martedì, dicembre 12, 2006

CASTRUM DOLORIS



Torino, parrocchia Santo Volto, venerdì 8 Dicembre 2006.
Il cardinale arcivescovo Severino Poletto così comincia l'omelia per la dedicazione del più recente edificio di culto cattolico edificato nella metropoli subalpina:
"Questo è un momento importante per la nostra Arcidiocesi e per tutta la Città di Torino. Stiamo infatti vivendo una Celebrazione eucaristica che riveste una particolare solennità e ci dà una grande gioia spirituale nel cuore perché tra poco compirò il rito di dedicazione al culto di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo di questa stupenda chiesa intitolata al Santo Volto di Cristo, a noi vivamente richiamato dal Volto impresso sulla Santa Sindone.
Non posso iniziare questa mia riflessione senza ringraziare il Signore, la Vergine Immacolata di cui oggi ricorre la solennità, il suo sposo San Giuseppe, al quale mi sono raccomandato per arrivare a completare l’opera senza rischi economici per la Diocesi. È per un dono speciale della Provvidenza divina se noi oggi siamo qui a pregare ammirando questa meravigliosa opera d’arte che è questa chiesa progettata dall’architetto Mario Botta, che ancora una volta voglio ringraziare insieme a quanti hanno collaborato col lavoro di realizzazione e con aiuti economici.
Fatta questa premessa ora è il momento di entrare nella riflessione spirituale che parte dal messaggio della Parola di Dio, passa all’esaltazione della bellezza come strada per scoprire e gustare l’infinito splendore del Creatore per giungere infine a formulare un augurio spirituale a questa nuova parrocchia e a tutta la nostra comunità diocesana."


In precedenza il porporato aveva elevato parole di vivo apprezzamento per l'opera d'arte sacra realizzata dall'architetto ticinese Mario Botta:

"È con grande commozione ed altrettanta soddisfazione che finalmente possiamo contemplare ormai realizzata l’opera denominata “Complesso del Santo Volto”, che comprende una Chiesa, straordinaria nelle sue linee moderne e cariche di fascino, le opere parrocchiali a servizio di una nuova comunità che già oggi conta 12.000 abitanti, tutti gli uffici della Curia Metropolitana con annesso sufficiente parcheggio ed un Centro Congressi finalizzato ad iniziative culturali promosse dalla Diocesi.
Sono convinto che questa opera non sarà solamente una chiesa in più per la nostra città, ma una vera realizzazione di architettura sacra moderna di elevato valore artistico sia per la fama internazionale di colui che ha firmato l’intero progetto, l’Architetto Mario Botta, sia per lo straordinario risultato ottenuto e che ora è sotto gli occhi di tutti.
Questa nuova chiesa è dedicata al Santo Volto di Cristo, misteriosamente a noi richiamato dalla Santa Sindone, che la Chiesa torinese ha il privilegio di custodire, Volto che con grande capacità ed ispirazione l’Architetto Botta ha riprodotto sulla parete absidale all’interno dell’edificio."


Se fossi stato presente al discorso del cardinal Poletto mi sarei alzato in piedi e gli avrei chiesto dove vedesse l'abside!
L'abside ha una forma semicircolare coperta da una semicupola ragion per cui nemmeno ad un porporato è lecito reinterpretare i nomi delle forme architettoniche e chiamare ogni parete che -più o meno casualmente -venga a trovarsi dietro all'altare col nome di "abside"!

Purtroppo l'arte moderna continua ad essere una vera spina per l'arte sacra e non solo per la chiesa della Spina 3 di Torino!
Comunque pare che ai fedeli piaccia; lo scrive il giornalista Andrea Rossi sulla Stampa del 9 dicembre: I fedeli promuovono il Santo Volto "E' meraviglioso"
«Il Signore ci doni la gioiosa certezza che con questo edificio noi abbiamo voluto porre in questo territorio, lungo un tempo tipicamente segnato dal lavoro umano, uno splendido segno della sua presenza. Sono le 17 di un piovoso pomeriggio quando il cardinale di Torino Severino Poletto chiude la sua omelia nel giorno dell’Immacolata, che coincide con quello della consacrazione della chiesa del Santo Volto, davanti a oltre un migliaio di fedeli.

A centinaia sono rimasti in piedi, i posti a sedere erano finiti da un pezzo. Sguardi all’insù, a contemplare l’immagine del volto della Sindone tradotta in pixel che campeggia dietro l’altare. C’è anche chi è rimasto fuori, e scruta quella ciminiera che fa da campanile e ricorda ciò che sul quel suolo sorgeva fino a qualche anno fa, una fonderia. Cittadini comuni, per lo più, ma anche illustri personalità, come il banchiere Enrico Salza, seduto in prima fila accanto all’architetto Mario Botta.

