domenica, novembre 26, 2006

Fortezza d'Europa /3

Ovvero: Come "la basilissa" Silvia Ronkey spiegava ai figli della stirpe latina quanto Bisanzio in realtà sia sempre stata romana.
(Il Foglio; sabato 25 novembre 2006)
“In ‘Fuga da Bisanzio’, Josif Brodskji scriveva che ci sono luoghi nei quali i grandi eventi storici sono inevitabili come gli incidenti automobilistici. Uno di quei luoghi oggi si chiama Istanbul, dopo che è stato Costantinopoli e poi Bisanzio”.

Punto concreto e simbolico di incontro e scontro tra oriente e occidente, lì dove è atteso, per una visita complicata da forti preoccupazioni oltre che circondata da grandi aspettative, Papa Benedetto XVI.
A ricordare la definizione del poeta russo è Silvia Ronchey, studiosa di civiltà bizantina e recente autrice di un libro (“L’enigma di Piero”, Rizzoli) che racconta, attraverso la storia della decifrazione della Flagellazione di Piero della Francesca, come Bisanzio abbia regalato all’Europa il Rinascimento.

Al Foglio, Silvia Ronchey dice che “quell’istmo sul Bosforo, tra Asia ed Europa, è sempre stato fondamentale, dalla guerra di Troia in poi. Lì è nata la civiltà greca, ed è lì che, da Costantino in poi, prende vita, tra mille turbolenze ma in modo netto, un modello di convivenza tra etnie diverse che sembra così impossibile da realizzare nella nostra epoca. Tutto nasce da quella che, molto impropriamente, è stata chiamata ‘caduta dell’impero romano’. Ma l’impero sopravvive in quanto e lì dove procura e garantisce proprio quel tipo di convivenza, nella quale la sovranazionalità e la multietnicità, la cooptazione dei conquistati e la composizione dei conflitti si esercitano con successo”.

No alla trappola nostalgico-nazionalista

Guardare verso Costantinopoli con occhi “romani” è quindi, secondo la Ronchey, “qualcosa che dovremmo reimparare a fare.
Ciò che abbiamo perso con la caduta di Costantinopoli e dopo, con la rimozione di Bisanzio (basti pensare all’accezione negativa, dura a morire, che ha assunto il termine ‘bizantino’) è questo elemento romano. Che dovrebbe invece essere la bussola per orientarci ogni volta che parliamo di Europa.

Penso alla formidabile alleanza, evocata anche da Papa Ratzinger nel suo discorso di Ratisbona, tra filosofia greca e tradizione giuridica e politico-amministrativa romana. Questa alleanza è ciò che chiamiamo la nostra civiltà”. E quello che non tutti hanno chiaro, è che “il diritto romano ha continuato a vivere anche nella Turchia islamica. C’è una storia comune che non possiamo negare, che deve essere un punto di forza.
Quel luogo torna oggi a essere cruciale perché è il punto o di cesura oppure di mediazione nel cosiddetto ‘scontro di civiltà’ tra oriente islamico e occidente cristiano. E’ lì che per millenni è continuato a esistere l’impero romano, che non cade nel 476 in occidente, e nemmeno, se vogliamo, nel 1453, con la conquista turca di Costantinopoli.

La tradizione si biforca e prosegue pressoché inalterata in altri due imperi che cadono davvero, invece, uno all’inizio del Novecento (l’impero ottomano), e l’altro alla fine (l’impero ex russo ex zarista e poi sovietico). Imperi multietnici, dove la sopravvivenza della cultura romano-bizantina è apertamente portata avanti”.
Un esempio: “Sappiamo come i sultani, soprattutto all’apice dell’impero ottomano,nel XVI e nel XVII secolo, abbiano non soltanto applicato il diritto, ma mutuato con grande rispetto e precisione le strutture amministrative e fiscali dell’impero bizantino, a loro volta eredi di quelle romane.
Lo stesso vale per il mondo russo. Ivan il terribile fa discendere il proprio potere da quello dei Cesari. Una volta cadute queste due ramificazioni, emerge con forza un problema di convivenza. Tutte le zone geopoliticamente più turbolente, dove oggi si manifesta il conflitto, sono quelle dove la composizione dei conflitti tra etnie era sorvegliata e contenuta, magari anche in forma dispotica, da questa ‘romanità’. Balcani, Caucaso, Mar Nero, la stessa Mesopotamia”.


Continua dunque a interrogarci “l’eredità bizantina, ora più che mai, una volta esaurite completamente le sue propaggini e ora che la mediazione non c’è più”. Fortunatamente, verrebbe da dire, se si pensa all’impero sovietico, nel quale fu Stalin a “promuovere una grande fioritura di studi bizantini”.

