mercoledì, gennaio 28, 2009

Ecclesia Dei afflicta

Sive: In cauda Venenum


Amplissimo stralcio dall'articolo a firma di Chris Bonface sul quotidiano "Italia Oggi" di mercoledì 28 gennaio 2008 sulle "rivelazioni" sul procedimento di stresura del decreto di revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, e sulle lamentazioni al riguardo avvenute su uno dei pullman che -al vespro di domenica 25 gennaio- dal Vaticano hanno trasportato gli Eminentissimi menbri della "Famiglia Pontificia" alla celebrazione ecumenica "per l'unità dei cristiani" nella Basilica San Paolo fuori le mura:
"...da uno dei primi sedili stava esplodendo il vocione del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione dei vescovi.
Quasi un urlo, «Quel Pasticcion!», il modo di storpiare il nome di un collega porporato, il cardinale Dario Castrillòn Hoyos. Sì, tutta colpa secondo Re del Castrillòn-Pasticciòn, che secondo il collega cardinale avrebbe istruito la pratica in fretta e furia per non farsi sfuggire l'occasione storica della chiusura dello scisma lefebriano.
«Anche a me», avrebbe tuonato il cardinale Re secondo gli altri viaggiatori del pullman (altri prelati e vescovi), «non ha dato che qualche ora di tempo per mettere la controfirma necessaria. Tutto perché tra poco Castrillòn (il «Pasticciòn») compie 80 anni e se ne va in pensione. Se non si chiudeva subito il dossier, non sarebbe toccato a lui...».

Secondo lo sfogo del cardinale Re «quel testo faceva acqua da tutte le parti! D'altra parte l'ha scritto Francesco Coccopalmerio (presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi) che già bisticcia di suo con la lingua italiana... Insomma, se si fosse aspettato un mesetto e magari dare la notizia quando si era messo a punto anche il nuovo stato giuridico dei lefebriani, sarebbe stata tutt'altra cosa e non ci si sarebbe esposti a questa gaffe!».

Furente- ed è dire poco- il cardinale Re mentre si recava alla funzione celebrativa della conversione di San Paolo. E prodigo di particolari anche di fronte alle domande degli ospiti.
Ma allora tutta colpa dell' improvvisazione? Nessuno sapeva del caso dell'arcivescovo Richard Williamson e della sua intervista-choc alla tv svedese in cui si negava lo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale?
Macchè, ha spiegato Re agli altri viaggiatori. Tutto noto a Castrillòn-Pasticciòn. Che sapeva, probabilmente non ha detto nulla al Papa, e certo ha sottovalutato le conseguenze.
Secondo quanto riferisce uno degli ospiti del pullman Castrillon avrebbe contattato il superiore generale dei lefebriani, monsignore Bernard Fellay, che gli avrebbe assicurato che «non bisognava stare dietro a Williamson. Lui per altro veniva dalla chiesa anglicana, e dice di non volere entrare in quella cattolica. Ma è malato da tempo, forse ha poche settimane di vita, e non ragiona più. Sbarella tutti i giorni, e chissà quante ne dirà ancora...». Un caso clinico quindi, a cui non dare troppa importanza.
Certo, secondo Re, montato ad arte dai mass media il giorno successivo, ma «bisognava metterlo in conto, e non ci fosse stata questa terribile e immotivata fretta di Castrillòn, evitabile, evitabilissimo»..."

3 commenti:

Duque de Gandìa ha detto...

