giovedì, ottobre 30, 2008

CASTRUM DOLORIS, XVII


"La cripta dei Cappuccini, via Veneto

Agli spagnoli, i siciliani, i leccesi, i messicani, gli a manti di Halloween di Dario Argento che magnificano le meraviglie del proprio barocco raccapricciante, i romani sono autorizzati a controbattere con lo spettacolo della cripta dei Cappuccini in via Veneto, compreso il sacello dove riposa Padre Mariano (1906-1972), il frate che parlava in televisione al tempo monocolore e monocanale, chiudendo i propri discorsi con l’inamovibile: “Pace e bene a tutti”. *
La cripta è infatti cosa davvero unica, forse nascosta rispetto all’occhio del visitatore ignaro o accecato soltanto dal binomio via Veneto-Dolce Vita, e dunque mignotte, cocaina e attori famosi, ma comunque degna di ogni possibile attenzione.

Se le catacombe palermitane, dove i morti sono attaccati alle nicchie con gli abiti del proprio mestiere, già viste nel film di Francesco Rosi Cadaveri eccellenti, vanno associati alla teatralità espressionistica per la loro ridondanza scenografica, nel caso della sede romana bisogna pensare piuttosto all’astrazione pura, Mondrian piuttosto che Munch, lì infatti le ossa umane sono utilizzate come nel lego, per realizzare una decorazione perietale. Ai cappuccini di via Veneto le vertebre, le costole , i bacini, i femori e quant’altro, cartilagini comprese, servono a comporre l’ornato delle cripte. Qualcuno infatti a suo tempo pensò a incollare, uno dopo l’altro, tanti pezzetti d’ossa alle pareti. Il discorso profondo che se ne deduce riguarda il libro dell’Eccesiaste, serve anzi a smentire i capisaldi di quel testo: non è vero che tu, da morto, non servi più a nulla, guarda bene qui e scoprirai che non si butta niente nella versione più gagliarda del barocco.

Nell’ordine troviamo la cripta della risurrezione, la cripta dei teschi, la cripta dei bacini con un grande baldacchino (di bacini, ovviamente) dal quale pende un fregio di vertebre più il rosone centrale della volta formato da sette scapole con pendagli di altrettante vertebre. La cripta delle tibie e dei femori con un tondo di mandibole ornato di nuovo di vertebre e due grandi fiori laterali formati da scapole con pendagli dempre di vertebre. La cripta dei tre scheletri, dove alcuni piccoli scheletri (amati defunti di casa Barberini) sorreggono con una mano un cranio alato.
Nel sito ufficiale www.cappucciniviaveneto.it, è possibile leggere: “Verso la metà del 1700, con interventi successivi fino al 1870, questo luogo di sepoltura, di preghiera e di riflessione per cappuccini –che vi scendevano ogni sera prima di andare a riposare- è stato trasformato in un’opera d’arte, per trasmettere il messaggio che la morte ferma ferma le porte del tempo e apre quelle dell’eternità”. Giovedì chiuso."

(FULVIO ABBATE; ROMA, guida non conformista alla città; Cooper 2007)



* [Il sarcastico Abbate, che a stento riesce a trattenere il raccapriccio per le manifestazioni del sacro di quella Roma pontificia assoggettata alla da lui definita "vermiglia pantofola chiodata", pone erroneamente il sacello del padre cappuccino Mariano da Torino nella cripta mentre quel gran Servo di Dio è sepolto nella Chiesa della Concezione, sotto lo sguardo del celeberrimo San Michele Arcangelo di Guido Reni, entrando, la prima cappella a destra.]

mercoledì, ottobre 29, 2008

CASTRUM DOLORIS, XVI


Ovvero: Lo spirituale ed il temporale

Vaticanista del Corriere della Sera, Luigi Accattoli la sera di martedì 28 Ottobre 2008, nonchè cinquantesimo anniversario della elezione di Papa Giovanni, si trovava presso la tomba di quel Papa-Re Giovanni Maria compagno di beatificazione del Papa Buono, nella Basilica paleocristiana di San Lorenzo Fuori le Mura. Basilica presso la quale accorse Pio XII dopo essere stata colpita del bombardamento degli alleati anglo-americani che ridusse in cenere la sontuosa decorazione voluta da Pio IX. Papa Mastai Ferretti amava particolarmente la basilica patriarcale del Verano, dove decretò la propria sepoltura, e la volle affidare alle cure spirituali dei frati francescani cappuccini poichè i francescani minori e i francescani conventuali officiavano già rispettivamente le altre basiliche patriarcali del Laterano e del Vaticano.

Nella sobria navata dove le antiche colonne portano evidenti i segni delle bombe, Luigi Accattoli era giunto quale moderatore della tavola rotonda sui “Contenuti elementari del vivere umano”, con padre Giacobbe Elia, Flavio Keller, Tonino Cantelmi, Alessandro Meluzzi, Roberto Fornara, nell’ambito del convegno intitolato “La vita: fragilità e pienezza”, promossa dai padri Cappuccini e dall’Associazione "Identità e Confronti".

Scrive sul proprio blog il "giovanneo" Accattoli:
Prima è andata via la luce e la Basilica di San Lorenzo fuori le Mura era ancora più bella, perchè finalmente la vedevi, senza più quei fari abbaglianti. Ma subito dopo è arrivata l’acqua: un fiume d’acqua che scorreva tra le navate, coprendo con le foglie dei platani e i foglietti della messa i mosaici del pavimento e salendo veloce al livello del primo gradino del presbiterio.
Era appena entrato in Basilica il sindaco Giovanni Alemanno e io l’avevo salutato a nome di tutti, essendo il coordinatore della tavola rotonda sulle “ragioni della vita”. Ed ecco Giancarlo Elena, uno degli organizzatori, che dice al microfono: “C’è un fatto nuovo, l’acqua entra nella Basilica, dobbiamo trasferirci nella sala superiore”.
Alla rinfusa transumiamo a centinaia verso quella sala, ma anche per raggiungere l’uscita che passa per la sacrestia dobbiamo camminare nell’acqua, che subito sulla nostra sinistra precipita a cascata nella cripta, scorrendo sotto la cancellata e scendendo a balzelloni per i gradini verso la tomba di Pio IX. Passando per un corridoio vediamo il chiostro allagato ancor più della Basilica.
Continuano i tuoni e lo scrosio dell’acqua.
Nella sala superiore, il padre Carmine De Filippis, ministro provinciale dei Cappuccini del Lazio, esclama: “Signor Sindaco, forse è un segno che tutto questo sia capitato mentre lei era qui: ci aiuti a salvare la Basilica! Sono 12 anni che frequento questo luogo e sarà già successo quattro o cinque volte un tale allagamento: noi viviamo nel terrore dell’acqua alta, come nella Roma dei secoli passati, dove la memoria delle generazioni era scandita dalle inondazioni del Tevere”.


E mentre il pensiero nostro segue, sgomento, lo scorrere dell'acqua piovana che dal cosmatesco pavimento della basilica medievale precipita giù per le scale che scendono alla cripta dove il beato corpo di Pio IX, dal giorno della Beatificazione del 3 settembre 2000 è felicemente esposto sotto il nuovo altare della sua interrata cappella funeraria che la devozione dei cattolici di tutto il mondo volle completamente e splendidamente decorata a mosaico, pare di sentire nuovamente attorno a Papa Mastai la eco della "pasquinata" trovata nella Basilica Vaticana il 17 settembre 1870, tre giorni prima della Breccia di Porta Pia: "Santo Padre benedetto, ci sarebbe un poveretto/ che vorrebbe darvi in dono/ questo ombrello. E' poco buono,/ ma non ho nulla di meglio./ Mi direte: "A che mi vale?"./ Tuona il nembo, Santo Veglio;/ e se cade il temporale?

martedì, ottobre 28, 2008

Vite Parallele /15

Sive: SUMMORUM PONTIFICUM CURA


“Ammiratori e avversari hanno esaurito tutte le loro risorse per rilevare l’antitesi totale che Giovanni XXIII avrebbe costituito col suo predecessore tanto nelle caratteristiche personali, fisiche e psicologiche, quanto nello stile e nei metodi di governo.
Un gioco anche troppo facile, se non altro per l’imporsi addirittura quasi violenta di certi contrasti, a partire da quello delle relative figure. Ma il cui torto peggiore è quello di voler dimostrare una tesi data per scontata, come se la sua contraria non avesse le minime chanches di farsi valere.

Gioco per gioco, ma con la speranza che non sia altrettanto futile, vorrei individuare se, nonostante le opposte e così vistose apparenze, essi avevano invece qualche elemento in comune o addirittura, nonostante tutto, una certa affinità. […] ho preso come punti di riferimento quattro caratteristiche fondamentali del modo di essere di papa Pacelli: l’impassibilità, la chiarezza delle idee e delle scelte, il senso di autorità e la ieraticità. Esse possono benissimo essere valide nel confronto essenziale che mi limiterò ad abbozzare.

Quanto all’impassibilità, trovo che il termine lascia molto a desiderare e che potrebbe meglio essere sostituito da quello di imperturbabilità. La impassibilità è più una dote fisica che morale, al contario dell’imperturbabilità. Ora ammetto che non sarebbe facile un discorso sull’impassibilità di Giovanni XXIII, mentre non è affatto arduo quello sulla sua imperturbabilità; ma anche il discorso su Pio XII riesce non solo più agevole ma anche più adeguato e preciso nel secondo caso. […]
Parlando del Pacelli infatti, veniva più spontaneo porre l’accento su quella caratteristica traduzione esterna, fisica, della sua interiore imperturbabilità che definivo la statuarietà o la marmorizzazione della sua figura. Lo stesso stato interiore, invece in papa Roncalli si traduceva non già in un’impassibilità immobilistica, ma, al contrario, in una mobilità contenuta ma significativa e a volte persino in vivacità.
Quello che conta è che ambedue i pontefici vivessero il loro ruolo di papi con una profonda tranquillità di spirito, senza turbamenti e senza ansie interiori, o con turbamenti e ansie subito fugati, senza agitazioni o oscillazioni d’animo. Ciò che in un’indole più fredda e dominata da una prevalente determinazione della volontà come quella di Pacelli, si traduceva in un self-control naturale il cui risultato era appunto l’imperturbabilità esteriore, e cioè l’impassibilità; in un’indole invece più sentimentale ed effusiva, come quella di Roncalli, si traduceva in una serenità rivelatrice di quiete e persino di gioia interiore, donde addirittura gli sfoghi di buonumore di letizia, ecc.