Ma, aggiunge Silvia Ronchey, “non è un caso che il Papa attuale, e prima di lui Papa Wojtyla, coautore della caduta del blocco sovietico, abbiano guardato a Costantinopoli, a Bisanzio. E’ lì che ora i nodi vengono al pettine. Nodi, a un tempo, politici, strategici, sociali ed etnici”. E nodi culturali. E’ in quest’ultima categoria, prosegue Silvia Ronchey, che “possiamo collocare il rapporto tra cattolicesimo e ortodossia.

L’attuale Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, rappresenta l’ecumenismo ortodosso, quindi il fantasma ingombrante della ricomposizione e del controllo imperiale prima richiamati.
Allo stesso tempo, ripropone una realtà fatta di tante chiese autocefale, indipendenti le une dalle altre. Bisanzio e la sua cultura sono state lungamente demonizzate e rimosse, in occidente, perché tipiche di uno stato nel quale il clero è per definizione estromesso dal potere secolare. La naturale conseguenza di tutto questo è stata che la figura del Patriarca non ha mai avuto l’indipendenza del Papa. Frutti di questo tipo di laicità sono stati la passività e la mancanza d’indipendenza del clero”.
E’, in fondo, il modello di laicità della Turchia contemporanea, dove, da Ataturk in poi, gli stessi predicatori islamici sono scelti da un ministro. Ma che laicità è quella nella quale l’espressione religiosa e il culto sono controllati dallo stato?

“Infatti c’è un limite evidente. Ma non dobbiamo pensare che a Bisanzio sia andata sempre così.
Nel 1054, per esempio, quando si consuma lo scisma che ora tocca a Bartolomeo I e a Benedetto XVI affrontare, non si trattò tanto di un problema tra le due chiese, quanto di una prova di forza tra il Patriarca Michele Cerulario e l’imperatore. Il patriarca, grande intellettuale e politico, era desideroso di rivendicare la propria indipendenza, e il mezzo migliore che trovò per farlo fu la scomunica del vescovo di Roma. Ma la soggezione del clero rispetto al potere imperiale non c’è sempre stata, anche se si manifesterà sempre di più con il passare del tempo”.
Oggi, però, il problema è che l’ecumenicità di Bartolomeo “può apparire come un pallido fantasma, anche sul piano simbolico. Nella cittadella del Fanar, assediato da una vera e propria persecuzione da parte dell’attuale stato turco, appare vittima di quella integralizzazione islamica che rappresenta, però, un fenomeno relativamente recente”. Ma a maggior ragione, a giudizio di Silvia Ronchey, “dovremmo sforzarci di non cadere nella trappola nostalgico-nazionalista che guarda a Bisanzio come a quella cosa che l’islam ci ha tolto nel XV secolo.
In quella perdita hanno contato moltissimo gli errori delle potenze occidentali, di Venezia in primo luogo, più ancora di quelli del papato, che invece in quel periodo aveva fortemente chiara la necessità di mantenere il legame e l’interfaccia con l’oriente islamico. Venezia non invia la flotta e Bisanzio non viene salvata.
Cessa così di essere quel preziosissimo strumento attraverso cui l’occidente cristiano parlava, dialogava, comunicava, elaborava strategie, arte, pittura, musica, letteratura, forme di straordinario e fruttuoso sincretismo che in fin dei conti s’intravedono anche nei famosi dialoghi tra il cristiano e il musulmano di Manuele II Paleologo citati da Papa Ratzinger a Ratisbona”.

Se allora venne meno l’osmosi culturale tra oriente e occidente, non si estinse la vocazione imperiale di mediazione tra le etnie, mentre “ora è più forte il bisogno assoluto di ritrovare un’unità.
Nel momento in cui nella contrapposizione tra oriente e occidente si sommano il conflitto etnico, economico, strategico, militare, e anche un problema religioso, diventa vitale recuperare ogni stilla, ogni propaggine di quella bizantinità dimenticata”.



Il Papa si troverà anche a fare i conti, aggiunge Silvia Ronchey, “con un problema interno al mondo ortodosso, che nasce dalle autocefalie e dall’indebolimento progressivo del patriarcato ecumenico.
E’ evidente in Benedetto XVI la volontà di rafforzare la posizione di Bartolomeo I, con due effetti fondamentali. Sul piano tattico, se ci riesce, il papato avrebbe un unico interlocutore e sarebbe più agevole affrontare la ricomposizione dei contrasti dottrinari. Sul piano strategico generale, perché sono convinta che in questo momento sul Bosforo si fa o si disfa la nostra civiltà.
Penso che il viaggio papale avrà successo se, come ha dichiarato lo stesso Pontefice, il suo intento è davvero quello di riaccendere il faro del cristianesimo in quei luoghi e, insieme, di riavviare il meccanismo inceppato della mediazione”.