I torinesi hanno gremito la nuova chiesa e apprezzato il complesso che ospiterà la Curia, costruito sulla Spina 3, zona di periferia. «È giusto che sia così - commentava all’uscita Elena Castelletti, una giovane fedele -. La Chiesa deve raggiungere le periferie: l’idea che sposti il suo centro nevralgico verso le zone esterne della città è un segnale positivo».

Piace alla gente di Torino l’imponente costruzione che porta la firma dell’architetto Botta. Alcuni hanno rinunciato al ponte dell’8 dicembre, sono rimasti in città per assistere alla funzione, come Ignazio e Maria Lucia Mammina. Quasi tutti escono al termine della funzione quasi rapiti. «È bellissima. Abito qui vicino, ho seguito passo dopo passo la sua nascita e ora che è finita devo dire che è uno splendore. E poi quel volto là in fondo, così grande, così commovente: lascia senza parole». Lo spiega Carmen Marcugli, la giovanissima figlia tenuta per mano mentre insieme escono dalla chiesa per rientrare a casa. Bella, splendida. Sono le parole più ricorrenti. E proprio la bellezza, cifra comune dei pareri dei torinesi, è il filo conduttore del discorso del Cardinale. «Come non contemplare lo splendore di bellezza che emana questa chiesa? Come non vedere l’ingegno di chi l’ha progettata e non riconoscere anche in questo un dono di Dio fatto a lui e di conseguenza a tutti noi?», dice Poletto.

Mentre all’interno la funzione volge al termine, fuori, sul sagrato, ancora piove e alcuni fedeli cominciano a sfollare. Negli occhi ancora immagini della cerimonia: il cardinale Poletto che benedice i muri dell’edificio, la musica che sgorga dall’organo immenso.

Ma c’è anche chi mastica amaro e non apprezza. Come Saverio Naso. Se ne sta in un angolo lontano del sagrato. «Ho lasciato moglie e figlio dentro e sono venuto a prendere una boccata d’aria perché sto male. Tutto questo sfarzo mi fa impressione, sono soldi buttati. Ma lo sanno quante iniziative molto più importanti e utili si sarebbero potute realizzare? Certo che è bella, ma è una cattedrale nel deserto, dove il deserto è la miseria che si vede in molte zone della città». Parole forti, di critica graffiante nei confronti delle scelte fatte dai vertici della curia Torinese. Ma questa è davvero l’unica voce fuori dal coro. Anche perché, dicono in tanti: «La chiesa locale non si è mai tirata indietro di fronte alle necessità di chi soffre. Torino è un esempio per molte altre realtà nazionali».

Se c’è una critica di fronte alla quale quasi tutti chinano il capo è quella di Renata Nicoli, una pensionata che se ne sta in piedi al fondo della chiesa e guarda con gli occhi luccicanti ogni angolo della struttura. «Bellissima. Davvero impressionante» dice. «Peccato che sia lontana, molto lontana dal centro. E venire fin qui con i mezzi pubblici è un impresa: c’è un solo tram che porta in questa zona, il numero tre. Per noi pensionati questo è un problema. Ma, insomma, non facciamone un dramma. Siamo in un luogo di culto splendido. Pensiamo a pregare».




Dobbiamo, ahimè, rassegnarci all perversione dello sguardo del fedele cattolico del XXI secolo che si esibisce in slanci mistici di fronte a pareti di mattoni a vista e colate di cemento?

Di tale inevitabile sciagura non si dà pace l'orrido Langone che, pieno di zelo per la casa di Dio, ha paragonato l'architettura della moderna chiesa torinese all'architettura dei campi di sterminio nazisti:

"Caro Mario Botta,
paragonando la tua nuova chiesa torinese ad Auschwitz io avrò “profanato la memoria della cultura operaia”, come hai pomposamente dichiarato alla Stampa, giornale notoriamente amico degli operai, tu però costruendola hai profanato il Volto Santo che dà il nome all’edificio. Il che è più grave, almeno per me che sono cristiano.

Tu non lo sei, tu sei un architetto per tutte le stagioni e tutte le religioni, hai costruito una sinagoga, stai progettando una moschea, hai trasformato il vecchio “Francia e Spagna purché se magna” nel più attuale “Dio o Allah abbiamo da campà”.
Purtroppo non sei cristiano anche se frequenti preti e cardinali nessuno dei quali, che Dio li perdoni (io non ci riesco), ha trovato il tempo per spiegarti importanza e significato delle ultime parole di Gesù agli apostoli: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Avessi leggiucchiato il Vangelo sapresti che essere cristiani è compatibile con tutto, anche con l’essere un architetto seriale e poco originale (chissà perché le tue cose migliori mi ricordano sempre Aldo Rossi), con tutto ma non con un’attività di propaganda monumentale a favore di altre religioni.