E perché la chiaroveggenza e la sicurezza delle scelte, sia teoriche che pratiche, tipica di Pio XII, non si accorderebbe idealmente, fino ad identificarsi nel suo nucleo primordiale, con la sicurezza intuitiva di Giovanni XXIII?
Quello che per l’uno era deduzione irresistibile e cristallina per via di ragione, per l’altro era percezione per così dire intuitiva; comunque sia nell’uno che nell’altro caso ne derivava per i due pontefici un senso intimo di sicurezza, di solidità, di saper appoggiare le proprie vedute e le proprie decisioni sulla roccia e non sulla sabbia. Senso si sicurezza fondamentale, per capi come essi erano, che li assisteva nell’assunzione delle responsabilità di governo e che si trasmetteva anche nei loro sudditi i quali si aspettavano da loro una guida sicura, senza tentennamenti e senza pentimenti.

Anche il senso di autorità emanante da Pio XII non può essere messo in sostanziale contrasto con quello di Giovanni XXIII, al contrario. Se il primo naturalmente lo rivestiva delle note caratteristiche del proprio temperamento autocratico e assolutista, e il secondo invece di quelle proprie del suo temperamento democratico ed egualitario, esso era però sostanzialmente identico nella sua convinzione interiore, nella sua efficacia, nella sua influenza. Solo aveva un fascino e un’attrazione diversa, l’autorità del Pacelli essendo qualcosa che fondeva, per così dire, le qualifiche del suo altissimo ruolo con le doti della sua eccezionale personalità e quella del Roncalli presentandosi con l’incontro tra la virtù evocatrice del profeta e l’ansia scrutatrice delle moltitudini, il cui istinto vitale non fallisce se toccato da autentiche virtù taumaturgiche.

Infine la ieraticità di Pio XII non contraddiceva in nulla la semplicità del suo successore. Pacelli, infatti, al sentirsi papa univa uno sforzo di concentrazione e un’acquisizione di consapevolezza interiore che si traducevano in un’assunzione di atteggiamenti esteri conformi alle funzioni eccezionali del suo ruolo; il Roncalli, a sua volta, viveva il proprio ufficio per se stesso e non in funzione della propria persona, ciò che mentre eliminava le complicazioni di intrusioni personali, faceva emergere in tutta la sua purezza il significato e l’essenza della sua funzione di sommo pontefice…”

[CARLO FALCONI, Ritrattazioni, 1972]

venerdì, ottobre 24, 2008

Non è bene che un profeta muoia fuori da Gerusalemme /3

Isaac Herzog Ministro per gli Affari Sociali del Governo israeliano, che ha anche l’incarico dei rapporti con le comunità cristiane, in un'intervista rilasciata al quotidiano Haaretz ha bollato come «inaccettabile» l’intenzione della Santa Sede di procedere alla ratifica del decreto sulle virtù eroiche esercitate dal Servo di Dio Eugenio Pacelli: «Durante il periodo dell’Olocausto – ha detto Herzog – il Vaticano sapeva molto bene quello che stava accadendo in Europa». E «Non c’è ancora nessuna prova di alcun provvedimento preso dal Papa, come avrebbe dovuto suggerire la statura della Santa Sede. Il tentativo di canonizzarlo è uno sfruttamento dell’oblio e una mancanza di consapevolezza. Invece di agire in base al versetto biblico “Non coopererai alla morte del tuo prossimo”, il Papa è rimasto silenzioso e forse ha fatto anche di peggio».

Isaac Herzog è il figlio di Chaim Herzog che fu Presidente della Repubblica di Israele dal 1983 al 1993, nonchè omonimo nipote di Isaac HaLevi Herzog che fu Gran rabbino ashkenazita di Gerusalemme il quale, omonimo nonno, il 9 ottobre 1958, in morte di Papa Pacelli, ebbe a dichiarare:
«La morte di Pio XII è una grave perdita per tutto il mondo libero.
I cattolici non sono i soli a deplorarne il decesso».

DEVOTIO MODERNA [12]

Ovvero: Come avvenne che un bambino genovese battezzato nella confessione della Fede Cattolica, per inappellabile decreto della Suprema Corte di Cassazione della Repubblica Italiana, debba assumere il gloriosissimo nome di un Santo Pontefice Romano.


Quando il 3 settebre dell'anno di Nostra Salvezza bismillesimo sesto, nella "superba" Genova i neo genitori Roberto e Mara -gestori di un bar nella centralissima Piazza Caricamento- si recarono all'Anagrafe per registrare la nascita della propria creatura si sentirono opporre dell'addetto preposto il metto rifiuto di obbedire alla genitoriale volontà di imporre all'ignaro infante il nome "Venerdì".
E spiegando agli increduli genitori che "Venerdì" era nome improprio per un bambino, l'impiegato dell'Ufficio Anagrafe ha, quindi, seduta stante registrando il neonato con il nome del santo menzionato sul calendario in data 3 settembre, ovvero: del Santo pontefice Gregorio Magno.

Il Tribunale di Genova ha ratificato l'operato del Comune e motivato il diniego del nome "Venerdì" ai sensi dell’art. 34 del Dpr 396 del 2002 in base al quale «è vietato imporre al bambino nomi ridicoli e vergognosi». Il nome di Venerdì, diceva la motivazione della sentenza, «evocava il personaggio romanzesco creato dallo scrittore Daniel Defoe nell’opera "Robinson Crusoe", una figura umana caratterizzata dalla sudditanza e dall’inferiorità che non raggiungerebbe mai lo stato dell’uomo civilizzato». Di qui il diniego in previsione di un futuro «disagio per il bambino e il futuro adulto, facilmente esposto al senso del ridicolo, in ragione di quel richiamo al personaggio letterario».

Roberto e Mara non si sono dati per vinti appellandosi alla Cassazione, portando ad esempio dell'infondatezza della sentenza del Tribunale di Genova il caso concreto di nomi altrettanto "inappropriati" come "Chanel" (la figlia di Francesco Totti e Ilary Blasi) o Oceano (rampolla di Lavinia Borromeo e Jaki Elkann). Ma per la inappellabile sentenza 25452 del 23 ottobre 2008 la Suprema Corte di Cassazione ha decretato che «il ricorso non ha precisato quale sia stato il fatto controverso in relazione al quale assumono rilievo le censure relative alla motivazione della decisione impugnata». Cioè: la Cassazione ha praticamente confermato e ratificato la decisione del Tribunale di Genova per cui il primogenito dei signori Roberto e Mara, nato a Genova il 3 settembre 2006, in nome della democratica Repubblica Italiana dovrà essere chiamato "inappellabilmente" Gregorio.

Immaginabile la costernazione dei genitori che, ancora inceduli e trasecolati, hanno dichiarato ai giornalisti: «il bimbo a gennaio è stato battezzato in chiesa e nemmeno il sacerdote ha avuto nulla da ridire».

lunedì, ottobre 20, 2008

Logos spermatikòs /2

Ovvero, quando il Diavolo profetizza:
Ratzinger e i casalesi: abortiamo subito ogni "leggenda nera"
"Non pensiate che il Ratzinger abbia taciuto per strafottenza o per pavidità. Se a Pompei non ha detto neanche una parola sulla camorra, se non ha fatto neanche un lontano cenno a stragi di senegalesi e incendi di campi rom, è stato solo per evitare ritorsioni al suo gregge. Anche soltanto una parola sarebbe stata inutile e forse controproducente, chessò, i camorristi avrebbero preso di mira le cassette delle offerte, o avrebbero preteso dai preti il pizzo sulle messe cantate, o peggio.
Il Ratzinger ha scelto la prudenza. Con intima sofferenza, probabilmente.
Come Pacelli coi nazisti, insomma. Sputato, direi.
Vedrete che, quando si tratterà di farlo santo, non mancheranno prove in suo favore: nel cassetto aveva una enciclica contro i casalesi, mai pubblicata per ragioni di superiore opportunità."

sabato, ottobre 18, 2008

LA DIVINA PASTORA [9]


SIVE: VOS ET IPSAM BLOGOSFERAM BENEDICIMUS!

Qualcuno aveva velatamente lamentato che le uditrici, le teologhe e le bibliste presenti al dodicesimo Sinodo dei Vescovi (che se si chiama "dei vescovi" ci dovrà pur essere un motivo!) non avevano proferito verbo nell'aula in cui gli alti prelati interloquivano della Parola di Dio.
Poi martedì 14 ottobre, fra tutte le donne, ha parlato la signora Agnes Kam Leng Lam.
Cinese di Hong Kong docente universitaria, invitata al Sinodo "sulla Parola di Dio" in quanto Presidente dell'Associazione Cattolica Biblica di Hong Kong, la signora Agnes Lam: "ha lanciato la sua proposta per portare il Vangelo alla gente, in Cina e altrove, in quello che ha definito “un metodo semplice per un mondo complesso”.

La Chiesa, ha detto Agnes Lam, “dovrebbe rispondere al modello comportamentale della gente di oggi, compiendo degli aggiustamenti al suo modo di far conoscere la parola di Dio, così che la gente di oggi giunga a conoscere Gesù Cristo e a seguirlo, trovando in lui il destino della sua vita”. I suoi esempi di “metodo semplice” sono una piccola lista. “leggere la Bibbia è come mangiare – ha detto Agnes – una zuppa preparata in casa con tempo e amore è deliziosa, mentre il ‘fast food’ non ha nessun gusto”. E allora bisognerebbe insegnare alle persone a leggere la Bibbia, in quella che è detta “Lectio Divina”, cioè lettura, meditazione e applicazione pratica dei passi sacri.

E poi è necessario “invitare il Santo Padre ad aprire un blog, in molte lingue, per guidare come un pastore il mondo di oggi”.
Nel blog dovrebbero essere presenti ogni giorni brevi brani della Scrittura, “con una riflessione semplice, un testo breve e parecchi immagini”. In questo modo, creando anche un “kit di sopravvivenza” su una conoscenza di base della Bibbia, si potrebbe rispondere ad alcune esigenze della gente di oggi: velocità, interazione, varietà e un tocco di vita, “per stimolare un interesse stabile nella lettura della Bibbia per i laici”.
Papa Benedetto ascoltava con attenzione, e ha abbozzato un sorriso alla fine dell’intervento.
"(Marco Tosatti)

venerdì, ottobre 17, 2008

DEVOTIO MODERNA [11]

Ovvero, amplio stralcio dell' articolo -nell'edizione del 17 Ottobre 2008 dell'Osservatore Romano- nel quale la storiografa Barbara Frale avanza la suggestiva ipotesi:
"Sant'Ignazio di Antiochia. Un Papa in incognito?"


