lunedì, dicembre 04, 2006

Nel nome di Allah, Clemente [Mastella] e Misericordioso /2

A nome del Goveno italiano, il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella ha omaggiato Benedetto XVI ai piedi della scaletta dell'aereo che, poco dopo le ore nove del 28 novembre 2006 (e con un anno di ritardo!), è decollato alla volta della Turchia.
Salito a bordo il sommo pontefice "ccioiosamente" regnante si è recato a salutare i giornalisti (ovvero: l'orrida schiatta dei "vaticanisti").
"Cari amici" ha esordito il sedici volte Benedetto rispondendo a tre selezionate domande che gli hanno dato la possibilità di chiarire, alle mai troppo ottuse menti dei giornalisti al seguito del papa, che il suo non era un viaggio politico ma con finalità eminentemente religiose.

Il sedici volte ed ancor più Benedetto ha, inoltre, lodato il degno compito dei giornalisti che parlano e scrivono intorno al Papa: cioè quello di essere "mediatori culturali"; compito del "vaticanista" è quello di spiegare, chiarire e delucidare all'opinione pubblica il significato delle parole e dei gesti conpiuti dal Romano Pontefice.
Così facendo Benedetto XVI ha principiato il suo viaggio pastorale con un gesto veramente ascetico: il porgere l'altra guancia a coloro a causa dei quali la sua "lectio ratisbonense" è diventata causa di lutti e di sofferenze.
Si! Il papa ha chiamato i cronisti "amici", con lo stesso appellativo con cui Gesù si rivolse a Giuda Iscariota nel momento straziante del supremo tradimento.
Non sò quanto realmente papa Ratzinger nutrisse fede nella capacità di analisi dei giornalisti al seguito, comunque ci ha provato a spiegare che sempre egli agisce -ed anche in passato ha agito!- per la concretizzazione di un "autentico" dialogo tra credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, cattolici e non cattolici. Dopo di che, lasciando il settore riservato ai giornalisti li avrà affidati, nella preghiera, alla Divina Misericoria.

Prima del Concilio Vaticano II l'interesse mediatico per il Vaticano specialmente fuori dall'Italia era molto scarso, anche l'annuncio della convocazione del concilio non provocò fremiti. Lo storico viaggio in treno del 4 ottobre 1962 di Giovanni XXIII fece sensazione perchè era la prima uscita fuori Roma dall fine dello Stato Pontificio ma l'opinione pubblica non colse la stretta relazione dell'evento con l'imminente inaugurazione del XXI concilio della cristianità.
Il segretario di papa Giovanni, Loris Capovilla, organizzò un'intervista del papa con Indro Montanelli pregandolo di porre a papa Roncalli domande sugli scopi e le prospettive del Concilio Vaticano II, ma Montanelli si limitò a interrogare il papa intorno alla "distenzione" e sull'apertura a sinistra della DC.

Solo dopo aver visto le immagini della cerimonia di inaugurazione ci si rese conto di trovarsi a che fare con una cosa "grossa".
Per spiegare il perchè delle disquisizioni dei 1500 vescovi sull'ecclesiologia, la liturgia e le fonti della Rivelazione, i cronisti non trovarono di meglio che dividere l'assemblea, come un qualunque parlamento, in "Progressisti" e "Conservatori" lodando perciò acriticamente ogni decisione di riforma e deprecando ogni volontà di mantenere lo "status quo".
Finito il Concilio la fame di novità si spostò sul Paolo VI e sugli "storici" primo viaggio di un papa in aereo, primo viaggio di un papa in America e tutte le prime volte a seguire. Quando poi Papa Montini fece capire che la festa delle continue riforme era finita e si doveva ritornare nella ferialità della vita ordinaria della Chiesa, l'opinione pubblica non glielo perdonò.

L'interesse mediatico per "le cose di chiesa" tornò prepotentemente in auge con i due conclavi del '78 e con le novità degli stili pontificali.

L'attore Wojtyla capì che la curiosità mediatica di cui era morbosamente oggetto poteva -ad maiorem Dei gloriam!- essere messa al servizio della nuova evangelizzazione. I Media fecero un tacito patto con Giovanni Paolo II: avrebbero dato risalto alle sue dure prese di posizione contro la contraccezione, l'aborto, l'eutanasia purchè quelle cose le dicesse sciando, indossando un sonbrero, prendeno in braccio un koala o fumando il calumè della pace intorno al fuoco con gli Indiani d'America.
I Media hanno così reinterpretato la dottrina del primato del papa nella dottina secondo cui un buon papa è quello che ha fatto qualcosa che lo renda degno del guinnes dei primati.

