sabato, aprile 25, 2009

ITALIA ANTIQUA

Ovvero: LA GIOVINE ITALIA


"C'è un passo del discorso di Pericle per i caduti del primo anno della guerra del Peloponneso (Thuc.II,43,1) che mi è venuto in mente ripensando alle discussioni, vive in questi giorni, sulla "morte della patria": è l'esortazione ai superstiti ad imitare i caduti e "a guardare con ammirazione, nell'attività di ogni giorno, alla potenza della loro città e a divenirne amanti (erastai)".
La fierezza di un'appartenenza e un amore che rendono capaci di sacrificio sono, da sempre, le componenti del sentimento della patria, che la cultura dominante ha sistematicamente cercato di oscurare in Italia all'indomani della seconda guerra mondiale: hanno facilitato questa operazione culturale la sazietà e il disgusto di una retorica di una retorica magniloquente, miseramente delusa dalle tragiche vicende della guerra, e il carattere recente di una unità politica compiutasi solo nel XIX secolo.

La tradizione di "patria" che gli italiani avevano nella loro cultura prima del Risorgimento era quella ecumenica e imperiale di Roma (ridicolizzata dalla retorica del "ritorno dell'impero sui colli fatali di Roma") e quella dei comuni e delle signorie del medioevo e del rinascimento. Ciò non significa però che, prima di divenire un'unità politica, l'Italia fosse solo "Un'espressione geografica"; al contrario, assai prima dell'unificazione politica, nell'antichità come nel Medioevo, l'Italia aveva assunto, come comunità di popoli uniti da valori comuni, una precisa identità affettiva.

Limitato originariamente alla Calabria ed esteso nel IV secolo a.C. a tutta l'Italia meridionale, il nome di Italia copre nel III secolo a.C. l'intera penisola: esso compare per la prima volta durante la guerra annibalica nei Libri Sibillini nella forma di Terra Italia , come trasposizione del concetto di Terra Etruria dei Libri Rituales e del cippo di Perugia*, ed ha valore soprattutto sacrale, assimilando l'Italia, per alcuni riti e cerimonie all'ager Romanus e a Roma stessa.
Solo dopo la guerra sociale e la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'Italia, l'assimilazione dell'Italia a Roma non più soltanto religiosa ma anche politica e giuridica, e lo ius terrae Italiae, modellato anch'esso sullo ius terrae Etruriae, assicura la proprietà per diritto divino del territorio soggetto alla limitatio, di cui Giove stesso è l'autore e il dominus ex iure Quiritium, esclusivo, assoluto, perpetuo, diverso dal possesso (non proprietà) che lo stesso cittadino romano può avere di territori provinciali.

Sede dell'imperium domi, del governo civile, non militare (gli eserciti non dovevano -secondo la norma- trovarsi in Italia) l'Italia diventa idealmente il grande pomerium*, lo spazio che definisce il confine, dell'impero: è questa immagine che Dante ricupera nella grande invettiva del VI Canto del Purgatorio, nell'immagine -frutto di un travisamento di pomerium-pomarium comune nel medioevo, dell'Italia "giardino dell'impero".

La cosiddetta "rivoluzione romana" che pose fine alla repubblica e portò all'impero, ebbe come risultato fondamentale la vittoria dell'Italia: la vecchia nobilitas romana circoscritta a poche centinaia di famiglie, fu integralmente rinnovata da uomini provenienti dai municipia e dalle coloniae: per Augusto, l'aspetto più importante deella sua vittoria, quello che lui celebra nella Res Gestae è la coniuratio Italiae * del 31, che portò alla vittoria di Azio, e il consensus Italiae ai comizi del 12 a.C. in cui la sua elezione al pontificato massimo fu votata da gente accorsa "cuncta ex Italia".

Lo studio dei poeti augustei rivela però, in questa integrazione piena dell'Italia nello stato romano, l'esistenza di un antagonismo etnico ancora vivo tra l'Italia centromeridionale, abitata oltre che dai Greci, dalle stirpi osco sabelliche, e l'Italia appartenente all'area culturale etrusca, nella quale Virgilio, come prima di lui Catullo, tendono ad inglobare l'Italia settentrionale. In tutti i poeti augustei le virtù tipiche vetero romane trovano la loro radice nelle antiche virtù italiche, ma, per Orazio si tratta delle virtù delle stirpi osche, della loro tenacia, della loro virilità, della loro durezza in guerra, per Virgilio e per Properzio, della fides e della pietas, della laboriosità, delle virtù familiari, religiose e civili, dell'Italia degli Etruschi, dei sabini, dei latini, alla quale riserva l'epiteto di fortis. Egli cerca però anche di smorzare il contrasto e vede nella Roma augustea la forza capace di operare la sintesi.

Questa unità nella complessità e nella differenza realizzata nell'Italia antica dalla Roma imperiale viene confermata e rinnovata, nonostante le diverse vicende politiche delle varie popolazioni, dal cristianesimo che trova ancora in Roma il suo centro universalizzante; la sintesi mirabile tra l'eredità classica e quella cristiana ripropone, molti secoli prima dell'unità politica, quell'identità religiosa, culturale, morale che costituisce nei secoli l'identità italiana. Distruggere questa identità, oscurandone la tradizione, come si sta facendo con i programmi di storia e come si fa ormai da molti anni nella scuola italiana, sacrificando la lettura della grande letteratura del passato e dei classici alla imposizione ossessiva di autori contemporanei spesso deprimenti, è privare le nuove generazioni di quella fierezza di un'appartenenza che non è orgoglio nazionalistico, ma coscienza delle proprie radici, senza la quale l'accoglienza del diverso diventa succube accettazione."

di MARTA SORDI ("Alle Radici dell'Occidente"; Marietti,2002)

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