"Sulla fine d'estate dell'anno 107 dell'era cristiana giungeva a Roma da Brindisi uno strano convoglio. Aveva risalito la penisola italiana lungo la via Appia, ma il viaggio era cominciato alcune settimane prima molto più lontano, a Oriente, nella grande metropoli di Antiochia in Siria (oggi in Turchia). Dieci guardie scelte erano state mobilitate dall'imperatore Traiano per sorvegliare e impedire la fuga di un uomo solo, un vecchio vicino agli ottant'anni in un'epoca in cui la vecchiaia cominciava a sessanta. Il vecchio si chiamava Ignazio ma curiosamente usava presentarsi con un secondo nome, Teoforo (in greco "portatore di Dio"), che era piuttosto un soprannome.
[...]
In Antiochia il giovane Ignazio conobbe di persona san Pietro ed entrò nella sua cerchia; più tardi Pietro lo scelse come suo successore prima di lasciare la città.

Fino a questo punto la vicenda di Ignazio non è molto diversa da quella di altri personaggi che furono tra i seguaci di Gesù Nazareno della seconda generazione; ma il prosieguo della storia ha caratteri davvero unici.

In un anno che molti storici credono essere il 107, l'imperatore Traiano condanna a morte l'anziano vescovo con una delle forme di supplizio più crudeli: ad bestias, essere sbranato dalle belve nell'anfiteatro.
Dieci guardie hanno il compito di recarsi nella metropoli di Siria, arrestare il vecchio e trasferirlo addirittura fino a Roma, luogo prescelto per l'esecuzione pubblica: un viaggio di settimane che avrebbe praticamente attraversato il Mediterraneo.
Legato a questi soldati che egli chiama "leopardi", Ignazio parte da Antiochia e arriva a Smirne, dove riceve il vescovo Policarpo: qui scrive tre lettere pastorali dirette rispettivamente alle Chiese delle città di Efeso, di Magnesia sul Meandro e di Tralli, e le consegna personalmente nelle mani dei loro vescovi Onesimo, Dama e Polibio che sono venuti fino a Smirne con una delegazione dei fedeli locali per salutarlo e rendergli omaggio.
Poi scrive ai cristiani di Roma: alcuni membri di quella Chiesa, persone influenti che possono accedere alla cerchia dell'imperatore, vogliono cercare di salvargli la vita; però Ignazio li frena: non è il caso di esporsi a rischi gravissimi per evitare la morte di un uomo molto vecchio, destinato comunque a morire in breve; inoltre egli crede che il suo martirio stia giungendo in un momento molto propizio, e gli darà occasione di consolidare con il suo gesto la comunità dei cristiani che vive un momento di confusione.
Si definisce "frumento di Dio": infatti Dio lo sta usando per alimentare la fede di tutti gli altri.

Partiti da Smirne, Ignazio e i suoi guardiani arrivano a Troade: qui il vecchio scrive e spedisce altre tre lettere alla Chiesa di Filadelfia, a quella di Smirne che ha appena lasciato e un'altra a Policarpo, per comunicargli che lo ha eletto vescovo della sua Antiochia.
Da Troade Ignazio è condotto via mare fino a Neapolis, nella regione della Macedonia, poi a Filippi, e da qui il convoglio risale l'antica via Egnatia fino al porto di Durazzo (o di Apollonia). Laggiù si imbarcano fino a Brindisi, poi sbarcati in Puglia risalgono via terra fino a Roma.
Secondo la tradizione il supplizio avvenne il 17 ottobre.

Il contenuto della vicenda, che gli autori antichi non hanno mai messo in discussione, sotto il profilo storico è quanto mai eccezionale. Innanzitutto non si capisce come mai l'imperatore Traiano, sotto il regno del quale ci fu un'ondata violentissima di persecuzioni contro i cristiani, si dette la pena di inviare fino alla remota Antiochia di Siria un drappello di soldati al puro scopo di scortare fino a Roma questo vecchio, che poteva benissimo essere giustiziato laggiù.

La vicenda è un vero unicum nella storia del cristianesimo antico; infatti conserviamo un solo caso del genere: quello del fariseo convertito Saulo di Tarso, più noto con il soprannome di Paolo, che dalla Palestina fu tradotto fino a Roma per subire la pena capitale. San Paolo però ebbe questo singolare "privilegio" perché aveva la cittadinanza romana [...]. Si era appellato a Roma, ne aveva legalmente il diritto e fu trasferito nella capitale.
Il caso di Ignazio è completamente diverso: lui non possiede la cittadinanza romana, altrimenti avrebbe avuto diritto a subire la decapitazione, che era un supplizio più decoroso, rapido e molto meno atroce.
I motivi di questa singolarissima scelta vanno cercati altrove.

Anche il numero delle guardie che lo sorvegliano è veramente alto: dieci soldati sono davvero troppi per impedire la fuga a un povero vecchio. Il modo con cui li soprannomina, cioè "leopardi" potrebbe essere una spia interessante: infatti la pelle di leopardo era usata dai soldati dell'esercito romano che appartenevano a un'unità speciale: i signiferi, coloro che avevano il sommo onore di portare in guerra le insegne militari. Erano coperti sin dalla testa dalla pelle di un animale potente e feroce, che aveva un significato simbolico e dava loro un aspetto impressionante. I rappresentanti delle legioni usavano generalmente pelli di lupo e d'orso, mentre i grandi predatori felini come il leone e il leopardo erano prerogativa dei pretoriani, membri della temibile, potentissima guardia personale dell'imperatore.
Se davvero Traiano mandò laggiù anche solo uno di questi soldati (figuriamoci dieci!), allora decisamente Ignazio non era un uomo qualunque, bensì un sorvegliato speciale sotto il potere personale dell'imperatore: il che spiega bene l'eccezionalità assoluta del suo caso.
Forse questo strano viaggio verso il martirio possedeva un volto istituzionale che dobbiamo riscoprire completamente: infatti il contenuto delle lettere di Ignazio presenta degli aspetti che sembrano confermare questo sospetto.

Il vecchio riceve delegazioni delle Chiese locali che sono venute per onorarlo e avere istruzioni da lui. Nomina vescovi, scrive encicliche: nella lettera a Policarpo dice espressamente che aveva intenzione di scrivere a tutte le Chiese ma non ha fatto in tempo perché i soldati l'hanno costretto a imbarcarsi all'improvviso.
Ignazio ha preoccupazioni ecumeniche che trascendono i compiti e le responsabilità di un semplice vescovo locale. Si rivolge a una comunità di fedeli che chiama Chiesa cattolica, cioè "universale", ed è il primo a coniare questa denominazione. Esorta tutti a mantenersi uniti e obbedienti nella fede e soprattutto a tenersi lontani dall'eresia degli gnostici, i quali vanno diffondendo un'idea di Gesù diversa da quella di Pietro e dei vangeli.
Circa la figura di Gesù Cristo, Ignazio esprime una posizione netta su questioni teologiche fondamentali come la sua nascita a opera dello Spirito Santo e la sua divinità. Alcune espressioni che usa sono sorprendenti e anticipano di secoli gli sviluppi futuri della teologia: per esempio di Cristo dice "procedendo dal Padre", e con ciò intende che Gesù non fu creato bensì generato da Dio, un'idea che precede di due secoli il "generato, non creato" sancito nel Credo del concilio di Nicea dell'anno 325.

Infine afferma che la Chiesa di Roma ha un primato spirituale su tutte le altre, fatto decisamente molto strano visto che a quel tempo le Chiese di Gerusalemme, Alessandria e Antiochia (la sua Antiochia) possedevano una dignità pari alla sede romana. Insomma, quest'uomo si comporta proprio come se fosse un Papa (diremmo oggi). Anche le Chiese che lo vengono a omaggiare si aspettano da lui consiglio e direttive spirituali.
L'idea che Ignazio fosse ben più che un vescovo al pari di altri, che cioè avesse un ruolo guida nella Chiesa del tempo, spiegherebbe pienamente il suo stranissimo destino.
Se davvero quest'uomo fu per un certo tempo il capo dei cristiani, allora si capisce perché Traiano volle prendersi la briga di farlo viaggiare per metterlo a morte fino a Roma: la sua esecuzione doveva essere eclatante e spettacolare, doveva essere un monito per tutti. L'imperatore poteva raggiungere chiunque, e decapitare quella setta togliendone di mezzo il capo in qualunque angolo dell'impero si trovasse nascosto.

Il periodo in cui avvenne il supplizio di Ignazio è anche uno di quelli per cui sappiamo meno in assoluto sulla società cristiana e sulla successione apostolica.
Il primo catalogo dei vescovi di Roma sembra fosse scritto dallo storico Egesippo nell'anno 160, dunque decenni dopo i fatti narrati, e in ogni caso le prime attestazioni concrete che possediamo risalgono solo all'anno 354 (il cosiddetto Catalogo Liberiano) o addirittura al vi secolo (la lista dei Papi contenuta nel Liber Pontificalis).
Sappiamo che la successione apostolica avveniva nei primi tempi in maniera diretta, per scelta personale: Pietro nominò Lino come suo successore, e Lino pare nominasse Cleto (o secondo altri autori antichi un certo Anacleto). Poi venne Clemente Romano, il quale continuò la lotta di Pietro contro l'eresia gnostica scrivendo una famosa lettera alla Chiesa di Corinto: è lo stesso tipo di impegno nel quale si adopererà anche Ignazio di Antiochia, che dunque prosegue la tradizione pastorale di Pietro e di san Clemente.

Clemente morì nell'anno 97, esiliato in Oriente e, secondo la tradizione, gettato in mare con al collo una pesante ancora. Gli successe Evaristo, riguardo al quale sappiamo davvero poco: secondo lo storico Eusebio di Cesarea, vissuto sotto Costantino, il pontificato di questo Papa era avvenuto fra l'anno 99 e il 108 ed era durato otto o nove anni. La durata dei nove anni è confermata anche dal Liber Pontificalis, ma se questo periodo si aggiunge alla morte di Clemente (avvenuta nel 97) si arriva appena all'anno 106, ovvero un anno prima della morte di Ignazio.

Il livello di informazione che le fonti antiche presentano non ci permette di essere più precisi, però salta subito all'occhio che un pontificato molto breve (di un anno se non addirittura mesi) poteva sfuggire benissimo a chi molti decenni più tardi dovette raccogliere le tradizioni per compilare le prime liste dei Papi. E questo in special modo se per qualche motivo, dinanzi a una situazione del tutto anomala, il Papa in quei mesi non aveva abitato in Roma.

