mercoledì, ottobre 25, 2006

Historia Ecclesiastica Anglorum II


Il multiculturalismo che regna nel Regno Unito e la pluralità di religioni che debbono convivere in un contesto democratico sta pian piano facendo emergere nella mente degli inglesi l'idea che in quella che storicamente era e che è la loro religione "di Stato" vi sia un "peccato originale" che nel XXI secolo dovrebbe solo provocare orrore e raccapriccio ad ogni persona sana di mente: La Chiesa Anglicana è stata creata allo scopo di servire il potere politico e non ad Iddio ma al potere mondano è totalmente e devotamente asservita!
Non dovrà sembrare strano, quindi, che la prima cosa che fece Enrico VIII dopo essersi proclamato capo della Chiesa d'Inghilterra, fu il dar ordine di profanare, bruciare e disperdere quel che rimaneva delle ceneri di San Tomas Beket: quell'arcivescovo di Canterbury che, essendo a capo della Chiesa d'Inghilterra, si oppose al proprio re per salvaguardare l'indipendenza della Chiesa dal re e la libertà di obbedire al Papa di Roma.


Il Sunday Time ha rivolto agli inglesi una domanda "illuminista" (come dice William Ward in un articolo sul Foglio di martedì 24 Ottobre 2006):
"E' arrivato il momento che il Regno Unito separi Dio dallo stato? E che diventi, come gli Stati Uniti e la Francia, un paese veramente laico?

Il “pasticcio” – come lo definisce il Sunday Times – sta nelle istituzioni inglesi: c’è un capo di stato, la regina, che è anche capo della chiesa d’Inghilterra, c’è un Parlamento che apre le proprie sedute con una preghiera, c’è la Camera dei Lord, l’unica al mondo, dove 26 vescovi hanno pieno diritto di voto, e c’è un primo ministro che indica alla sovrana i chierici da promuovere.
Un’anomalia accentuata da una radicata tradizione nel sistema scolastico, composto per un terzo da scuole religiose integrate nel sistema pubblico. Un’anomalia che è all’origine di un paradosso: il Regno Unito è uno dei paesi meno religiosi al mondo, dove – nonostante il 72 per cento degli abitanti si dichiari “cristiano” – meno dell’8 per cento della popolazione si reca regolarmente in chiesa.
Come si spiega questa contraddizione?
Gli inglesi sanno che la qualità delle scuole confessionali è più alta di quella registrata nelle scuole pubbliche e sono pronti – scrive il Times – a dichiararsi devoti cristiani pur di offrire ai propri figli un’istruzione di alto livello.

Pragmatismo, tradizione e consuetudini hanno sorretto un sistema finora efficiente. Ora però, nella multiculturale Inghilterra, a proliferare sono anche le scuole islamiche: sette sono nate grazie all’aiuto del Labour e altre 150 sono a caccia di fondi pubblici e chiedono gli stessi privilegi e diritti oggi attribuiti alla stragrande maggioranza delle scuole della chiesa d’Inghilterra. Sono pronti i cittadini inglesi a finanziare con le proprie tasse scuole che i loro figli non potranno mai frequentare e in cui potrebbero crescere e studiare attentatori come quelli del 7 luglio? Non si rischia di trasformare la Gran Bretagna di oggi nell’Irlanda del nord di ieri, dove dalla segregazione nacque la violenza?


Al quesito su una più netta separazione fra fede e stato hanno risposto al Sunday Times alcuni autorevoli esponenti dell’intellighenzia britannica.

Richard Dawkins, darwinista, nel suo “The God Delusion”, divenuto un bestseller, ha lanciato “un attacco a Dio in ogni sua forma” e chiede che la religione non scompaia solo dallo stato ma dall’intera società.
Terry Sanderson, vicepresidente della National Secular Society, aggiunge: “Dobbiamo rendere laiche tutte le istituzioni. Ci vorranno probabilmente intere generazioni, ma dobbiamo fare in modo che diventi difficile che qualsiasi religione conquisti potere”.

Christopher Hitchens, inglese trapiantato negli Usa, che pubblicherà in primavera un libro su questo tema dice al Sunday Times: “Il rapporto fra religione e politica sarà la grande questione per il resto della nostra vita”. Il modello da seguire?
“Quello americano è l’ideale. Perché gli Stati Uniti non sono un paese così religioso come molti pensano. Il rifiuto dello stato di mischiarsi con la religione spinge le religioni stesse a essere più attive, ecco perché assistiamo a volte a un evangelismo aggressivo.
Non sono pigri come in Europa”. Dopo trecento anni, insomma, i rapporti con le comunità musulmane costringono gli inglesi a riaprire il dibattito fra fede e stato.