Le saggie considerazioni dei vaticanisti che hanno ammonito l'opinione pubblica intorno al fatto che Papa Wojtyla era il papa dei gesti mentre Papa Ratzinger è il papa delle parole, per cui bisogna far attenzione al contenuto dei suoi discorsi come suol dirsi in questi casi, sono andate a farsi benedire!

I vaticanisti stessi non hanno resistito che pochi mesi prima di manifestare le proprie elocubrazioni sulle possibili ripercussioni ecclesiologiche nonche geopolitiche del camauro o della mozzetta con o senza zibellino.

E poi è arrivata Ratisbona.


Gli esperti di cose vaticani hanno per mesi lodato la capacità dell'erudito professor Ratzinger di saper parlare ai semplici. Poi, però, quando il professor Ratzinger a Ratisbona si è rivolto in dotte elucubrazioni ad altrettanti eruditi professori, i vaticanisti avrebbero dovuto rendersi conto del pericolo che le semplificazione del discorso papale sarebbero state gravide di drammatici travisamenti.
La croce è stata, poi, addossata tutta su Benedetto XVI; era lui, si è detto, che doveva esprimersi in modo che le sue affermazioni non venissero travisate!

Epperò io mi domando come possa un giornalista, scrivere, sulla medesima testata, che a Monaco l'11 settembre il Papa ha fatto un appello ad una "Santa Alleanza" di tutti credenti in Dio -dai teocon di Bush ad Al Queida- per superare le divergenze e allearsi per schiacciare il relativismo e di conseguente il libertinismo delle opulente società occidentali dei "senza-Dio", ed il giorno dopo lo stesso e medesimo giornalista, scrivere che a Ratisbona il papa ha fatto un appello perchè tutte le forze dell'Occidente -dai lefevriani all'arcigay- si uniscano in una crociata contro l'invasione islamica!
Un papa che entro loe ventiquattr'ore fa appelli così contrastanti può essere solo uno schizzofrenico. Oppure lo schizzofrenico è il giornalista. Oppure è il giornalista a considerare i suoi lettori degli schizzofrenici.
E' l'eccessiva volontà di sintesi, l'incapacità di seguire un ragionamento che non si esprima con più di tre parole dei popoli evoluti dell'occidente, che ha fatto sì che Papa Ratzinger divenisse oggetto di odio, un odio manifestato a parole ma che verso altri cristiani nel mondo si è concretizzato in modo anche meno metaforico.

Il mondo islamico ignora profondamente tanti distinguo e sottigliezze presenti nelle gerarchie e nelle dottine cristiane. Per loro, che soffrono da un secolo di astinenza da califfato, il Papa di Roma è una specie di Califfo di tutti i cristiani, e di conseguenza capo politico dell'Occidente, che con una sola parola può muovere milioni di persone ad intraprendere una crociata anti islamica. Per questo l'opinione pubblica islamica ha sempre lodato gli appelli alla pace dei papi, perchè sono convinti che i papi possano anche fare degli appelli alla guerra!
Il mondo occidentale, lo sappiamo bene, non è un mondo poi così tanto culturalmente omogeneo, c'è soprattutto un mondo anglosassone istintivamente antipapista. Ci sono ambienti in cui non si ci fa scappare l'occasione per far fare una pessima figura al papa e al cattolicesimo, vedasi le mozioni votate dal Parlamento Europeo che dipingono il cattolicesimo come la causa di ogni male del mondo, dove si protesta per finanziamenti accordati alla Giornata Mondiale della gioventù di Colonia e dove ci si straccia le vesti se su una sulle monete dell'Euro compare il profilo del Pontefice regnante!
Se dobbiano dolerci delle violente reazioni islamiche al discorso di Batisbona dobbiamo prima ancora deprecare le Agenzie di Stampa -tutte occidentali!- che hanno diffuso la notizia che il papa aveva insultato Maometto.

I giornalisti di cose vaticane hanno fatto poi il possibile per non buttare acqua sul fuoco. Come può Marco Politi, vaticanista di Repubblica scrivere in data 13 settembre 2006 che "Il papa scomunica la spada di Maometto"?