Di fatto non sappiamo nulla circa la fine di Evaristo, anche se è estremamente probabile che morisse martire dato il tenore dei tempi. La sua scomparsa nel nulla fa pensare che fu eliminato dalle autorità romane in maniera diversa da un'esecuzione ufficiale, di quelle che lasciavano una traccia forte nella memoria collettiva, come nel caso di altri vescovi o santi.

Se davvero Evaristo un giorno "sparì" dalla circolazione senza aver avuto il tempo di nominare un successore, la Chiesa di Roma si trovò in grave difficoltà perché la successione apostolica rischiava d'essere interrotta. Per evitarlo non c'era che un modo, cioè ricorrere a un uomo che fosse stato scelto da Pietro in persona: così la continuità si manteneva inalterata grazie (per così dire) a un ramo collaterale uscito dalla stessa radice.
Agli inizi del ii secolo l'anziano Ignazio, stando a quanto sappiamo, era l'ultimo vescovo ancora vivo ad aver ricevuto la consacrazione direttamente da Pietro; se così fu, la scelta era obbligata, e la città di Antiochia rappresentava un rifugio abbastanza sicuro trovandosi lontana da Roma.

Possiamo pensare a Ignazio di Antiochia come a un "Papa in incognito", una persona che guidò la comunità dei cristiani in maniera diversa dal solito in un frangente di particolare emergenza?

Quando si rivolge alla Chiesa di Roma, Ignazio non fa il nome di alcun vescovo, proprio come se in quel momento un Papa non ci fosse (oppure si trattasse di se stesso).
Anche il fatto di usare un nome in codice, cioè Teoforo, è qualcosa di unico e la dice lunga sul bisogno che aveva quest'uomo di proteggere la sua identità.
È difficile dire se Ignazio tenesse una specie di reggenza della Chiesa o avesse solo assunto la guida spirituale dei cristiani per ragioni di necessità; forse le due cose non si escludono, perché la Chiesa a quel tempo non aveva certo l'assetto istituzionale che assumerà poi. Lo studio più analitico delle fonti sta dando risposte interessanti e altre darà ancora.
Sta di fatto che nella tradizione cristiana la figura di Ignazio è stata sempre considerata in maniera speciale.

Nell'anno 861 san Cirillo trovò in un'isola della Grecia i resti di Papa Clemente; le ossa furono trasportate a Roma, e Papa Adriano II (867-872) volle che venissero sepolte vicino ai resti di sant'Ignazio di Antiochia. Forse perché i due famosi Padri della Chiesa erano stati anche "colleghi"?
Non lo sappiamo con certezza, però c'è una cosa su cui non abbiamo dubbi: al tempo di Papa Adriano II la Chiesa di Roma possedeva ancora tanti documenti antichi che oggi sono per noi irrimediabilmente perduti."
(©L'Osservatore Romano - 17 ottobre 2008)


[Unica pecca - come suol dirsi in quei lidi: "unicuque suum"!- della giovane storica dell'Archivio Segreto Vaticano sta nel confondere la data in cui "secondo la tradizione" è avvenuto il martirio del Santo antiocheno con la commemorazione liturgica fissata dal (nuovo) Calendario Romano al 17 ottobre che invece deriva dalla commemorazione liturgica della traslazione delle reliquie nella basilica romana di San Clemente.
"Secondo la tradizione" egli morì sbranato dalle fiere il 20 dicembre dell'anno 107:
"Sant'Ignazio, Vescovo di Antiochia e Martire, il quale subì gloriosamente il martirio il 20 Dicembre nella persecuzione di Traiano, fu condannato alle fiere, e spedito legato a Roma, dove alla presenza del Senato, prima fu afflitto con crudelissimi supplizi, poi fu gettato in pasto ai leoni, da cui denti sbranato, divenne ostia di Cristo..."
"Il 17 dicembre la Traslazione di sant'Ignazio, Vescovo e Martire, il quale fu il terzo che, dopo il beato Pietro Apostolo, governò la chiesa di Antiochia. Il suo corpo da Roma fu trasportato ad Antiochia, ed ivi riposto nel cimitero della chiesa, fuori della porta Dafnitica; in quella occasione san Giovanni Crisostomo fece un discorso al popolo. In seguito le sue reliquie furono di nuovo trasportate a Roma, e con somma venerazione riposte nella chiesa di san Clemente, insieme al corpo del medesimo beatissimo Papa e Martire."
Martirologio Romano,1956]

sabato, ottobre 11, 2008

Non è bene che un profeta muoia fuori da Gerusalemme /2

Sive: Vox clamantis in deserto

Il rabbino capo ashkenazita di Haifa Shear Yshuv Cohen, invitato al Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio al fine di dilettare l'eletto uditorio con una lectio magistralis intorno ai legami d'amore che vincolano ogni pio ebreo ai rotoli delle Sacre Scritture, ha ritenuto opportuno esternare ai Padri sinodali le sue lamentazioni sui pericoli derivanti dell'antisemitismo.
Nell'allocuzione tenuta nel pomeriggio del 6 ottobre 2008 all'assemblea di vescovi e cardinali provenienti da tutto l'Ecumene (che probabilmente il rabbino avrà giudicato erroneamente essere una sessione a camere riunite dei deputati e senatori dello Stato del Vaticano), il rabbino ashkenazita ha ricordato il dovere d'ogni civile consesso umano nel deprecare i costanti attacchi alla sopravvivenza dello Stato di Israele, solleticando in tal modo il senso di colpa nei cristianissimi uditori:
«Noi ebrei non possiamo dimenticare il triste e doloroso fatto di come molti, inclusi grandi capi religiosi, non levarono una voce nello sforzo di salvare i nostri fratelli, ma scelsero di rimanere in silenzio e di aiutarli in segreto».

Uscito poi dal sacro recinto sinodale il rabbino Cohen non ha avuto più remore -davanti ai microfoni dei giornalisti- a disvelare che l'oggetto "principe" della sua lamentazione in seno all'episcopato era la figura del "servo di Dio" papa Pio XII.

«Siamo contrari alla beatificazione Pio XII» ha dichiarato il rabbino capo di Haifa. Quanto di più opportuno da parte ebraica che solennizzare il cinquantenario della morte del Pastor Angelicus con le dichiarazioni di uno dei rabbini più importanti dello Stato d'Israele:
«Crediamo che non dovrebbe essere beatificato o preso come modello chi non ha levato la sua voce, anche se ha cercato segretamente di aiutarci; resta il fatto che non ha parlato, forse perché aveva paura o per altri motivi suoi, e questo noi non possiamo dimenticarlo».

Dobbiamo ritenere che anche il sedici volte Benedetto Ratzinger "non ha dimenticato" se, proprio due giorni dopo le esternazioni del rabbino Cohen, nell'omelia pronunziata nella Basilica Vaticana durante la messa in commemorazione dei cinquantesimo della morte del "servo di Dio" Eugenio Pacelli, tra le miriadi di attestazioni di gratitudine a Pio XII provenienti dal mondo ebraico ( sia da parte di singoli individui, sia da parte di associazioni ed istituzioni), Benedetto XVI ha scelta di citarne volutamente una sola, e cioè: quella che proprio cinquant'anni prima era stata la dichiarazione ufficiale dello Stato Ebraico in morte di Pio XII per tramite del «Ministro degli Esteri d’Israele Golda Meir, che così scrisse: "Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata a favore delle vittime", concludendo con commozione: "Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace".»

mercoledì, ottobre 08, 2008

dei Sepolcri,XX

Ovvero: ""Di una cosa possiamo essere certi, che il ricordo di questa pura e nobile vita, non toccata dalle cose di questo mondo, durerà e, che Roma lo canonizzi o no, egli sarà canonizzato nelle menti della gente pia delle varie confessioni d'Inghilterra...
Il santo in lui sopravviverà
"
(The Times; in Morte del cardinale Newman; Agosto 1890)


Scriveva Papa Giovanni XXIII nella sua prima enciclica "Ad Petri Cathedram" del 1959:
"Vi sono tuttavia non pochi punti sui quali la Chiesa cattolica lascia libertà di disputa ai teologi, in quanto si tratta di cose non del tutto certe e in quanto anche, come notava il celebre scrittore inglese cardinale John Henry Newman, tali dispute non rompono l’unità della Chiesa. Esse servono anzi a una più profonda e migliore intelligenza dei dogmi, poiché preparano e rendono più sicura la via a questa conoscenza. Infatti dal contrasto delle varie sentenze scaturisce sempre nuova luce.(J.H. Newman, Difficulties of Anglicans, vol. I, lect. X, p. 261s.)"
Se all'epoca poté destare l'attenzione del lettore la -non molto velata- manifestazione di disapprovazione per la campagna inquisitoriale contro la "Nouvelle theologie" condotta dal Sant'Uffizio durante gli anni '50, destò ancor più sorpresa che per la prima volta in assoluto nella storia delle encicliche il regnante pontefice citasse un autore che non era né un "venerato predecessore" né uno di quei pochi 29 Santi cui, fino ad allora, era stato conferito il titolo di "Dottore della Chiesa".

Già nel 1945, nel centenario della conversione, era stato Pio XII ad incoraggiare -e caldeggiare presso un ancora titubante episcopato inglese- l'apertura del processo di beatificazione del più illustre convertito anglicano: John Henry Newman.
Se poi veniamo a sapere dal filosofo francese Jean Guitton, che ne aveva lungamente raccolto le confidenze, che per Papa Paolo VI lo spirito di Newman ha aleggiato potentemente sulla formulazione dei documenti del Concilio Vaticano II, non dovrà sorprendere il costante interesse, il rimarcarne la "modernità", la "attualità" e la "profeticità" con cui il magistero ecclesiastico nel post concilio ha guardato al patrimonio intellettuale ereditato dal grande convertito e apologista ottocentesco.

Nel 1990, in occasione del centenario della morte, Giovanni Paolo II inviava una Lettera pontificia al vescovo di Birmingham (città in cui il Newman si stabilì dopo la conversione e dove morì) a dimostrazione dell'altissima benevolenza della Chiesa Romana per la memoria del devoto cardinale vittoriano. E proprio in concomitanza del centenario della "nascita al cielo" del cardinale "servo di Dio" , la Congregazione per le Cause dei Santi ne accertava l'esercizio delle "virtù eroiche" e pertanto lo proclamava "Venerabile". A quel punto bisognava solo attendere fervorosamente che la medesima Congregazione delle cause dei Santi accertasse un caso di guarigione miracolosa attribuita all'intercessione del "Venerabile" per poter procedere alla solenne cerimonia di Beatificazione.
Il 21 febbraio 2001 nell'omelia durante il suo ottavo Concistoro per la creazione di nuovi cardinali, Giovanni Paolo II tenne a ricordare che in quei giorni si commemorava il duecentesimo anniversario della nascita del cardinale Newman, quasi ad invocarne -assieme al santo cardinale Pier Damiani del quale in quel giorno si ricordava la memoria liturgica- la protezione sui novelli porporati. E inviava una nuova lettera commemorativa all'Arcivescovo di Birmingham:
"Preghiamo affinché questa guida certa ed eloquente nella nostra perplessità diventi anche nelle nostre necessità un intercessore potente al cospetto del trono della grazia. Preghiamo affinché la Chiesa proclami presto ufficialmente e pubblicamente la santità esemplare di uno dei campioni più versatili e illustri della spiritualità inglese".

