domenica, aprile 22, 2007

Fare le scarpe al Papa



Essendosi definitivamente conclusa grazie a Giovanni Paolo II l'era in cui i papi, anche se non più prigionieri in Vaticano, poco amavano allontanarsi dall'Urbe, ecco che persino il neoeletto Benedetto XVI, pur avendo piena coscienza d'aver poco la vocazione d'arringatore di folle, si mise subito a progettare possibili viaggi apostolici manifestando immantinente ai suoi collaboratori il desiderio ardente di potersi recare a Pavia per venerare le reliquie del suo "maestro" sant’Agostino sul quale si era formato e sul quale si era laureato in teologia nel lontano 1953 con la tesi poi pubblicata col titolo "Popolo e casa di Dio in Sant' Agostino".


Il vescovo di Vigevano monsignor Claudio Baggini quando venne a sapere che Benedetto XVI sarebbe andato a Pavia per pregare sulla tomba di sant’Agostino fece notare con discrezione che quella di Vigevano era rimasta l’unica diocesi a non essere stata visitata da Giovanni Paolo II.
Il sedici volte Benedetto, dovendo essere questa la prima visita pastorale ad una diocesi italiana, cogliendo la portata simbolica, ha ben gradito di far precedere la visita a Pavia con una tappa nella vicina Vigevano dove, affacciandosi dal balcone dell'episcopio, è stato sommerso dalle ovazioni quando ha mirabilmente sottolineato la dottrina della Succesione Apostolica : "Qui a Vigevano, l’unica Diocesi della Lombardia non visitata dal mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, ho voluto dare inizio a questo mio pellegrinaggio pastorale in Italia. Così, è come se riprendessi il cammino da lui percorso per continuare a proclamare agli uomini e alle donne dell’amata Italia l’annuncio, antico e sempre nuovo, che risuona con particolare vigore in questo tempo pasquale: Cristo è risorto! Cristo è vivo! Cristo è con noi oggi e sempre!"

Comprensibile la "crante ccioia" dei cattolici lomellini che non vedevano un papa da quasi 500 anni, da quel giorno del lontano 1418, quando Martino V Colonna, in viaggio verso Roma di ritorno dal Concilio di Costanza che lo aveva eletto papa, si accampò qualche ora fuori le mura di Vigevano per ristorarsi.

Nella sosta di poche ore di Joseph Ratzinger a Vigevano- che non è stata in ciò dissimile da quella di quell'Oddone che lo aveva preceduto cinquecento anni prima- forse non ha saputo che la municipalità per solennizzare il cinquecentennale evento non ha trovato nulla di meglio della esposizione: Le «Scarpe dei Papi» in mostra nel Museo internazionale della calzatura «Bertolini».

Vigevano è infatti da secoli città degli operatori del settore calzaturiero, riunito nel "Consorzio di San Crispino e Crispiniano", e tradizionalmente molte manifatture lomelline sono storiche fornitrici di calzature per ecclesiastici: nella mostra sono state esposte sette paia di scarpe appartenute a quattro diversi pontefici; due paia di calzature da cerimonia appartenute a Pio XI (1922-1939); un paio di scarpe da Arcivescovo, di colore rosso, e un paio di scarpe da Papa, di color avorio, di proprietà del museo della Calzatura; due paia di calzature di papa Giovanni XXIII (1958-1963): una da passeggio di color nero; una da cerimonia di colore chiaro (prestate dal Consorzio dei Santi Crispino e Crispiniano); due paia di scarpe di papa Giovanni Paolo II (1978-2005), un paio da passeggio di colore coloniale e un paio da cerimonia di colore bordeaux.
Dulcis in fundo le scarpe di papa Benedetto XVI, cioè la copia delle calzature da passeggio donate al pontefice durante la sua visita a Vigevano e realizzate dalla ditta Moreschi: un classico modello a pantofola, con un leggero fondo in cuoio, in morbida e pregiata pelle di canguro rossa.
Ma oltre alle scarpe per il Pastore della Chiesa i calzolai di Vigevano hanno pensato anche alle pecorelle di Cristo riuscendo a raccogliere migliaia di paia di scarpe per uomo, donna, bambino, estive e invernali che verranno inviate ai poveri del mondo che il Papa indicherà.

Perchè perdo tempo a scrivere delle sacre pantofole?
Perchè è quello di cui maggiormente si sono occupati i giornalisti al seguito papale.


Condensare un pensiero profondo e al contempo articolato non è per niente semplice per cui ciò che della domenica di Papa Ratzinger a Pavia si è sottolineato: la sua devozione "privata" per sant'Agostino e che si è recato sulla tomba del santo per "idealmente riconsegnare alla Chiesa e al mondo la mia prima Enciclica, che contiene proprio questo messaggio centrale del Vangelo: Deus caritas est, Dio è amore. Questa Enciclica, soprattutto la sua prima parte, è largamente debitrice al pensiero di sant’Agostino, che è stato un innamorato dell’Amore di Dio, e lo ha cantato, meditato, predicato in tutti i suoi scritti, e soprattutto testimoniato nel suo ministero pastorale."

Ora, raccontare che "l'evento" per cui Benedetto XVI vuole che venga ricordato il suo viaggio a Pavia è la "Deus Charitas Est" cioè un'enciclica pubblicata già da oltre un anno è cosa assai ardua da far apparire "una notizia" perciò i vaticanisti son andati alla ricerca di qualunque cosa potesse avere un maggior appiglio all'attualità (politica) come l'ovvio richiamo del Santo Padre (all'interno di una omelia sul vero senso dell'azione pastorale) "al valore della famiglia".
Evidentemente, l'espessione stereotipata oggidì tanto in uso Benedeto XVI non l'ha utilizzato poichè più che i valori familiari gli stanno a cuore i destini della famiglia nella sua realtà concreta: "l’elemento portante della vita sociale, per cui solo lavorando in favore delle famiglie si può rinnovare il tessuto della comunità ecclesiale e della stessa società civile".