Un interlocutore privilegiato

C’è poi un aspetto, spiega ancora la bizantinista, che fa “di Benedetto XVI, come persona, come carattere, come ethos, una sorta di interlocutore privilegiato dell’ortodossia. E’ il suo intellettualismo, un lato estetizzante e conservatore che ha manifestato in più occasioni”.
La sua attenzione, per esempio, al recupero della liturgia tradizionale, “è un elemento che lo mette immediatamente in sintonia con il mondo ortodosso. L’ortodossia ‘è’ la sua liturgia.

Rimaniamo commossi e basiti di fronte al misticismo dei riti ortodossi, al loro carico di mistero e di pathos, che appaiono perduti nella funzione cattolica postconciliare. Ratzinger è molto sensibile all’esigenza di riportare il cattolicesimo a questi elementi”.

Il 30 novembre, festa di sant’Andrea, fondatore della chiesa d’oriente, Benedetto XVI e Bartolomeo I si riuniranno in preghiera nella chiesa patriarcale di san Giorgio al Fanar, a Istanbul.

Silvia Ronchey pensa a quando “Pio II, il Papa umanista Enea Silvio Piccolomini, nel 1462 (non erano passati ancora dieci anni dalla conquista ottomana di Bisanzio) attraversò Roma con un corteo mai visto, tra ali di folla commossa e in preghiera, per accogliere le reliquie di sant’Andrea, fratello maggiore di san Pietro, portate in salvo da Tommaso Paleologo, l’erede al trono imperiale che a Roma troverà rifugio e morirà.
La città, piena di fedeli arrivati a decine di migliaia da tutta Europa, partecipò del ricongiungimento simbolico di Pietro e Andrea, del cristianesimo d’occidente e d’oriente.

Nel 2004, Giovanni Paolo II restituì al Patriarca di Costantinopoli, con una solenne cerimonia a San Pietro, le reliquie di due Padri della chiesa, san Gregorio il Teologo e san Giovanni Crisostomo.
Un gesto che ha dato nuovo respiro al dialogo.
Da Benedetto XVI mi aspetto qualcosa di simile, un gesto antico e forte che solo lui saprà fare. Qualcosa che ricordi come la nostra cultura non sia solo romana o greca, ma anche orientale. Bisanzio è la nostra culla, è la capacità di resistere, perpetuare e integrare. La sua lezione attende ancora di essere riscoperta”.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Qualcuno di voi è stato ad istanbul? Io parto martedì. Sto raccogliendo informazioni,dovrò scirvere un pezzo per una rivista.Grazie

Duque de Gandìa ha detto...

Venerato Andrea,
il Beato Marco d'Aviano è sepolto a Vienna all'altare della cappella della Pietà della celeberrima chiesa dei cappuccini (nella cui cripta riposano i monarchi asburgici. Non so se hai parenti a Vienna ma se vuoi esternare i tuoi atti di devozione alla Beata Vergine "Auxilium Cristianorum" credo proprio che debba essere la capitale asburgica la tua meta agognata.

L'impero ottomano era un impero multiculturale in cui i cristiani hanno potuto vivere e -seppur con limitazioni- prosperare. Che poi non fosse un impero democratico è un'altro discorso.

Nello stesso impero asburgico ci furono nell'XIX secolo forti contrasti tra Austria e Ungheria prima che ai magiari e al loro governo venisse garantita pari dignità, nacque così l'impero Austro-Ungarico. Il problema successivo invece fu quello degli slavi del sud che volevano anch'essi avere una amministrazione autonoma, cosa che l'arciduca Francesco Ferdinando assassinato a Saraievo nel 1914 una volta salito al trono era propenso a concedere mentre l'Ungheria non era affatto contenta di un progetto di impero Austro-ungarico-jugoslavo!
Come si vede la libertà e la democrazia sono concetti che si evolvono e se non li riscontriamo negli Stati dell'Europa moderna in cui vigeva il "cuius regio eius religio" come possiamo stracciarci le vesti di fronte all'assolutismo dei sultani ottomani?

A parte lo stile degli edifici e degli abiti, che differenza c'era tra il maomettano Sultano che passava la sua intera esistenza all'intero nell'arem non curandosi della miseria dilagante al di fuori delle mura del Serraglio, e la vita per niente devota dei "cristianissimi" varii Luigi che tra un minuetto e una festa in maschera vivevano reclusi nell'immensa reggia di Versailles?

Il sultano non governava per volontà di Allah così come lo Zar di Tutte le Russie non giustificava l'ingiustizia classista in nome di Cristo Dio?