Come nella pubblicità di una utilitaria “che si crede invece una grande berlina firmata”, la chiesa anglicana, nata in seguito alla diatriba dinastico-strategica fra Enrico VIII e il Vaticano nel Cinquecento, si crede una chiesa alternativa e più evoluta rispetto a quella romana. Ne ha conservato per intero la struttura episcopale e i precetti – i 39 articoli della fondazione sono quasi tutti compatibili con santa romana chiesa – anche se da sempre ha avuto la presunzione di presentarsi come una versione migliore di quella “papista” romana.
L’unica grande differenza è il ruolo riconosciuto al sovrano come capo della chiesa e “difensor fides”, titolo dispensato dal Papa romano all’antenato Enrico VIII prima dello scisma, e tuttora presente nella iconografia reale, e riconoscibile nella sigla “DG” [Gratia Dei] sulla moneta britannica, in seguito al nome della regina Elisabetta. Ed è proprio questa connessione che il Sunday Times ha provato a mettere in discussione in un lungo reportage, ipotizzando che forse è arrivato il momento di laicizzare l’Inghilterra.

Abituata com’è alle tante correnti interne, la proposta non è tra le più sconvolgenti.
La pace interna della chiesa nazionale “eretica” è stata garantita con la creazione di scuole di pensiero diverse, spesso ostili fra di loro, per costituire una realtà variegata. Tanto che spesso si stenta a credere che due parrocchie limitrofe siano della stessa confessione, visto che di “disciplina” non si può parlare.

Ma che ne sarebbe della chiesa se fosse separata dalla regina?

La “High Church” degli anglocattolici (dove spesso addirittura il Pontefice viene nominato insieme con la rivale “usurpatrice” Elisabetta durante le preghiere) è sostanzialmente contraria all’ordinazione del clero femminile (e soprattutto a quella imminente delle “vescovesse”), mentre inarca le sopracciglia durante le diatribe da parte degli esponenti della “Low Church” (evangelici, più vicini alle altre sette protestanti come i metodisti e i battisti, oggi più vicini alla “religious right” americana) sull’ordinazione di un clero apertamente omosessuale.
Oggi, come negli Stati Uniti, è il boom degli evangelici a caratterizzare lo sviluppo della chiesa anglicana, di cui è tipico il successo straordinario dell’“Alpha Course”, un sistema di reclutamento dei non credenti attraverso seminari molto ben strutturati, sul modello delle business school: non a sorpresa, il leader dell’Alpha Course, il Rev. Nicky Gumbel, è un ex manager di famiglia patrizia. Non a caso, rimane la parte della chiesa in maggiore crescita, e ha visto (a sorpresa) la “secolarizzata” capitale “tornare a Dio” in modo assai più spettacolare rispetto alla provincia o alle periferie.

In passato (fino almeno agli anni Sessanta) esisteva un certo pregiudizio sociale che voleva i metodisti, i battisti e i presbiteriani sempre piccolo borghesi, e i cattolici o proletari irlandesi o vecchi aristocratici in via di estinzione, e la buona e l’alta borghesia anglicanissime (il concetto coniato negli anni Cinquanta di “establishment” era per eccellenza di fede anglicana). Ma oggi la vecchia alta borghesia dei grandi college (come lo stesso Gumbel, rampollo di Eton) e quella nuova di creazione thatcheriana tendono a essere “evangelical-charismatic”, molto attive in chiesa la domenica quanto nella City durante la settimana.

La “Broad church” nel mezzo, che evita sia gli “smells and bells” (incenso e campanella) sia le fastidiose emanazioni di melenso zelo evangelico degli “happy clappy” (sarcastica definizione di chi suona la chitarra, sorridendo, durante la funzione, mentre i fedeli battono il ritmo con le mani) rimane maggioritaria nel paese, e soprattutto nelle vaste parrocchie della campagna inglese.

Voce tranquilla e saggia della maggioranza silenziosa, trova nella (peraltro devotissima) sovrana e nelle sue semplici e poco ostentate devozioni un punto di riferimento consolatorio e quasi immutabile.
Se la “papessa” Elisabetta ha problemi teologici con le donne (o gli omosessuali) nel clero, non lo dice mai: lascia tutto alle delibere, spesso concitate, del Sinodo della “sua” chiesa, diviso com’è in tre parti fra la gerarchia vescovile, il clero semplice e i semplici fedeli. I quali discutono del “disestablishment” della chiesa anglicana dalla corona da oltre un secolo, senza mai venirne a capo. Ma cavarsela alla giornata è sempre stata la caratteristica principale degli anglicani, cattolici “light” che si credono il migliore di tutti i mondi spirituali."

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