Nell'ottobre 2005, ormai regnante Ratzinger, il padre Paul Chavasse, superiore dell'Oratorio di Birmingham, annunciò che era allo studio dell'Arcidiocesi di Boston il caso della guarigione istantanea di un diacono permanente del Massachusetts affetto da una malattia degenerativa spinale che si era affidato all'intercessione del venerabile Newman. Richiesto dalla stampa britannica un suo commento, il cardinale Murphy-O’Connor, arcivescovo di Westminster e Primate d'Inghilterra, rispondeva che se miracoli simili non si verificano nella patria di Newman è perché gli inglesi tendono a considerare Dio come un gentiluomo da non disturbare.

Conclusasi felicemente l'inchiesta diocesana, nell'agosto 2006 il cardinale di Boston Sean O’Malley annunziava che l'incartamento era stato trasmesso al competente dicastero vaticano.
Il 24 aprile 2008 la Congregazione dell'Oratorio di Birmingham annunciava ufficialmente che la consulta medica della Congregazione delle cause dei Santi aveva dato parere favorevole intorno alla guarigione fisica del presunto miracolato.
La beatificazione era ragionevolmente assai vicina, mancando soltanto il "voto" della commissione dei teologi e quello della consulta dei cardinali (sia gli uni sia gli altri a priori assai simpatizzanti per il Nostro "Venerabile").
Il primo di Ottobre 2008 Peter Jennings, portavoce ufficiale dei padri oratoriani di Birminghan con un comunicato stampa (previo "permesso del Postulatore Romano della Causa di Newman, Dott. Andrea Ambrosi"!) annunciava "che la commissione teologica della Congregazione per le Cause dei Santi, si è riunita a Roma nel tardo pomeriggio di ieri, Martedì 30 Settembre 2008, per considerare la natura miracolosa dell'inspiegabile guarigione del Diacono Jack Sullivan".
Aggiungeva il capo ufficio stampa degli Oratoriani, ostentando prudenza, che "I teologi, che hanno ricevuto la voluminosa documentazione otto settimane fa, hanno chiesto più tempo per studiare questa Causa di così alto profilo" ma, pur tentando di dissimulare l'orgasmatica attesa della beatificazione del loro eminentissimo confratello, i buoni figli di san Filippo Neri sanno fin troppo bene che solitamente è prima di Natale (oltre che a luglio) che il Sommo Pontefice promulga i decreti di beatificazione e canonizzazione! Pertanto, la comunità religiosa -fondata dallo Newman stesso a Birmingam nel lontano 1848- non è rimasta con le mani in mano (e nemmeno con le mani giunte) in attesa dei "decreti romani" ma ha parallelamente, e conseguentemente (e febbrilmente!) decretato di tributare pubblici atti di onori e venerazione per le spoglie del loro candidato agli altari, in ossequio alle consuetudini "romane".

Nel medesimo comunicato stampa del primo ottobre 2008 erano descritte le cerimonie di cui la salma del santo Cardinale sarebbe stata fatta segno: "Oggi ho l'onore di annunciare che in preparazione della Beatificazione del Cardinal Newman i suoi resti verranno esposti alla venerazione nella "Upper Cloister Hall" del "Birmingham Oratory", Edgbaston, il 31 ottobre e il 1 novembre.
Domenica 2 novembre alle ore 11 a.m. verrà celebrata una speciale Messa per la tumulazione... al principio della Messa il feretro contenente le spoglie del cardinal Newman verrà posto su di un catafalco davanti al presbiterio.
Alla fine della Messa il feretro contenente le spoglie del cardinal Newman sarà portato processionalmente al sarcofago di marmo italiano verde posto tra due colonne di fronte all'altare delle Anime Sante..."


Se, infatti, ogni cattolico che si commuove davanti al "corpo incorrotto" del "Papa Buono" e che si mette in fila per guardare la "bella cera" del volto di Padre Pio ( poichè vivendo in quei Paesi in cui trionfò la Controriforma s'è abituato a vedere ossa di martiri e mummie di beati quasi sotto ognuno degli altare delle proprie chiese barocche) trova "naturale" l'ostensione delle reliquie dei santi, non altrettanto normale sarà giudicata in un paese di tradizione protestante.
In Inghilterra (seppur nazione seppur profondamente secolarizzata) religiosamente, politicamente e -soprattutto!- psicologicamente l'Atto di Supremazia di Enrico VIII conserva un immenso potere (così come magistralmente denunciato dallo stesso John Henry Newman), ed ecco: l'opinione pubblica messa di fronte al culto dei santi e delle reliquie non può far a meno di rispolverare gli atavici pregiudizi antipapisti ed inorridire per tanta mancanza di "buon gusto" dei cattolici romani, nonché scandalizzata per perpetuarsi ancora nel XXI secolo di tali "abusi medievali".
Prova ne sia che, persino ormai nel XXI secolo, la stessa giurisprudenza inglese è di ostacolo alla pratica cattolica che impone la venerazione dei corpi dei santi: il primo atto dello scismatico Enrico non fu forse quella di vietare il culto di Thomas Becket e di ordinare di disperderne le ceneri poiché -giustamente- nel santo arcivescovo di Canterbury vedeva il simbolo della pretesa di indipendenza della Chiesa dal potere del monarca?
Nella cattedrale di Canterbury gli anglicani possono venerarne lo spazio vuoto lasciato dal suo mausoleo. Ed i cattolici, di San Thomas More, la più illustre vittima della riforma di Re Enrico, possono venerare la tomba nella cornice museale dell'angusta cripta della cappella anglicana della Torre di Londra.
A causa delle plurisecolare forma mentis puritana, non soltanto è difficile per gli inglesi comprendere le ragioni del desiderio che i resti mortali di un santo vengano seppelliti dentro le chiese, ma persino la stessa legislazione britannica trova difficoltà a giustificare il trasferimento un feretro dal cimitero all'interno di una chiesa!
La desiderata richiesta dei Padri dell'Oratorio di Birmingham -fattisi spalleggiare dal Vaticano stesso!- è stata presentata ufficialmente al britannico Ministero della Giustizia nel mese di Aprile 2008 prospettando la problematica della imminente elevazione agli altari di un suddito Sua Sua Maestà britannica; ovvio che da Londra al principio non poteva che arrivare l'imbarazzata risposta temporeggiatrice sulla necessità del Ministero di ricercare un approfondito parere legale. Nel frattempo gli Oratoriani -i quali nell'ambito del cattolicesimo inglese sono noti per la loro spiccata sensibilità alle forme "tradizionali" del culto e del cerimoniale cattolico- innalzavano un sarcofago di granito italiano di fronte all'altare laterale dedicato alle Anime sante del Purgatorio, e stilavano il cerimoniale per il trionfale trasporto del feretro per la solenne esposizione delle reliquie.

L'11 Agosto 2008, cento diciottesimo anniversario della morte del Venerabile Cardinale, il Ministero della Giustizia di Londra, giustificandosi di fronte all'opinione pubblica col dire che la decisione riguarda un caso particolarissimo e singolarissimo, ha autorizzato la riesumazione e la traslazione del corpo di Newman dal cimitero di Rednal, nei dintorni di Birmingham, nella grande chiesa neobarocca del Birmingham Oratory. Così avvenne che gli Oratoriani di Birmingham annunziando urbi et orbi il loro magno gaudio, gettavano nello sconcerto l'Inghilterra tutta!


La nobile figura del Cardinale Newman è popolarissima in tutto il mondo anglofono, anche fuori dall'ovile dei fedeli di Santa Romana Chiesa, per i quali egli è particolare vanto. Lo stesso variegato mondo protestante, infatti, ha da sempre apprezzato la purissima spiritualità "evangelica" dei suoi Sermoni: capolavori di sacra oratoria ma soprattutto uno dei supremi esempli di "bello scrivere" della storia della letteratura inglese.
Se, pertanto, a qualsivoglia latitudine del mondo anglosassone non è affatto ignota la fama di santità del cardinal Newman, al contempo non era un mistero per nessuno che "Roma" voleva farlo santo. E poiché sta scritto che: "i figli delle tenebre sono più scaltri dei figli della luce", da molto tempo era stata preparata una campagna scandalistica che, coinvolgendo la memoria del piissimo e castissimo cardinale, mettesse non solo in grave imbarazzo la Chiesa cattolica ma la ponesse di fronte all'opinione pubblica anglosassone sotto una luce sinistra, degna del peggior romanzo gotico ottocentesco (tanto deprecato dal Newman stesso).

Si erano già studiate le possibili mosse con cui il nemico "romano" avrebbe argomentato sia la difesa del cardinal Newman sia la difesa della condotta della gerarchia stessa nei confronti della tomba del cardinale; tutto era stato calcolato al fine di preventivamente rendere più subdole ed insinuanti le accuse alla gerarchia cattolica.
Si attendeva, con biblica pazienza, solo che arrivasse il giorno "beato" in cui (con la esplicita connivenza del Vaticano) i preti cattolici di Birmingham, manifestando il più totale disprezzo per la libera decisione del cardinal Newman, avrebbero preteso di strappare violentemente la salma del celebre convertito dalla zolla di terra che -per esplicita e reiterata volontà testamentaria- condivideva nel Camposanto di Rednal con il confratello Ambrose StJohn.
Già in un articolo dell'agosto 2001 per la rivista cattolica "The Tablet" lo studioso Alan Bray scriveva: "gli eredi della fede di Newman non dovrebbero separarli ora. Il gesto di Newman è un ultimo imperativo comando: non si tratta solo delle sue ultime volontà di uomo, ma anche di qualcosa di più. Si tratta del suo ultimo insegnamento".

