venerdì, febbraio 22, 2008

"questo, d'ignoto amante inno ricevi" (3)

Sive: In Festo Cathedra Beati Petri Apostoli


«A Roma ho imparato una lezione molto importante, tra le innumerevoli altre conquiste.

E' stato spesso affermato che l'architettura gotica rappresenta l'anima che tende verso Dio, mentre quella rinascimentale e romanica rappresenta Dio che trova la Sua dimora nell'uomo. Entrambi questi aspetti sono essenziali, eppure nessuno dei due, nella religione dell'Incarnazione, può sussistere senza l'altro.

Da un lato è vero che l'anima deve essere sempre in ricerca, sempre rivolta in alto verso l'oscurità dove Dio si nasconde, sempre memore che l'infinito trascende il finito e che vi è un elemento di immenso agnosticismo in ogni credo; le direzioni di questo mondo, così comìera, s'innalzano verso le tenebre; la luce che ci accompagna attraverso tracce incise e indizi oscuri ci permette di camminare, ma nulla di più. Nel silenzio Dio si rivela e attraverso i misteri proclama la Sua esistenza. Dio è spirito, senza forma, infinito, invisibile ed eterno: Quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità! (Gv 4,24). Qui vi è quindi il misticismo e la notte oscura dell'esperienza spirituale.

Dall'altra parte Dio si è fatto uomo e "il Verbo si fece carne".
La natura divina e inconoscibile si unì alla carne e "venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la Sua gloria". Ciò che era nascosto divenne conosciuto. Non siamo solo noi gli assetati che bussano: è Dio stesso ad essere assetato del nostro amore, a morire su una croce affinchè possano venire aperte le porte del Paradiso a tutti i credenti, che ha squarciato il velo del Tempio con il suo urlo di morte, e che ancora adesso bussa ad ogni cuore per poter entrare a cenare in compagnia dell'uomo.
La cupola rotonda del Paradiso è stata portata quaggiù in terra, i confini del mondo sono visibili e riconoscibili grazie alla luce di Dio; il vasto chiarore della Rivelazione si difonde in ogni dove attraverso finestre che danno su un lastricato splendente; angeli insieme a santi e uomini si radunano come ebbri per l'amore divino, l'altare sublime si erge davanti a noi illuminato (...) affinchè tutti possano vedere e ammirare.

Ora, va detto che questo aspetto della religione dell'Incarnazione non aveva molto significato per me.
Ero un nordico e nel senso letterale del termine, educato in maniera nordica. Amavo le luci soffuse, la musica misteriosa e le ombre del bosco fitto, mentre odiavo gli spazi aperti al sole, le trombe che suonano all'unisono e il tondo e il quadrato in architettura. Preferivo la meditazione rispetto alla recitazione delle preghiere; Madame Guyon a Mather Julian; John Inglesant a San Tommaso; il secolo tredicesimo così come me lo immaginavo a quello sedicesimo.

All'incirca sin dalla fine della mia esperienza anglicana avrei dovuto conoscere questo aspetto: allora avrei potuto risentirmi per quest'accusa in quanto già iniziavo a capire (e quindi pensavo di aver pienamente compreso) che il mondo era sia materiale che spirituale e che le credenze erano necessarie come le aspirazioni.
Ma quando giunsi a Roma compresi che in realtà non avevo colto del tutto questo aspetto.

Ecco una città rinascimentale da capo a coda, sotto un cielo limpido e un sole che scotta, la cui religione era come l'anima che risiede nel corpo. Era la dimostrazione vivente di come la realtà umana può personificare il divino.
Anche le dottrine proprie del cristianesimo venivano raffigurate con immagini pagane. La rivelazione parlava attraverso le forme della religione naturale; Dio abitava senza vergogna nei luoghi luminosi, i preti erano preti e non pastori dalle buone intenzioni; compivano i sacrifici, aspergevano con l'acqua benedetta, partecipavano a lunghe e ondulate processioni con l'incenzo e i lumi, chiamando Olimpo il Paradiso.
In un altare di granito notai la scritta Sacrum Divo Sebastiano.

Spesso sedevo in compagnia di professori di teologia che scherzavano, ridevano e dimostravano la loro gioia in una sala conferenze davanti a sei nazioni. Vedevo l'immagine del "Padre dei principi e dei re e padrone del mondo" esposta nelle strade il giorno del suo onomastico, circondata di fiori e lampade ad olio nella maniera in cui, due millenni fa, altri padroni del mondo venivano onorati. Sono sceso nelle catacombe nei giorni di Santa Cecilia e di San Valentino e ho sentito l'odore del bosso e del miro sotto i mie piedi, che rendeva onore alla fragranza della loro memoria così come secoli prima, in un diverso contesto, aveva reso onore ai vincitori.
In una frase, iniziai a capire che "il Verbo di fece carne e venne ad abitare in mezo a noi" (Gv1,14); che se ha scelto la sostanza creata di una vergine per costituirsi un corpo naturale, allora può anche utilizzare la sostanza creata degli uomini (i loro pensieri, le loro forme di espressione e metodi) per formare per sè quel corpo mistico attraverso cui Egli si rende presente a noi sempre. In poche parole, capii che l'unica cosa veramente mondana è il peccato.