Non voglio risolvere in dileggio questa mia lettera anche se la mia stima nei confronti dell’architetto Botta è bassissima, siccome in strada Garibaldi a Parma devo passarci una volta al giorno e la tua vacua presunzione non solo la vedo ma la sento, confitta nell’anima della mia città. Nella mia anima, quindi. Al posto del Palazzo Ducale (Maria Luigia: mai sentita nominare?) tu hai messo un pratino, e delle vasche, e dei faretti che passato poco tempo dall’inaugurazione sono in buona parte rotti così che gli spacciatori africani possano meglio spacciare, e qualche volta, a loro discrezione, accoltellare.
[...]
Non voglio dileggiarti ma purtroppo le tue opere parlano da sole. Tu hai detto alla Stampa che sono un “perverso dentro” e ci hai preso. Non so come hai fatto ma ci hai preso, mi eccito in strani modi, sono proprio un cattivo ragazzo. Il problema è che tu sei un perverso fuori.
Io faccio del male a me stesso, tu a intere città. Non ho mai incontrato l’uomo Botta ma conoscenti comuni ti descrivono affabile, disponibile, alla mano. Non ne dubito. Io sono un mostro devoto e tu sei la brava persona che costruisce chiese che umiliano Dio perché lo rinchiudono in forme non proprie che potrebbero essere di banche, industrie,centri commerciali.

A Torino hai costruito una chiesa che non sembra una chiesa e anche in questo sei poco originale, Mario, perché da decenni centinaia di tuoi colleghi fanno altrettanto. Non lo dico soltanto io, lo dice anche Marcello Veneziani nel suo “Contro i barbari”: “Ma perché la chiesa di Monte Sant’Angelo mi ricorda ancora la fede, il sacro e la civiltà cristiana e quella avveniristica di San Giovanni Rotondo mi ricorda la palestra o l’auditorium?”. Ma Veneziani è di destra quindi non conta.

Lo dice anche Giovanni Lindo Ferretti nel suo “Reduce” ma Ferretti ama il latino liturgico quindi non conta nemmeno lui, i tuoi progetti sono rivolti a palati post-conciliari.
Lo dice anche Mauro Corona nel suo “I fantasmi di pietra” ma Corona è un montanaro, al massimo capirà di galli cedroni.
Purtroppo per te lo dicono anche gli scrittori urbani dell’antologia “Periferie” edita da Laterza (autori non di destra e non lefevriani, garantito). Emidio Clementi descrive sconsolato una chiesa bolognese del quartiere Barca: “Entrata di vetro più simile all’ingresso di un ambulatorio che a quello di un tempio”. Silvio Bernelli parla di una chiesa torinese, non la tua, un’altra: “La colata di cemento che sale fino al campanile sembra un trampolino per lo sci”. Insomma queste chiese anonime non convincono nessuno, né giovani né vecchi, né atei né credenti. Non convincono nemmeno il Papa: “Nell’arte sacra non c’è spazio per l’arbitrarietà. Dalla soggettività non può venire alcuna arte sacra” (Joseph Ratzinger, “Introduzione allo spirito della liturgia”).

La tua chiesa del Volto Santo non è brutta e non è bella, semplicemente non funziona come chiesa. Sarebbe un’esaltante centrale nucleare con quei grossi sfiatatoi, ricorda la centrale elettrica inglese che appare sulla copertina di “Animals” dei Pink Floyd. Disgraziatamente non esercita alcun richiamo religioso e fa venire voglia di andare a pregare da un’altra parte, magari in moschea, chissà.

E il campanile, Mario, dov’è il campanile?

A te non piacciono i campanili, lo so, perché tu vuoi la privatizzazione della fede. Già con la facciata della chiesa di Genestrerio, in Canton Ticino, dimostrasti avversione per i segni visibili del cristianesimo, impegnandoti allo spasimo per occultare il campanile pre-esistente.
A Torino al Volto Santo hai sfruttato la presenza in loco di una vecchia ciminiera, “memoria della cultura operaia”, per evitarlo del tutto, il campanile. Quella vecchia ciminiera mi ha ricordato Auschwitz e il paragone ti ha turbato. Mi dispiace ridirtelo ma Auschwitz c’entra eccome, in entrambi i casi siamo nel campo dell’estetica industriale. Disumana. A Torino al posto di una chiesa hai eretto un monumento al lavoro e ogni monumento al lavoro ha una sola didascalia possibile: “Arbeit macht frei”.

Tu e i tuoi plauditores siete convinti che per ottenere il sacro basti aggiungere retorica al nichilismo, e vi sbagliate. Solo Cristo rende liberi, Mario: devi andare a catechismo prima di fare altri danni.
Camillo Langone ( Il Foglio, martedì 12 dicembre 2006)

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