Le pruriginose insinuazioni diffuse ad arte non potevano trovare miglior involontario avvocato difensore che il Codice di Diritto Canonico poichè, anche se egli non avesse espresso alcuna opinione a riguardo della propria sepoltura, l'estumazione del Cardinal Newman, fatta a norma dei "sacri canoni", nella mente degli inglesi sarebbe comunque stata giudicata istintivamente nè più nè meno che alla stregua della "volgare" profanazione della più comune delle tombe.
Così insidiosamente striscia subdolamente il teorema calunnioso: come osa il Diritto Canonico arrogarsi il diritto di piegare al proprio arbitrio la legislazione inglese? Se infatti il Diritto Canonico può arrogarsi una qualche giurisdizione sui cattolici inglesi, questa autorità non può che essere meramente spirituale poichè per quanto riguarda la sfera temporale essi sono assoggettati alle leggi dello Stato britannico.
Ne consegue, pertanto, che i preti di Birmingham, chiedendo il rispetto delle norme "canoniche" previste dalla Santa Sede nei processi di beatificazioni, è come se avessero chiesto al Ministero della Giustizia di ratificare il diritto del Papa di Roma di esercitare un potere "temporale" sul suolo del Regno Unito! Poichè nulla può essere considerato meno spirituale e più "materiale" che armarsi di badile e scoperchiare i poveri resti di una cassa da morto, impossessarsi di umide ossa pretendendo poi di esserne considerato quale legittimo "proprietario"!

Non si è posto tempo in mezzo, da parte degli autoploclamatisi difensori dell'eterno riposo del Cardinal Newman, nel ventilare l'opportunità di citare in giudizio lo stesso Ministero di Giustizia per aver concesso illecitamente l'estumazione della salma di Newman: "illecitamente" poichè non in ossequio alla tradizione della legislazione inglese ma bensì in ossequio alla legislazione del Vaticano. Tanto più che il Ministero della Giustizia ha agito in manifesta violazione delle stesse e reiterate volontà testamentarie del defunto!
Dove è mai finito il sacro rispetto che la legge inglese tributa alla libertà sovrana dell'individuo? Che cosa è mai questo che accade nella patria di Stuart Mill?
Se il Vaticano ha la forza di imporre la propria arroganza quando in Inghilterra regna la "papessa" Elisabetta II devotissima alla Chiesa Anglicana e mentre governa un Primo Ministro calvinista, come sarà possibile arginare la tirannide vaticana il giorno in cui il Primo Ministro di Sua Maestà britannica fosse un cattolico o quando - se fosse abolito l'Act of Settlement del 1701- lo stesso monarca inglese fosse di confessione cattolica?

La patetica pantomima mediatica in difesa della libertà del cardinale di poter giacere nella tomba con chi più gli aggradasse, è risultata perciò per i cattolici inglesi assai più imbarazzante di quello che si può superficialmente immaginare proprio a causa del possibile riemergere nell'opinione pubblica d'una seppur sopita, ma pur sempre latente, atavica pregiudiziale antipapista. Di quì l'affrettarsi della giornalista Elena Curti nel firmare un editoriale sulla rivista cattolica "The Tablet" in cui dichiarava britannicamente tutto il sincero dispiacere al pensiero "che l’ultimo desiderio del cardinale possa non essere osservato...
E’ chiaramente documentato che egli volle essere sepolto con il suo caro amico ed è pietoso che le sue ultime volontà non siano rispettate...
"Piuttosto avrei pensato di riesumare anche Ambrose StJohn e a metterlo con Newman”
(SIC!).
L'editorialista del giornale cattolico "Tablet" ha perciò creduto opportuno avanzare una soluzione pilatesca in ossequio al tipico "buon senso" degli inglesi ma rinunciando all'esercizio buon senso tout court poichè se l'unica e sola ragione dell'esumazione della salma di Newman è la felice conclusione del processo di beatificazione (e l'imminente elevazione agli altari), come potrebbe al contempo la Chiesa procedere all'esumazione di Ambrose StJohn per il quale non è stato aperto alcun processo di beatificazione?
Come non rendersi conto che se le autorità ecclesiastiche trasferissero entrambe le salme dalla tomba di Rednal al verde sarcofago di Birminghan non farebbero altro che "canonizzare" la trista maldicenza?
La strategia difensiva non ha, pertanto, puntato sull’adesione compatta del “fronte cattolico” in difesa delle tradizioni romane, al contrario ha puntando tutto sull’autodifesa dell’autoctono cattolicesimo anglosassone dall’accusa di connivenza con siffatte macabre tradizioni dei cattolici continentali.

L’immancabile sondaggio tra i fedeli anglicani (poiché la Chiesa Anglicana considera Newman nonostante tutto anche come una propria gloria) non poteva che essere una plebiscitaria richiesta affinché si lasciasse riposare in pace l’antico cardinale.
Non era stato lo stesso Newman a sostenere brillantemente la tesi che il fedele cattolico, anche di fronte all’infallibilità papale, mantiene tutta intera la propria libertà di decisione secondo coscienza? Non era dottrina professata dal futuro beato che nei casi in cui la parola del Papa è in contrasto con la coscienza bisogna seguire la voce della propria coscienza e non quella del Papa? Che, cioè la sovranità della coscienza e superiore alla sovranità papale?
Ed allora, come è possibile non solo giustificare, ma persino approvare un simile atto da parte del Vaticano?
Faticoso puntualizzare che lo stesso Newman ,se gli fosse stato richiesto dalla Santa Sede, avrebbe rinunciato ad essere seppellito accanto ad Ambrose StJohn senza troppe lacerazioni della propria coscienza poiché per il santo cardinale “la coscienza” era lo strumento con cui la voce di Dio detta la propria volontà alla creatura umana , non la comunemente intesa facoltà dell’individuo di fare quello che più gli pare e piace!

Seguitiamo a scandagliare l’occulto teorema: quindi, se il Papa da ordine di spostare la sepoltura di Newman in violento contrasto con l’esplicita autodeterminazione di Newman stesso, venendo meno platealmente al più sacro dei doveri che è il rispetto della libertà altrui, ciò non può essere affatto giustificato come atto di ordinaria amministrazione, come volevano invece far credere i preti di Birmingham, altrimenti ciò sarebbe la conferma che il Cattolicesimo altro non è che il regno dell’arbitrio dispotico e della tirannide assolutistica.
No, il popolo inglese è un popolo di gentiluomini che non può certo accusare di tale nefandezza uomini che mostrano così tanta signorilità nell’indossare le vesti prelatizie!
Vorrà dire perciò che il Vaticano, decretando un’operazione in contrasto col comune britannico senso del buon gusto, doveva avere davvero delle secrete e quanto mai inconfessabili motivazioni occulte: inquadrata in una simile pregiudiziale e ben rifinita cornice l’esumazione non poteva che apparire inquietante, menre la difesa dell’onore del santo John Henry si è tramutata in un’impresa disperata; indifendibile la Santa Romana Chiesa.

Lo stesso Arcivescovo di Birmingham ha dovuto ammettere che “sono tanti quelli che si oppongono all’esumazione” (tanti quindi anche i fedeli cattolici!) ma al contempo assicurava che “l’esumazione ci sarà” dato che gli Oratoriani di Birmingham non avrebbero risparmiato al loro santo nessuno di quegli onori che è tradizione tributare ai santi da parte della Chiesa cattolica; le pretestuose polemiche si sarebbero sopite quando, di fronte alla possibilità più unica che rara di poter venerare le ossa di un così peculiare astro della storia e della cultura inglese, la popolazione inglese deponendo i puritani pregiudizi si sarebbe sentimentalmente lasciata avvincere dal fascino di un così venerabile rituale della Chiesa Romana.


L’esumazione è stata effettuata nella massima discrezione il giovedì 2 ottobre 2008, giorno che fu sempre tanto caro al santo cardinale per essere la festa liturgica degli Angeli Custodi.
Nota, infatti, la predilezione di John Henry Newman per gli Angeli, anche da anglicano. Sin da dai suoi quindici anni, in quella che Newman definì la sua prima conversione, quando si impresse profondamente nella sua mente la certezza dell’esistenza di Dio, conseguentemente ne dedusse che il senso e significato della realtà visibile è dato dalla realtà invisibile; che dovesse esserci una mistica analogia tra la gerarchia dei poteri naturali e le potenze sovrannaturali. Né conseguì la fede nella dottrina dell’esistenza degli spiriti angeli: intelligenze puramente spirituali che si prendono cura del mondo visibile. Scriveva in un suo sermone anglicano del 1831: “Ogni alito d’aria, ogni raggio di luce e di colore, ogni bel panorama è, se così posso dire, l’orlo della loro veste e l’ondeggiare del manto di coloro i cui volti contemplano Dio”.
La creatura umana, composta di spirito e di materia è un fratello minore dell’angelo che però ha ricevuto la missione di essere "il Vicerè" di Dio “nel mondo della materia e dei sensi, alla frontiera contro il nemico” (come poeticamente detto da Newman nel "Sogno di Geronzio").

Per Newman la vita reale è la vita dell’anima peregrinante nel regno del visibile le cui immagini ed simboli disseminati lungo il sentiero indicano la via da percorrere: “ex umbris et imaginibus in veritatem” chiederà per testamento che venga scritto sulla propria lapide commemorativa della sua chiesa di Birmingham.
Ogni essere umano in quanto essere spirituale, dunque, deve sforzarsi (andando oltre le apparenze o le repulsioni sensibili) di vivere in compagnia degli angeli e dei santi e, come questi e quelli, trovarsi sempre alla presenza della Maestà Divina:
“Chi può affermare che tutti noi, o almeno quelli di noi che vivono nella fede in Cristo, non abbiamo per tutto il tempo che viviamo sulla terra una misteriosa anche se inconsapevole, vita alla presenza di Dio, vedendo ciò che non sappiamo di vedere, trasformati nella sua impronta, ma incapaci di applicarvi la nostra riflessione? E tutto questo senza avere di conseguenza uno sdoppiamento del nostro io; senza anche la realtà del nostro soggiorno terrestre e della nostra prova ne siano sminuite, ma anzi ne siano accresciute?
Non ci sono stati forse uomini prima d’ora, come Eliseo, quando il suo spirito seguì il suo servo Giezi, oppure come san Pietro quando annunciò l’arrivo degli uomini che avevano seppellito Saffira, ovvero come san Paolo quando la sua presenza in spirito lo precedette a Corinto…”?
E in un altro sermone:
“E perché dovrebbe essere incredibile che lo Spirito possa visitare l’anima e produrre in essa una manifestazione divina che tuttavia essa non percepisce dato che le sue percezioni attuali si hanno soltanto per mezzo del corpo? Chi può limitare il potere dello Spirito di Dio… Come la Terra gira attorno al sole eppure diciamo che il sole si muove, le nostre anime, di fatto, vengono portate a Cristo anche se noi diciamo che è lui che viene da noi…. San Paolo fu rapito in paradiso eppure il suo corpo rimase dov’era e se l’anima ne venne separata era una questione che egli non seppe risolvere ”.