Castrillón Hoyos Il «mediatore» con la fraternità Pio X «Contatti solo con Fellay. Quell'intervista ci era ignota»

CITTÀ DEL VATICANO «Guardi, noi eravamo in dialogo con le autorità della fraternità Pio X. Abbiamo sempre parlato con monsignor Fellay, il superiore. E fino all'ultimo momento di tale dialogo non abbiamo saputo assolutamente niente di questo Williamson, non se ne è mai parlato, penso proprio che nessuno ne fosse a conoscenza».
Il cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei», ha condotto le trattative con i lefebvriani verso la revoca della scomunica.
Il giorno prima che fosse resa pubblica, sabato scorso, nelle agenzie internazionali sono rimbalzate le parole e poi il video dell'intervista tv nella quale il vescovo antisemita negava l'esistenza delle camere a gas e della Shoah. Molti si sono chiesti perché non si sia fatto qualcosa, «congelato» il provvedimento o altro. Ma a quel punto, dice il cardinale, era già tutto fatto: «Quando ho consegnato il decreto firmato a monsignor Fellay non sapevamo niente dell'intervista, era stato giorni prima».
E a quel punto? «Evidentemente, a quel punto, il decreto era già in mano agli interessati. Preferisco non entrare nei dettagli, perché vanno al di là delle mie competenze. Ma noi abbiamo fatto quello che si doveva fare». Di una cosa è certo: «La piena comunione arriverà.
Nelle nostre conversazioni, monsignor Fellay ha riconosciuto il Concilio Vaticano II, lo ha riconosciuto teologicamente.
Restano solo alcune difficoltà... ».
Magari sulla Nostra Aetate, la dichiarazione che ha rappresentato una svolta nel rapporto con gli ebrei? «No, quello non è un problema. Si tratta di discutere aspetti come l'ecumenismo, la libertà di coscienza...».
Meno male che nel frattempo ha parlato il Papa: «Le parole del Santo Padre hanno messo in chiaro il pensiero della Chiesa anche rispetto a quel crimine orrendo che è la Shoah».
G. G. V.

© Copyright Corriere della sera, 29 gennaio 2009

Duque de Gandìa ha detto...

Benedetto XVI interviene e placa la lite con il rabbinato. I tempi e i rimpalli di responsabilità nel caso del lefebvriano negazionista:

Roma. Forse il peggio è passato. Le parole di Papa Benedetto XVI sull’affaire Williamson, il vescovo lefebvriano che nega l’Olocausto, hanno raffreddato gli animi.
A confermarlo sono arrivate le dichiarazioni del direttore generale del Gran rabbinato di Gerusalemme, Oded Wiener: “Un grande passo in avanti per la soluzione della questione e dunque una dichiarazione molto importante per Israele e molto importante per Israele e per il mondo intero”. Ma che giornata!
Aperta con il Jerusalem Post che annuncia la decisione del Gran rabbinato di voler troncare i rapporti con la Santa Sede. La notizia fa il giro del mondo e il clima già caldissimo degli utlimi giorni si fa rovente. Fino all’intervento di Benedetto XVI alla tradizionale udienza del mercoledì: “Piena e indiscutibile solidarietà con i nostri fratelli destinatari della Prima Alleanza”. E ancora: “La Shoah sia per tutti monito contro l’oblio, contro la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti”. Il peggio è passato, ma a questo punto rimane una domanda: come è potuto succedere tutto questo pandemonio? Come “un atto di paterna misericordia” – così il Papa ha definito la revoca della scomunica ai lefebvriani – si è potuto tradurre in uno scandalo? Partiamo dalla decisione del rabbinato di Gerusalemme di rompere con il Vaticano. Nella lettera inviata al cardinal Walter Kasper, capo della commissione della Santa Sede per i rapporti con gli ebrei, e datata 27 gennaio, il abbinato chiede una “pubblica ammenda da parte del vescovo”, afferma che “senza la ritrattazione delle sue dichiarazioni deprecabili” è difficile continuare il dialogo con il Vaticano, però non taglia. Propone di “posticipare il nostro incontro a Roma fissato per il 2 e 4 marzo” e si mette in attesa di gesti chiarificatori da parte della Santa Sede. Nel giro di poche ore sarebbero arrivate le parole del Papa: troppo tardi per evitare il montare delle polemiche. I tempi in questa vicenda sono essenziali per cercare di capire che cosa sia successo davvero. Innazitutto la data della pubblicazione della remissione della scomunica latae sententiae ai quattro vescovi lefebvriani: 24 gennaio, vigilia della conclusione della Settimana per l’unità dei cristiani. L’intento è chiaro: “Un dono di pace, al termine delle celebrazioni natalizie,… per arrivare a togliere lo scandalo della divisione”.

