giovedì, gennaio 29, 2009

Gran Rabbi nato /8

Ovvero: "Poi udii il numero di coloro che furon segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli d'Israele: dalla tribù di Giuda dodicimila; dalla tribù di Ruben dodicimila; dalla tribù di Gad dodicimila; dalla tribù di Aser dodicimila; dalla tribù di Nèftali dodicimila; dalla tribù di Manàsse dodicimila; dalla tribù di Simeone dodicimila; dalla tribù di Levi dodicimila; dalla tribù di I'ssacar dodicimila; dalla tribù di Zàbulon dodicimila; dalla tribù di Giuseppe dodicimila; dalla tribù di Beniamino dodicimila."
(Apocalisse VII,4-8)

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Il rabbino Giuseppe Laras, presidente dell'assembea rabbinica italiana (già Rabbino Capo di Milano) ha esternato tutto il proprio dolore e rincrescimento per le parole pronunziate dal Papa all'Angelus di domenica 18 gennaio 2009 nelle quali Benedetto XVI manifestava tutta la propria "trepidazione" per le vittime civili (e quindi innazitutto palestinesi) dello scontro militare tra Israele ed Hamas nella Striscia di Gaza: "Ricordiamo anche oggi al Signore le centinaia di bambini, anziani, donne, caduti vittime innocenti dell’inaudita violenza, i feriti, quanti piangono i loro cari e coloro che hanno perduto i loro beni".
Per il rabbino Laras invece un tale atteggiamento contabilistico sarà ancora più di ostacolo al dialogo ed alla comprensione ebrei e cattolici.
Alla giornalista Alessia Gallione del quotidiano "La Repubblica" che gli contestava il dato inoppugnabile che le vittime palestinesi erano almeno mille e duecento mentre quelle israeliane soltanto tredici, Laras rispondeva: "Non possiamo fare questione di numeri. Ogni morte è una tragedia infinita".
Rimarcava il concetto il rabbino capo di Venezia Elia Enrico Richetti: "Il problema non è il numero delle vittime."

Il trevigiano e lefebvriano Don Floriano Abrahamowicz in un'intervista pubblicata sulla Tribuna di Treviso del 29 gennaio 2009 con l'eloquente titolo "Le camere a gas? Per disinfettare", rispondendo alle domande della giornalista Laura Canzian -dopo aver rimarcato di essere anch'egli d'origine ebraica- cercava di difendere l'indifendibile vescovo lefebvriano Richard Williamson dalle polemiche suscitate dalle sue dichiarazioni dubitative intorno alla funzione delle camere a gas nei campi di sterminio nazisti.
La giornalista, perciò, incalza don Abrahamowicz: "Lei mette in dubbio il numero delle vittime dell’Olocausto?
Lo sventurato rispose: "No, non metto in dubbio i numeri. Le vittime potevano essere anche più di 6 milioni. Anche nel mondo ebraico le cifre hanno un valore simbolico. Papa Ratzinger dice che anche una sola persona uccisa ingiustamente è troppo, è come dire che uno è uguale a 6 milioni. Andare a parlare di cifre non cambia niente rispetto all’essenza del genocidio, che è sempre un’esagerazione."

2 commenti:

Duque de Gandìa ha detto...

La teologia e il magistero di Ratzinger sono quanto di più vicino al cuore del giudaismo

Al direttore - Trovo che la polemica intorno al ritiro della scomunica ai lefebvriani stia assumendo contorni inquietanti. Non dimentichiamo che Benedetto XVI è quel raffinatissimo uomo di scienza e di fede che nei suoi libri prima di diventare Papa affermava che è per misterioso disegno di Dio se il popolo di Israele non ha riconosciuto Cristo, disegno che i credenti cristiani devono rispettare e che verrà svelato solo alla fine dei tempi. Ricordo che quando lo lessi rimasi sbalordita dal profondissimo rispetto che egli nutre per i fratelli maggiori dei cristiani, e la trovai una delle dichiarazioni d’affetto in assoluto più toccanti e trasparenti rivolte al popolo ebraico. Ricordo anche che, secondo Joseph Ratzinger, la figura di Cristo è la congiunzione tra il Popolo eletto e il mondo, nel senso che la sua venuta si è resa necessaria affinché anche un non ebreo potesse salvarsi: “Un non ebreo poteva trovare posto soltanto ai margini di questa religione, rimanere ‘proselito’, poiché l’appartenenza piena era legata alla discendenza carnale da Abramo, a una etnia. (…) Una piena universalità non era possibile, poiché non era possibile un’appartenenza piena.
A questo livello è stato il cristianesimo a praticare per primo una breccia, ad ‘abbattere il muro’ (Ef 2,14)” (Fede, verità, tolleranza, p.162). Chiunque abbia letto anche una minima parte di quanto ha scritto Papa Benedetto non si sognerebbe neppure di coinvolgerlo in polemiche che possono essere anche molto offensive. Il suo gesto verso gli scismatici appartiene a un piano differente, che è quello della misericordia, e che non ha nulla a che vedere con la “tolleranza” verso affermazioni personali di alcuno.

Non parlo naturalmente del Foglio, ma altri zelanti quotidiani dovrebbero pulire due volte la penna, prima di permettersi di chiamare in causa il Santo Padre. Così come certi lettori dovrebbero leggere di più, prima di fare certe allusioni.

Alessia Affinito, via Web

Lo stato di inimicizia verso la chiesa e il Papa regnante, coltivato da osservatori e personalità che rivendicano una inesistente laicità culturale e civile, è dimostrato dall’elemento assurdo rilevato in questa bella lettera: accusare Ratzinger di tolleranza verso l’antigiudaismo è da mestatori o da ignoranti. Punto.

Giuliano Ferrara

© Copyright Il Foglio, 30 gennaio 2009

L'agliuto ha detto...

Alla giornalista Alessia Gallione del quotidiano "La Repubblica" che gli contestava il dato inoppugnabile che le vittime palestinesi erano almeno mille e duecento mentre quelle israeliane soltanto tredici, Laras rispondeva: "Non possiamo fare questione di numeri. Ogni morte è una tragedia infinita".

Però quanto ci tengono ai sei milioni, non uno di più, non uno di meno.