Ne consegue che il “Santo”,secondo la riflessione di Newman : “la maggioranza delle persone non lo conoscono, e perfino in san Paolo o in san Giovanni vedrebbero un uomo comune.
E tuttavia uno di costoro parlerà in maniera efficace anche alle masse. In momenti di difficoltà o di pericolo eccezionali, quando lo spirito umano viene meno di paura, egli eserciterà un potere naturale sul mondo e ci parrà che parli non come singolo individuo, ma se come in lui fosse concentrata tutta la virtù e la grazia di quei santi che sono stati i suoi compagni per tutta la sua vita. E’ vissuto con coloro che sono morti, e al mondo apparirà come uno che venga di tra i morti, che parli a nome dei morti, che usi il linguaggio delle anime dei morti per parlare delle cose visibili, che riveli i misteri del mondo celeste
”.

Sembra quasi di vederli gli Angeli volteggiare sopra il Cimitero di Rendal il 2 d'Ottobre 2008, nel giorno della loro festa, e scendere a passeggiare tra quei “ figli degli uomini” intenti a scavare nella sepoltura del santo cardinale, sussurrando al loro cuore: perché cercate tra i morti colui che vive?


Sabato 4 ottobre 2008, Peter Jennings, capo ufficio stampa della Congregazione dell’Oratorio di Birmingham dava il resoconto ufficiale dell’esumazione di due giorni prima: assolutamente niente è stato ritrovato dei resti mortali del Cardinale John Henry Newman. Sono stati rinvenuti solo alcuni frammenti ormai fradici del legno della cassa, e parte delle sagoma metallica rappresentante lo stemma cardinalizio che si trovava affisso sul coperchio della cassa mortuaria assieme ad una targhetta su cui è la ormai logora incisione del nome dell’illustre defunto: "Eminent[issimus] et Reverend[issimus] Joannes Henricus Newman Cardinalis Diaconus S Georgii in Velabro Obiit Die XI August. MDCCCXC RIP".

Se per il personale medico e tecnico presente all’estumazione il totale dissolvimento del corpo di un defunto posto in un terreno molto umido e in una semplice bara di legno di quercia non è stata affatto una sorpresa (anzi era l’ipotesi prevedibile), invece davvero grande dev'esser stata la costernazione dei confratelli nel Cardinale per non aver ritrovato nessuna reliquia del loro santo!

E mentre gli attivisti contrari alla separazione delle ossa di Newman da quelle del confratello StJohn, elevavano i loro osanna, farneticando sul fatto che ora Newman era da considerarsi ancora più santo per aver fatto un simile scherzo “da prete” al Vaticano, invece i savi di mente andavano considerando che la Divina Provvidenza avava -nei suoi insondabili giudizi- così disposto per far emergere nella sua più pura luce il peculiare carisma di santità del Cardinal Newman.
Ad un bambino che, vedendolo nelle solenni vesti purpuree, gli esternò il dubbio se fossero più importanti i santi o i cardinali, John Henry Newmana aveva risposto: "I cardinali sono della terra, solo i santi sono del cielo".


Un nuovo comunicato stampa di venerdì 10 Ottobre rettificava lo svolgimento dei riti di venerazione del “Venerabile”: Alcune ciocche di capelli del santo vegliardo (custodite religiosamente dai Figli di San Filippo Neri sin dalla morte del cardinale) sarebbero state poste in una teca di vetro assieme alle reliquie “secondarie” ritrovate nella tomba (dopo essere state sottoposte a restauro consevativo a cura dello “York Archeological Trust”) ed esposte per due giorni alla venerazione dei fedeli –dalle ore nove alle ore venti- com’era già stato precedentemente previsto. Invece durante la messa solenne di domenica 2 Novembre 2008 la teca di vetro verrà posta nella cappella, a destra del presbiterio, dedicata ad un altro santo cardinale: Carlo Borromeo grande amico di San Filippo Neri. La teca rimarrà così esposta alla venerazione per tutto il tempo che ancora bisognerà attendere per la Beatificazione (cioè: finchè non si trovi una opportuna collocazione per le "insperate" reliquie).

“Dalla meticolosa esumazione della tomba del Cardinal Newman a Rendal il giovedì 2 Ottobre 2008 non è stato rintracciato nessun resto umano. I Padri del “Birmingham Oratory” hanno quindi deciso che il sarcofago di marmo verde fatto per ricevere il corpo del Cardinale Newman non verrà posto nella chiesa come originariamente programmato.”
Così accontentati tutti coloro che, a vario titolo, in Inghilterra non avevano apprezzato la decisione di esumare Newman (poiché dato che i resti umani non sono stati ritrovati e quindi non sono stati esumati, pertanto l’esumazione non c’è stata) la mente degli inglesi potrà senza turbamento accostarsi alle più autentiche reliquie del santo: le sue illuminanti trattazioni, i suoi spirituali concetti, la sua mistiche meditazioni che -non è da escluderlo!-, un giorno potrebbero ottenergli da parte della Cattedra di San Pietro un titolo di devozione ancora ulteriore a quello derivante dalla canonizzazione.

Si può immaginare che, pur con tutto l'umano dispiacere e adorarando i decreti della Divina Maestà, il padre Chavasse, Prevosto della comunità oratoriana di Birmingham, ha dovuto ammettere che la dissoluzione del corpo del "venerabile" è stato un evento “provvidenziale” mettendo fine al pretesto di un’insulso clamore mediatico intorno a quella -divenuta polemicamente celeberrima- croce di pietra del vecchi cimitero di Birmingam, anche gli stesi confratelli del santo cardinale, privati per sempre del suo corpo, dovranno sempre più, e sempre meglio, venerare lo “spirito” di John Henry Newman:
“Il Signore anche quando fu innalzato sulla croce offrì l’esempio di un’anima protesa verso il cielo e nascosta in Dio, mentre ai suoi piedi stava il mondo tumultuante. La folla incredula si accalcava intorno ala croce, quelli che passavano lo insultavano e gli scribi lo schernivano. Tuttavia egli anche nella sua agonia, era immerso nella divina contemplazione. […] E mentre egli era nascosto in Dio, così pure, in quel momento terribile, al suo fianco c’era qualcuno che fissando lui era anch’egli nascosto in Dio. Il buon Ladrone disse: “Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo regno”. E Gesù gli rispose : “In verità ti dico, oggi sarai con me in Paradiso”.
[…]
Il Figlio dell’uomo, però, mentre era in terra con il suo agire esteriore, in spirito era in cielo.
Seguitelo nel deserto… quando dopo la tentazione del diavolo vennero gli angeli e lo servivano; o salite con lui sul monte a pregare, dove… fu trasfigurato e parlò con Mosè e con Elia; e voi vedrete veramente dove era realmente e con chi mentre dimorava su questa terra: con i santi e con gli angeli, con il Padre che lo proclamò suo Figlio prediletto, e con lo Spirito Santo che discende su di lui. Egli fu il Figlio dell’uomo che sta in cielo e che mangiò un cibo che gli altri non conoscevano.
Così diverremo noi, nell’apparenza e nelle realtà, se saremo suoi.
Veramente la nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo; ma quanto al mondo, non saremo tenuti in grande considerazione: il mondo non ci conosce perché non ha conosciuto lui. Ancora di più, saremo messi in ridicolo a causa della nostra religione, saremo disprezzati o anche puniti; se hanno chiamato Belzebul il padrone di casa quanto più i suoi familiari!
Tale è la condizione di coloro che risorgono con Cristo.
Egli risuscitò nella notte, quando nessuno lo vide e così pure noi risusciteremo. Ma non sappiamo né come né quando.

Nessuno conosce alcunché della nostra storia religiosa, del nostro andare a Dio, del nostro crescere in grazia, dei nostri successi, ma solo Dio che le produce segretamente…
Aspirate perciò a essere concittadini dei santi e familiari di Dio (…), e risorgerete con Cristo.
Guardate: egli vi offre la mano; egli risorge, risorgete con lui!
Uscite dalla tomba del vecchio Adamo, dalle preoccupazioni che appesantiscono, dalle gelosie, dall’irritabilità e dagli ideali mondani, dalla schiavitù delle abitudini, dal tumulto delle passioni, dal fascino della carne, dallo spirito freddo, mondano, calcolatore; dalla frivolezza, dall’egoismo, dall’effeminatezza, dall’ambizione e dall’orgoglio. Impegnatevi d’ora innanzi a fare quello che è così difficile compiere, ma che non deve essere tralasciato; vegliate, pregate e meditate secondo le possibilità concesse a voi da Dio…
...mostrate che il vostro cuore i vostri desideri, la vostra vita sono con Dio… affinché realizziate in buona misura l’esortazione di san Paolo: ‘Cercate le cose di lassù ’ e manifestiate che voi siete suoi, perché il vostro cuore e risorto con Cristo e la vostra vita è nascosta in lui.”


martedì, ottobre 07, 2008

Economia della Salvezza /2

"OLTRE I SOLDI. Così in 15 minuti Benedetto XVI ha riassunto alcuni dei passi centrali del suo pontificato"
Ovvero: Articolo sul Foglio di martedì 7 ottobre 2008, in cui si espone un'anonima riflessione intorno alla Meditazione spirituale che il Santo Padre Benedetto XVI ha tenuto in apertura dei lavori della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dopo la lectio brevis durante la preghiera dell’Ora Terza, lunedì 6 ottobre 2008 :


E' vero. il Papa ha parlato del "crollo delle grandi banche", ha detto: "Questi soldi scompaiono, sono niente", ha ricordato che "chi costruisce la sua vita su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia".
Fin qui però non ci sarebbe nulla di eccezionale. Chi frequenta le chiese è abituato a sentire prediche sulla vacuità delle ricchezze. Di solito funziona così: "Viviamo nella società dell'apparenza, siamo schiavi del successo", quindi "etica, morale" e un larvato invito a vivere un po' in disparte, come dire che è bene per l'uomo sottrarsi alla realtà.
Davanti ai vescovi radunati in Vaticano per il Sinodo, il Papa non ha seguito questa logica.

Ha parlato di "successo, carriera e soldi" per dire cosa?
Che "la Parola di Dio è il fondamento di tutto, è la vera realtà".