Ovvio richiamo, dicevo, che è stato subito presentato dai mass-media come la benedizione (cioè la sponsorizzazione) se non il personale e anticipato contributo di Papa Ratzinger al "Family Day" organizzato dagli ex (post et in aeterum)democristiani che si svolgerà il 12 maggio a piazza San Giovanni in Laterano quando il Papa dovrà essere in Brasile.


Degli appassionati discorsi del pontefice :sulla fiducia nel mistico operare di Cristo nella Chiesa, sulla conversione cristiana, sulla virtù superna dell'umiltà, sull'opera della Grazia prima e dopo il battesimo invece si ha l'impressione che sia emerso assai poco. Eppure son convinto che sia apparso il "carisma" precipuo del sedici volte Benedetto che, al pari di un novello Sant'Agostino, si è fatto carico di: "Correggere gli indisciplinati, confortare i pusillanimi, sostenere i deboli, confutare gli oppositori… stimolare i negligenti, frenare i litigiosi, aiutare i bisognosi, liberare gli oppressi, mostrare approvazione ai buoni, tollerare i cattivi e amare tutti" .

1 commento:

Duque de Gandìa ha detto...

Ieri Wojtyla sospettato, oggi Ratzinger bersagliato

Gian Maria Vian sull' Avvenire del 17 maggio 2007

Nella nostra era mediatica bisognerà introdurre l'applausometro come criterio di giudizio anche per i papi? A leggere i commenti del viaggio in Brasile di Benedetto XVI, in alcuni giornali italiani, sembrerebbe di sì.
E questo non è un progresso. Per sgombrare il campo dagli equivoci va premesso che ognuno, ovviamente, è libero di criticare il Papa e la Chiesa cattolica. Purché non si oltrepassino i limiti imposti dal rispetto delle opinioni altrui e della sensibilità di milioni di persone, cattoliche ma anche laiche. Come invece si fa - con lodevole scrupolo - nei confronti di altre confessioni cristiane, dell'ebraismo e dell'islamismo. Mentre non di rado nei confronti dei cattolici si usano tranquillamente argomenti e toni polemici che non si osano nemmeno pensare verso altre confessioni religiose. Ma veniamo ai commenti sul viaggio in Brasile, dove il vescovo di Roma si è recato - sulla scia dei suoi predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II - per aprire la periodica conferenza dell'episcopato latinoamericano. In una parte del mondo dove vive la metà dei cattolici di tutto il mondo, e dove il successore di Pietro è andato per «confermare» i suoi fratelli. Sicuro che dall'incontro di Aparecida, in pieno svolgimento proprio in questi giorni, «potranno sorgere nuove strade e progetti pastorali creativi», come ha detto il Papa in un discorso inaugurale tanto impegnativo per i vescovi quanto fiducioso nel metodo collegiale. Al contrario, il manifesto sa già come andrà a finire «dopo il mezzo fiasco brasiliano», del resto anticipato da un'intervista preconfezionata di Leonardo Boff della quale il quotidiano romano aveva pubblicato una sintesi alla vigilia del viaggio: così il Papa «è stato prevedibile» con le sue «ossessioni» (del tipo, «aborto, eutanasia, famiglia canonica»).
Ma non basta: «Prevedibile (e noioso) deve essere sembrato anche alle masse cattoliche brasiliane», dimostratesi - scrive ancora Maurizio Matteuzzi - «insensibili al suo scarso appeal. Il lugub re inquisitore giunto da Roma è stato visto e sentito come un estraneo, che parlava di cose che non avevano nulla a che fare con la realtà in cui le diceva». Poi un po' di cifre, da applausometro, appunto, per dimostrare che per Benedetto XVI non c'è partita: con i telepredicatori pentecostali, il gay pride carioca, i Rolling Stones e nemmeno Giovanni Paolo II, riscoperto - e molto accomodato, per la verità - quando non c'è più (ma restano i suoi insegnamenti, allora vituperatissimi e che magari andrebbero riletti prima di contrapporre un pontefice all'altro, secondo uno schema che già nel 1885 denunciava Leone XIII scrivendo all'arcivescovo di Parigi, cardinale Guibert). Chi non ricorda i sospetti che Wojtyla suscitava, presso certi osservatori, per il suo feeling con le folle? Ma anche il commento, più articolato, di Filippo Di Giacomo sulla Stampa - titolato seccamente «Dietro il flop del Papa in Brasile» - si avvia sul confronto con il predecessore per sottolineare in fondo un'ovvietà, e cioè che «il wojtylismo senza Wojtyla non ha senso e comunque non esiste» (in proposito il manifesto scopre che «Wojtyla aveva un carisma e un peso in scena che il pallido pastore tedesco non si sogna di avere - e forse neanche vuole avere»). Anche se poi Di Giacomo sostiene che Benedetto XVI «è stato anche uno straordinario annunciatore e testimone, pacato e lucido, della verità e della libertà evangeliche», come argomenta in un'analisi del discorso di Aparecida. Ma l'applausometro non serve. Il vescovo di Roma - papa teologo e pastore - sta svolgendo il suo ministero di comunione grazie soprattutto alla parola. Impegnativa sì, ma non cerebrale. Di ragione, certo, ma anche di cuore. Chi l'ascolti con un minimo di attenzione, vi sentirà risuonare una semplice verità, annunciata nell'enciclica programmatica: all'inizio dell'essere cristiano «non c'è una decisione etica o una grande idea», ma l'incontro con una persona, Gesù. Che di applausi non ne ha presi molti.