La prossima settimana in Israele

Tre giorni dopo però è il 27, Giornata della memoria. Il vescovo Williamson le dichiarazioni le ha fatte, la Fraternità lefebvriana ha preso le distanze già il 21 gennaio, lasciando però più di uno spazio all’ambiguità. Apriti cielo. Oltre Tevere, con il senno di poi, dicono che forse si poteva trovare un momento più adatto, non avere troppa fretta. I detrattori della prima ora, che storcono il naso davanti alle buone intenzioni del Papa verso i lefebvriani, gongolano. Le responsabilità si rimpallano tra monsignor Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi ed estensore del decreto di remissione, il cardinale Castrillon Hoyos, presidente della Pontificia commissione Ecclesia Dei, che segue i rapporti con i lefebvriani, e il cardinale Re, prefetto della Congregazione per i vescovi e firmatario del documento. Quest’ultimo di certo non si augurava di passare i giorni che precedono il suo 75° compleanno immerso in una tempesta del genere. “Episodio dolorosissimo – ha affermato il segretario di stato, il cardinale Tarcisio Bertone, ma dopo le parole del Papa – non ci dovrebbe essere più alcuna polemica”. Pare vero. L’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, afferma che l’intervento del Papa “chiarisce molte cose e aiuta a superare gli equivoci”.
Settimana prossima la delegazione vaticana andrà in Israele come da programma per discutere del viaggio del Papa in Terra Santa. A questo punto a pagare il conto più salato di tutta la querelle è l’intenzione di “paterna misericordia” del Papa, bollata da più parti come l’ennesima gaffe vaticana, tradimento del Vaticano II, cedimento ai tradizionalisti. Peccato che il cammino con i lefebvriani sia ancora lungo: i quattro vescovi rimangono sospesi a divinis e la revoca della scomunica è soltanto il primo passo verso la piena comunione. Tanto per intendersi: la scomunica verso gli ortodossi è stata revocata oltre quarant’anni fa, ma di un incontro tra il Papa e il Patriarca di Mosca non se ne parla ancora.

© Copyright Il Foglio, 29 gennaio 2009

Duque de Gandìa ha detto...

PREGHIERA dell'orrido Camillo Langone sul Foglio del 28 gennaio 2009:
"San Pietro era un vigliacco, Papa Giovanni (a sentire lo storico Melloni) uno sciocco, e la maggioranza degli attuali cardinali, vescovi e preti è di una pochezza impressionante.
Il sole non riscalda mai nulla di nuovo.
Le infinite pagine dei “Commentarii” di Papa Pio II (2.725 nella recente edizione Adelphi) rigurgitano di giudizi tremendi sul clero, espressi con parole che il mite Ratzinger non si sognerebbe mai di utilizzare. Qualche titolo di capitolo: “Orlando vescovo di Firenze e la sua stolta morte”, “Vuote e perverse calunnie di molti – e in particolare del cardinale d’Aquileia”, “Morte di Giovanni cardinale di Pavia, uomo superbo e avido di denaro”, “Il vescovo di Alet corrotto e perverso”, “L’orazione poetica e pagana del vescovo di Arras, o meglio: la sua sciocca chiacchierata”...
Piccolomini, grande pontefice, arriva a stroncare i cardinali quasi in blocco: “Se questa dignità si dovesse conferire solo a coloro che la meritano veramente, dovremmo cercare in cielo quelli a cui donare il cappello rosso”.
La balordaggine del materiale umano ecclesiastico, degno campione di quello extra-ecclesiastico, è conosciuta da venti secoli ma i nemici della chiesa la scoprono una volta al mese: non capiscono, gli ottusi, che ogni loro critica è un implicito riconoscimento allo Spirito Santo, che da sempre e per sempre regge l’intera baracca.