Commentando il Salmo 118 con il suo modo semplice e piano parlando a braccio, stupendo un po' tutti, Benedetto XVI ha disegnato un discorso di quindici minuti in cui sono riecheggiate Ratisbona, le sue encicliche, il discorso al Colleges des Bernardins, il libro su Gesù.
Chiudono le banche, si sgretolano le certezze più solide e lui ammonisce: "Dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo. Realista è chi riconosce nella Parola di Dio... chi costruisce la sua vita su questo fondamento che rimane in permanenza".
E' l'opposto di un invito a fuggire la realtà. E' l'invito a capovolgere l'assioma cardine dell'Illuminismo e tornare a vivere veluti si Deus daretur. Perché "tutta la creazione è pensata per creare il luogo dell'incontro tra Dio e la sua creatura". E' la storia di questo rapporto che muove il mondo -dice il Papa- e in questo lega in un istante la storia del popolo ebraico e il cristianesimo: "Nel periodo ellenistico, il giudaismo ha sviluppato l'idea che la Torah avrebbe preceduto la creazione del mondo materiale. Questo mondo materiale sarebbe stato creato solo per dare luogo alla Torah, a questa Parola di Dio che crea la risposta e diventa storia d'amore".
Ma nel suo discorso Benedetto XVI è andato oltre. Ha affermato che è la ricerca di Dio a dare sicurezza alla vita dell'uomo.

Accennando a un tema che ha anche causato aspri dibattiti nella Chiesa, ha ricordato ai vescovi che "noi siamo sempre alla ricerca della Parola di Dio" e che per questo la lettura della Scrittura non è il semplice studio di un testo letterario, ma "È il movimento della mia esistenza. È muoversi verso la Parola di Dio".
Sono ritornate così alla mente le parole del suo Gesù di Nazaret dove dove scriveva che "oggi la Bibbia viene assoggettata da molti al criterio alla cosiddetta visione moderna del mondo, il cui dogma fondamentale è che Dio non può affatto agire nella storia... Allora la Bibbia non parla più di Dio, del Dio Vivente, ma parliamo solo noi stessi e decidiamo che cosa Dio può fare e che cosa dobbiamo o vogliamo fare noi".
Il Papa ha ricordato che l'uomo non può affidare le sue speranze a sistemi perfetti, ma solo all'amicizia di Dio. In questo sta il valore della Chiesa, fissato ben oltre i dibattiti che l'hanno afflitta dopo il Concilio Vaticano II. "Entrando nella comunione con la Parola di Dio, entriamo nella comunione della Chiesa che vive la Parola di Dio. Non entriamo in un piccolo gruppo, nella regola di un piccolo gruppo, ma usciamo dai nostri limiti".

domenica, ottobre 05, 2008

LA DIVINA PASTORA [8]

Ovvero: "Spesso parliamo del contenuto delle Scritture supponendo che il contenuto sia il messaggio. Ma è falso.
Il vero contenuto della Bibbia è la persona stessa che sta leggendo"

(H.M. McLuhan)

Il programma dell'evento culturale "La Bibbia Giorno e Notte", intelligentemente organizzato dal Pontificio Consiglio per la Cultura -e cioè da quel naturaliter affabulatore di monsignor Gianfranco Ravasi- in collaboratore con la Rai, in concomitanza dell'apertura del Sinodo dei Vescovi sulla Sacra Scrittura, prevedeva (addirittura cronometricamente!) che la maratona della lettura ininterrotta della Bibbia (secondo il Canone del Concilio di Trento, ovviamente!) avrebbe dovuto principiare domenica 5 ottobre 2008 alle ore 19:10 in punto quando, nella basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme, sarebbe stato proiettato su di un megaschermo il filmato registrato in cui Benedetto XVI legge l'incipit della Bibbia fino al quarto versetto del secondo capitolo del Genesi.
Poi, alle 19:28 il vescovo ortodosso Ilarion del Patriarcato di Mosca avrebbe letto tutto il restante secondo capitolo della Genesi, avendo davanti agli occhi una imponente edizione del testo sacro aperto su di un leggìo baroccheggiante.
E in effetti, secondo programma, principiava proprio così la teoria di mille e duecento persone che avrebbero avuto l'onere di colmare le 139 ore che separano il primo versetto della Genesi all'ultimo versetto dell'Apocalisse.

Il programma ufficiale aveva previsto che a seguire, alle ore 19:33, la pastora Maria Bonafede, dal 2005 Moderatore (moderatrice?) della Tavola Valdese, leggesse per intero il capitolo terzo.

A seguire Roberto Benigni cui, con grandissimo acume, l'occulto regista ha dato, al sempre sottilmente ironico comico toscano, il compito di rendere lieve l'estenuante genealogia di Matusalemme and company; poco dopo anche "il divo" Giulio Andreotti avrebbe letto di Babele nochè la genealogia di alcuni coetanei dello stesso senatore a vita: tutta gente morta a quattrocentotrenta anni, a duecentosette anni o a duecentocinque anni.

Epperò, rispetto al programma diffuso c'è stata una "sostituzione di persona" che non bisognerebbe ignorare o "relativizzare", ma su cui bisognerebbe seriamente interrogarsi: la pastora Maria Bonafede non ha letto "Genesi 3" ma è stato Domenico Maselli anch'esso valdese nonchè Presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) che s'è recato al leggìo per declamare il terzo capitolo della Genesi, ovvero il racconto del Peccato Originale.
Eppure la stessa Chiesa Valdese (con un comunicato stampa del 17 settembre 2008) aveva annunciato ufficialmente che "In occasione della lettura integrale ed ininterrotta della Bibbia, che avverrà dal 5 all'11 ottobre in diretta televisiva, la pastora Maria Bonafede, moderatore della Tavola valdese, affiancherà Benedetto XVI nella serata di apertura dell'evento. Maria Bonafede leggerà il III capitolo della Genesi."

Cosa è successo nel frattempo?
Forse una scelta dettata dalla richiesta di maggior spirito ecumenically correct da parte delle altre denominazioni protestanti italiane diverse da quella valdese?
Difficile crederlo. Lo stesso Domenico Maselli aveva dichiarato che la sacra esibizione della pastora Bonafede davanti alle telecamere della Rai era unanimamente considerato un onore ed un vanto del protestantesimo italico tutto: "Crediamo sia molto significativo che tra i primi a leggere la Bibbia vi sia il moderatore della Tavola valdese, una piccola chiesa autoctona italiana che ha preceduto la Riforma protestante, ne ha poi accettato i principi, e costituisce il nucleo storico della presenza evangelica nel nostro paese".

La legittimità dell'interrogativo, quindi, permane.


Cosa è successo a Maria "Moderatrice"?

Mi si perdoni se di seguito prospetto un'ipotetico retroscena, forse non del tutto peregrino.
Dunque: la pastora, una sera, terminato di scrivere un sermone contro la vendita delle indulgenze per svagarsi un po' si guardava su Raidue la replica notturana di "Protestantesimo", avrà allungato una mano sul tavolino del salotto e raccolta una delle tante edizioni della Bibbia in suo possesso, la avrà aperta al capitolo terzo, per provare l'intonazione e le pause (e trastullandosi facendo la parodia di papa Ratzinger).
Ma, tutto d'un tratto, un insinuante sospetto si è fatto strada nella mente della "Pastora delle anime"; come un fulmine che squarcia la notte, illuminando la propria partecipazione alla kermesse biblica di luce sinistra.

Sarebbe stata la terza persona a far parte della maratona biblica, ma il primo esponente del seppur variegato mondo evangelico nochè la prima fra tutte le donna. Epperò, mentre il Papa cattolico avrebbe letto della Creazione del Cosmo e mentre il vescovo ortodosso avrebbe letto della Creazione dell'Uomo, la pastora protestante -la prima donna- avrebbe dovuto leggere della perdizione del genere umano a causa della prima donna: "Il sepente mi ha ingannato ed io ne ho mangiato".

L'Italia intera avrebbe visto in diretta televisiva un esponente del "sesso debole", per di più protestante, quale medium di quella Eva che stupidamente soccombe alle tentazioni di Satana. Avrà pensato la pastora: Ecco! La solita intollerante Chiesa Romana maschilista e misogena che vuol far passare subliminalmente il messaggio che la donna -e "l'eresia protestante"- sia il privilegiato "strumento del diavolo" per procurare la dannazione deigli uomini!

Ancora prostrata dal disgustante dubbio della possibilità d'un simile occulto oltraggio cattolico alla sua persona ed alla sua fede, la sua attenzione fu attirata dal trillo del telefono. Con un poco d'ansia vista l'ora tarda, alza la cornetta e con propria grande sorpresa sente dall'altro capo del filo la flautata voce del biblista Gianfranco Ravasi che inframmezzando citazioni del Salmo 22 ("su pascoli erbosi mi fa riposare"), si premurava di informarsi di non averla disturbata nell'ora del riposo dalle fatiche pastorali.
Monsignor Ravasi si scusava per l'ora tarda ed inopportuna ma non era riuscito a resistere alla tentazione di annunziarle la "lieta novella" in anteprima assoluta!
L'ambrosiano prelato era appena stato a cena dal Santo Padre col quale si era intrattenuto amabilmente, disputando sulla mai risolta diatriba intorno al dubbio se anche le donne abbiano un'anima razionale; il Santo Padre, inoltre, avendo felicemente constatato il generale interesse mediatico creatasi attorno alla manifestazione "La Bibbia Giorno e Notte", aveva accettato la proposta di monsignor Ravasi di bissare, partecipando, questa volta di persona, ad un nuovo evento televisivo assai più breve dal titolo: "E' giunta l'Ora".
Il nuovo progetto prevede infatti, in occasione della prossima Pasqua, un'ora in diretta televisiva, sempre da Santa Croce in Gerusalemme, durante la quale il Papa ed un esponente della Chiesa Ortodossa ed un esponente delle Chiese protestanti dovranno declamare il testo evangelico della Passione di Cristo.
Il Papa leggerà le parole di Gesù, il russo Ilarion del patriarcato di Mosca ha già dato la sua disponibilità a fare la parte del narratore e si era perciò pensato alla pastora Maria Bonafede per leggere le battutte degli altri personaggi: Giuda Iscariota, Caifa e Ponzio Pilato. Ad essere sinceri, si era già proposto a Riccardo di Segni di leggere le battute di Caifa ma il rabbino, pur felicitandosi per l'iniziativa nel suo complesso, ha gentilmente declinato l'invito.

Ma a tal segno, la pastora fremente, avrà attaccato il telefono in faccia ad un costernato Monsignor Ravasi che non sarà riuscito a capacitarsi per cotanta manifestazione di scarsa sensibilità evangelica.