E perciò l'espansione di un impero, assoggettando altri popoli (a quelli già sottomessi) non è un segno del favore divino?
Se L'autocrate russo poteva dichiarare guerra agli ottomani progettando di estendere l'impero "russo ortodosso" fino alla Serbia e alla Grecia e sognando di conquistare Costantinopoli (poichè mai i Sultani si sognarono di cambiare il nome della "seconda Roma" cosa che invece fece Ataturk!!!), perchè il Sultano non poteva progettare di abbattere il dominio asburgico nei balcani ed inglobare nel suo impero "ecumenico" anche l'antica Roma così come la "Nuova Roma"?
Credo che fosse questo che intendesse la basilissa Ronkey. Come tu ben saprai le basilisse erano celebri per la loro perfidia:)

In poche parole: non possiamo giustificare l'esclusione della Turchia dalla Comunità Europea in nome delle battaglie di Lepanto, di Belgrado, di Vienna etc...
Io personalmente le lodo assai e non trovo niente di cui vergognarsi nel far guerra a degli invasori armati (poichè sant'Ignazio negli Esercizi Spirituale ci insegna che è cosa buona lodare l'accender candele nelle chiese e il fare le Crociate).
Ma quelle guerre fatte dai turchi dell'epoca erano guerre imperialiste al pari di quelle fatte dalla Russia contro la Svezia (o dalla Svezia contro la Russia?) e dalla cattolicissima Spagna contro la cristianissima Francia e viceversa.

Dire no alla Turchia in Europa a causa delle guerre di religione fatte nel passato è come dire no alla Spagna perchè ha conquistato con la violenza il sud-america o l'Irlanda dicesse no all'Inghilterra nella Comunità Europea perchè per secoli gli inglesi hanno oppresso crudelmente i cattolici del Regno Unito.
Lo so che per molti questo parlare è duro!

Quando dopo la conquista ottomana di Costantinopoli, papa Pio II scrisse al sultano che se si fosse convertito al cristianesimo non avrebbe perso il suo impero ma anzi il papa lo avrebbe incoronato imperatore dell'impero romano d'oriente, il sultano rispose maliziosamente che per diventare imperatore bizantino non aveva bisogno di convertirsi al cristianesimo.

Il grande strappo culturale avviene con la formazione della repubblica "laica" di Ataturk. Quando i turchi hanno perduto l'impero sono andati alla spasmodica ricerca di compattezza e di identità nazionale: una lingua, una etnia, una religione, stop: gli altri sono etnicamente diversi, sono in prospettiva cittadini di altri Stati (la Grecia, l'Armenia) e perciò bisogna evitare che si creiono enclave che invochino la doppia-cittadinanza e che altri Stati rivendichino il diritto di obbiettare alle decisioni di un altro libero Stato sovrano.
In altri casi, come quello dei Curdi, non avendo essi uno Stato-nazione in cui riconoscersi è più facile al governo centrare negare il diritto all'esistenza dell'etnia curda.
Questa è stata la politica "fascista" della neonata Turchia "laica" degli anni venti. Il modello di Stato da Ataturk fu desunto dai codici giuridici dei moderni Stati-nazione dell'Europa occidentale che all'inizio del XX secolo, le cosiddette democrazie europee comprese Francia ed Inghilterra, erano dei regimi di polizia!

In Turchia bisogna percio oggi, nel XXI secolo!, incoraggiare una dilatazione del concetto di democrazia! far evolvere la democrazia in modo che le libertà delle minoranze non venga più interpretata come attentato all'unità nazionale!

Costantinopoli è nostra! ci appartiene! Appartiene alla civiltà occidentale! Alla civiltà cristiana che tanti oggi invocano!!!
Ce ne sono voluti di secoli, aihnoi!, prima che finalmente noi occidentali cominciassimo ad apprezzare i "bizantini"!

Se non l'abbiamo difesa da Maometto II perchè pensavamo che i "Greci" non erano abbastanza europei adesso se riconosciamo l'europeicità di "Costantinopoli" dobbiamo prendercela con tutta l'Istanbul che c'è intorno!

Sull'ipotesi,poi, che l'ingresso della Turchia nella Comunità Europea sia una punizione divina per i peccati dei cristiani sono pienamente d'accordo.

Della Signoria Vosta Illustrissima umilmente pronto a sventolare il flabello!:)

PS: Sono stato recentemente ad Istanbul ed a Tarso ma non sono capace di fare una ragionata diamina sui narghilè , sui kebab e sui bagni turchi. I miei interssi erano altri.

Duque de Gandìa ha detto...

Tranquillo: i flabelli al Fanar ci saranno!:)
Non intorno al papa ma attorno al Patriarca Ecumenico. Nella liturgia bizantina sono infatti oggetti liturgici, non hanno in cima una raggiera di piume di struzzo ma un disco di metallo decorato con l'immagine di un cherubino.