Ma allora il cattolicesimo è materialistico?
Certo, e lo è come la Creazione e l'incarnazione, nè più ne meno.

E' impossibile descrivere cosa significhi questa scoperta per uno spirito nordico. Significa di sicuro l'oscuramento di alcune di alcune di quelle vecchie luci che sembravano scosì belle nella semi oscurità dell'esperienza individuale, o piuttosto il loro scoparire di fronte alla luce forte del giorno.
[...]
Paragonate un aspetto qualsiasi della fede e del culto cattolico così come vengono vissuti nella Città eterna al corrispondente anglicano!
Eppure gli anglicani rimangono scioccati quando vengono a Roma, i dissidenti si scandalizzano del paganesimo e i liberi pensatori sorridono al pensiero delle piccolezze di tutto questo. Certo, si scioccano, si scandalizzano e sorridono: potrebbero comportarsi diversamente?

Invece la verità è che un soggiorno a Roma allaga la mente al di là di ogni descrizione.
Mentre fino a quel momento mi ero abituato ad immaginare il Cristianesimo come un fiore delicato, divino in quanto soprannaturalmente fragile, ora vedevo che è invece un albero i cui rami accolgono gli uccelli dell'aria un tempo nemici della sua tenera crescita ma che ora possono trovarvi rifugio. La sua divinità consiste nell'ampienza della sua diffusione e dalla forza delle sue possenti radici: nulla pò paragonarsi a questo.
Prima la immaginavo come un aroma raffinato e dolce, da venir gustato a parte; ora capivo che si trattava del lievito, nascosto nei luoghi più reconditi della terra, che si manifestava in modo molto più rozzo di quanto avrei immaginato fino a quando tutto sarà fermentato.

E così giorno dopo giorno continuavo ad imparare (...) piano piano la lezione veniva assimilata dal mio cervello ed imparavo che vi era qualcosa di totalmente diverso da ciò che ero abituato a conoscere, qualcosa che non avrei mai appreso nella mia tranquilla penombra nordica.
Qui si trova la sede centrale del mondo spirituale; qui la grazia veniva elargita, i dogmi definiti e le provviste salvaguardate per le anime di tutto il mondo.
Qui aveva stabilito il Suo trono per governare il Suo popolo, dove un tempo Domiziano, dominus et deus noster, l'imitatore di Dio comandava prescindendo da Lui, eppure adombrando il vicario di Cristo.

Il Venerdì Santo, sotto le rovine del Palatino, andai alla chiesa di San Toto e ascoltai quel versetto: "Se liberi costui non sei amico di Cesare" (Gv19,12). Oggi "costui" è il Re mentre Cesare non è nulla.

Certo è che qui, più che in ogni altro luogo, il lievito conficcato dalla mano divina nel suolo duro dell'Impero romano, gradualemte si è espresso in leggi e dogmi con immagini del pensiero "del mondo"; qui il sangue di Pietro è confluito sotto l'obelisco, ancora pulsante nelle vene di Pio [X, all'epoca regnate, n.d.r], Pontifex Maximus et Pater Patrum, che dista solo di qualche metro.

Almeno questo a Roma l'ho appreso, ed era una lezione che valeva la pena imparare, pur tra tutte le difficoltà. Venivo da una stanza calorosa e illuminata dal caminetto, piena di ombre, e mi ritrovavo ora esposto alle folate di vento negli spazi immensi della storia umana.
Capii finalmente che nulla di ciò che è umano è indifferente a Dio, che i tentattivi di ricerca dei popoli pre-cristiani molto spesso li hanno avvicinati al Cancello della Verità; che i loro piccoli sistemi, sforzi ed immagini non venivano disprezzati da Colui che li aveva permessi, e che "Dopo aver Iddio in antico, a più riprese e in molti modi, parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi tempi parlò a noi per mezzo del Suo Figlio, che costituì erede di ogni cosa e per mezo del quale creò anche i secoli. questo figlio, immagine della gloria di dio e impronta della sua sostanza, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso nel più alto dei cieli alla destra della Maestà divina" (Ebrei, I, 1,3)».

Dalle "Confessioni di un Convertito" (1913)
di Robert Hugh BENSON (1871-1914)

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