Madonna all'improvviso ha ceduto la nascosta botola di legno, del diametro di un metro.

A lungo dall'alto i soccorritori, tra cui i carabinieri, hanno chiamato per nome il sacerdote, che non dava segni di vita. La speranza era che avesse perso i sensi nella caduta o fosse in coma. Poi quando i viglili del fuoco, che si sono calati con delle corde, lo hanno raggiunto sul fondo del pozzo, lo hanno trovato supino e morto.
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p. Claudio Maria Rossi S.J.
Figlio di Angelo Giuseppe e Dina Maria Libera Rossi.
Nato a Crema il 14 maggio 1945 (primo di cinque figli).
Dal 1947 al 1967, vive con la famiglia in Sud Africa.

Dal 1950 al 1953, frequenta le scuole elementari “Holy Rosary Sisters Edenvale” di Johannesburg.
Dal 1953 al 1956, studia presso i Fratelli Maristi, Port Eliszabeth.


Dal 1957 al 1963, compie gli studi superiori presso il “Collegio St. Aidan’s Grahamstown” dei gesuiti (Compagnia di Gesù).
1964 frequenta il “Collegio di Belle Arti”, Porto Elizabeth.Dal 1964 al 1967 si forma nel Seminario Nazionale del Sud Africa “St. John Vianney”, Pretoria;
Studia filosofia come seminarista per la Diocesi di Port Elizabeth.
Dal 1967 al 1971, studia teologia presso il “Collegio Urbaniano” di Propaganda Fide, Università Urbaniana, di Roma, Consegue il Baccalaureato Teologia.

1970 è ordinato Diacono a Roma dal Cardinale Angelo Rossi.

Dal agosto 1971 al dicembre 1972, è impegnato come diacono nel servizio pastorale a Cradock in Sud Africa Grahamstown .
Nel febbraio 1973 entra nella Compagnia di Gesù, nel noviziato “Loyola Hall”, a Rainhill Liverpool, in Inghilterra.
il 25 marzo 1975, celebra i primi voti religiosi nella Comunità di “Farm Street” a Londra.
Dal settembre 1974 al giugno 1975, si forma in Teologia pastorale a “Heythrop College” a Londra.

Ordinato sacerdote il 25 ottobre 1975 da S.E. Cardinale Ugo Poletti, nella Chiesa di San Gioacchino Prati, a Roma.

Dal dicembre 1975 al dicembre 1978, parroco assistente “Our Lady of the Wayside” Harase, Zimbabwe.
Dal febbraio 1979 al gennaio 1981, parroco assistente “Holy Trinithy Church ” Johannesbung, in Sud Africa.
Dal gennaio 1981 al febbraio 1983, è Cappellano nell’ospedale“Groote Schuur”, Città del Capo.
Dal marzo 1983 all’aprile 1988, collabora con l’equipe parrocchiale “Saint Ignatius Church ” di Londra.

Terzo anno di formazione religiosa (ottobre 1983 a giugno 1984) in Inghilterra, Galles, tra cui un mese di collaborazione pastorale nella Chiesa del “Santo Nome di Gesù” di Firenze.
Dall’Aprile 1988 al settembre 1996, è parroco e superiore della comunità religiosa al “St. Mary on the Quay”, di Bristol.

Celebra i suoi ultimi voti il 24 maggio 1990.

Pasqua 1997, è a Roma, collabora con la parrocchia di “San Roberto Bellarmino”
per i ministeri pasquali e le benedizioni delle case.
Dal giugno 1997 al gennaio 2002, è parroco al “Holy Trinity Church”, Johannesburg, Sud Africa.
Marzo 2002 giugno 2003, è in anno sabbatico, si forma in “Arte Sacra”, vive presso il “Collegio Internazionale San Roberto Bellarmino” di Roma.

Da Marzo 2003, è vice cappellano dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, membro della Comunità dei Padri gesuiti della Cappella universitaria.

† 31 maggio 2006, a Palestrina (Roma).

L'aringa rosa /4

Ovvero: "L'opus gay"

«Ruth Kelly, grintoso ministro di 38 anni e ottima madre di cinque figli, fino a poco tempo fa era l'astro nascente del governo di Tony Blair. Oggi rischia l'eclissi politica. Motivo: la sua appartenenza all'Opus Dei. E a metterla nel mirino è stata la potentissima lobby gay.
Una rapida ascesa ministeriale per Kelly. Dopo alcuni incarichi di prestigio, un dicastero difficilissimo, quello dell'Educazione, dov'era stata obbligata a traghettare una riforma scolastica voluta dal premier riformista, ma rifiutata con sdegno dagli insegnanti.

Nel recente rimpasto di governo è stata però retrocessa a un ministero pasticciato, con deleghe sottratte al vicepremier John Prescott, criticato anche per la sua vita sessuale, secondo un'inveterata abitudine britannica. E qui sono cominciati i problemi.
Al dicastero, che decide dovendo tenere conto di comunità e governi locali, è affidata la competenza per l'«equality», un concetto un po' vago ma strategico per il pianeta neolaburista che si potrebbe tradurre con parità civile.

Ad aspettare il ministro Kelly al varco, con i coltelli affilati, gli omosessuali. Incuranti della sua bravura di amministratrice, della sua fine mente politica, del suo impegno familiare, hanno puntato su una sola cosa: la sua dichiarata appartenenza all'Opus Dei...

Dal 1997 in poi, Kelly non si è presentata in aula in occasione di 12 votazioni parlamentari su temi legati all'emancipazione dei gay. E nel 2002 ha votato un emendamento sulla nuova legge sulle adozioni, al fine di vietare questa possibilità alle coppie dello stesso sesso.
Apriti cielo! Alla vigilia dell'uscita del Codice da Vinci al cinema, sembrava profilarsi l'inedito scenario delle prime dimissioni di un ministro causate da un film. Denigrata nella pellicola hollywoodiana senza appello, l'affiliazione all'Opus Dei diventa una specie di colpa.

«È chiaro che il premier non prende più sul serio i diritti dei gay. Blair non darebbe mai una poltrona sulla parità etnica a qualcuno con un curriculum tiepido sull'antirazzismo» è la sentenza di Peter Tatchell, il militante più radicale della causa omosessuale...
Il capo d'accusa che si profila sembra quello di «concorso esterno in associazione cattolica».

Un nuovo caso Buttiglione, quindi, che sfiora la discriminazione di chi prende sul serio i dettami della propria fede nella sfera privata. Anche se il ministro Kelly svolge il suo ruolo politico «secondo il tradizionale principio politico della responsabilità collettiva governativa», vale a dire disciplina fedele alla linea del premier.
(...)la caccia alla «strega» Kelly è la prova che, di nuovo, essere cattolici nella terra di Enrico VIII non porta nulla di buono. Dai tempi della Riforma, nel 1530, i cattolici britannici sono stati spesso una minoranza perseguitata. Per alcuni secoli era loro vietato celebrare la messa secondo il rito romano, pena la morte, mentre i sacerdoti irriducibili erano costretti a vivere di nascosto. Solo nel 1829 fu promulgato il Catholic emancipation act (e questo 20 anni dopo l'abolizione della schiavitù nell'Impero britannico) che restituiva loro i diritti di culto.

Oggi quelli praticanti sono 1 milione scarso. Persistono divieti formali (il sovrano non può baciare l'anello pontificio) e veti non scritti: finora nessun «papista» è approdato a Downing Street, mentre il primo presidente della Camera dei comuni è stato eletto solo da poco. E ora, nell'epoca del trionfalismo gay, le difficoltà per i cattolici, almeno dalla vita pubblica, sembrano riprese.»