E' vero, viviamo in una società di cultura cattolica in cui la religione è spesso usata a metafora del quotidiano, per cui una riunione politica diventa inesorabilmente un "conclave". Se, poi, un leader politico sconfessa un menbro del proprio Partito allora si dice che lo "scomunica", ma quando si torna nel campo religioso, e si parla di persone che realmente hanno l'autorità di scagliare scomuniche ed anatemi, allora bisognerebbe attenersi ai fatti ed attribuire alle parole ed ai gesti il loro proprio nome!
Anche "la spada di Maometto" non può essere considerata solo una innocua metafora perchè la spada di Maometto è un oggetto concreto che si conserva nel palazzo Topkapi ad Istanbul insieme con le altre preziose reliquie del Profeta dell'Islam!
Tra l'altro credo che il termine più acconcio per tradurre "scomunica" nel linguagio mussulmano sia "fatwua". Come lo si spiega ad un mussulmano che quando legge che il papa ha lanciato una fatwua contro la religione islamica in realtà si tratta solo di una metafora giornalistica?
Ci rendiamo conto che diventa impossibile convincerlo che quel giornalista è solo un imbecille?

No! Non è un imbecille, è uno di quei corrispondenti che sa benissimo che configurando uno scontro di civiltà ogni dichiarazione papale verrà accolta con maggior interesse dall'opinine pubblica e perciò i loro aricoli avranno maggior spazio sui giornali.
Ecco così che in questi ultimi due mesi ogni dichiarzione papale è stata letta alla luce dello scontro di civiltà anche dove solo una mente perversa poteva vederci un riferimento. Esemplare in tal senso la visita di Benedetto XVI alla Pontificia Università Gregoriana in data 3 novenbre.
Da un lunghissimo discorso pieno di laudi alle benemerenze dell'università dei gesuiti è emerso sugli organi di comunicazione l'appello papale al dialogo con l'Islam.
In realtà Benedetto XVI non ha fatto ne voleva fare alcun riferimento diretto all'Islam.

Benedetto XVI ha ricordato che seppur con il passare dei secoli e degli argomenti di controversia teologica, i gesuiti debbono dare ai propri studenti gli strumenti necessari per difendere e promuovere la fede cattolica: "Oggi non si può non tener conto del confronto con la cultura secolare, che in molte parti del mondo tende sempre più non solo a negare ogni segno della presenza di Dio nella vita della società e del singolo, ma con vari mezzi, che disorientano e offuscano la retta coscienza dell’uomo, cerca di corrodere la sua capacità di mettersi in ascolto di Dio. Non si può prescindere, poi, dal rapporto con le altre religioni, che si rivela costruttivo solo se evita ogni ambiguità che in qualche modo indebolisca il contenuto essenziale della fede cristiana in Cristo unico Salvatore di tutti gli uomini (cfr At 4,12) e nella Chiesa sacramento necessario di salvezza per tutta l’umanità"(cfr Dich. Dominus Iesus, nn. 13-15; 20-22: AAS 92 [2000], 742-765)."
Quindi dalla lettura del testo emerge che il papa ha detto tutt'altra cosa rispetto ad un irenico appello al "volemosebbene" con i mussulmani! Però ai fini mediatici era necessario creare l'evento altrimenti il servizio televisivo non sarebbe stato messo in onda e l'articolo non sarebbe stato pubblicato.

Ovviamente un osservatore meno superficiale avrebbe colto che alla Gregoriana l'evento c'era e la notizia pure!
Nonostante l'accurato infiocchettamento il discorso papale è piovuto nel bel mezzo della riforma degli statuti della Università Gregoriana. Benedetto XVI ha proclamato sommessamente e gentilmente un fermissimo no ad ogni mutilazione della impostazione ignaziana della vetusta università gesuitica.
Fedeltà allo "Spirito ignaziano" che si può condenzare in due punti. L'assoluta obbedienza "perinde ac cadaver" dei professori alle decisioni della Santa Sede e la sottomissione dello studio della Pedagogia e della Psicologia al fine ultimo di meglio applicare la tecnica degli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio.

Ovviamente nemmeno l'Avvenire avrebbe pubblicato un articolo in cui si si disquisisce delle peculiarità della spiritualità ignaziana da quella teresiana o alfonsiana quando anche il cattolico di media cultura ha difficoltà a realizzare quale sia la peculiarità della spiritualità cristiana tout court.

4 commenti:

Luciano ha detto...

Grande post. Spero che tu abbia notato il numero della foto n.3 vero? :-)

Duque de Gandìa ha detto...

Foto numero 3 ???
No entiendo.

Luciano ha detto...

uff..:) Clicca sulla foto n.3, e poi guarda la url, o la pagina, insomma guarda che indirizzo ha quella foto! :)

Duque de Gandìa ha detto...

Sancte Michael, defende nos in prelio!
Amen