lunedì, aprile 06, 2009

Lunedì Santo [5]


"Ogni brano della storia del Signore e Salvatore nostro è d'una profondità insondabile e offre materiale inesauribile per la contemplazione. Tutto quello che lo riguarda è infinito e quanto noi al momento percepiamo non è che la superficie di qualcosa che comincia e finisce nell'eternità.
[...] io mi accingo ad indirizzare i vostri pensieri su un tema, particolarmente opportuno in quest'ora, e al quale molti di noi forse pensano pochissimo: le sofferenze che Nostro Signore sopportò nella sua anima innocente e senza peccato.

Voi sapete, fratelli, che il nostro Signore e Salvatore, pur essendo Dio, era anche perfettamente uomo; e perciò ebbe non solo un corpo ma anche un'anima come la nostra, benché immune da ogni macchia di peccato. Egli non prese un corpo senz'anima -Dio ce ne guardi- poiché questo non sarebbe stato farsi uomo. Come avrebbe potuto santificare la nostra natura assumendo una natura che non era la nostra?
L'uomo senza anima è al livello delle bestie del campo ma Nostro Signore venne per salvare una stirpe capace di lodarlo e di obbedirgli, che possedesse l'immortalità quantunque una immortalità che aveva perduto la beatitudine promessa.

L'uomo fu creato a somiglianza di Dio e quella somiglianza è nell'anima, perciò quando il Creatore, per un'indicibile benevolenza, venne nella natura umana assunse un corpo, e assunse un'anima come mezzo della sua unione col corpo; assunse in primo luogo un'anima umana e poi il corpo, contemporaneamente ma in quest'ordine: l'anima e il corpo. Creò egli stesso l'anima da lui assunta mentre il corpo lo prese dalla carne di Nostra Signora, sua madre. In questo modo egli si fece uomo, perfettamente uomo con un corpo e un'anima. E nel prendere un corpo di carne e di nervi, soggetto alle ferite e alla morte, capace di soffrire, prese pure un'anima anch'essa capace di quella sofferenza, e per di più capace di quelle sofferenze e dolori che sono propri dell'anima umana; e allo stesso modo che la sua Passione redentrice fu sofferta dal corpo su sofferta anche dall'anima.

Durante questi giorni solenni saremo chiamati a riflettere in modo particolare sulle sofferenze corporali [del Signore]: la sua cattura, il suo forzato andare avanti e indietro [da un luogo all'altro], i colpi e le ferite, la flagellazione, la corona di spine, i chiodi, la croce. Tutte queste cose sono riassunte davanti ai nostri occhi nel Crocifisso stesso; sono raffigurate tutte insieme nella sua carne benedetta che pende dalla croce davanti a noi; e la meditazione è resa facile da quanto vediamo.
Ben diversamente è nei confronti delle sofferenze della sua anima; esse non possono essere dipinte per noi, né possono essere analizzate con precisione; sono al di là dei nostri sensi, non sono pienamente percepibili dal nostro pensiero; eppure cominciarono prima dei suoi dolori corporali.

L'agonia sofferta dall'anima, e non dal corpo, fu il primo atto del suo tremendo sacrificio; La mia anima è triste fino alla morte, egli disse. Se soffrì nel corpo, in realtà fu nella sua anima dove soffrì; il corpo non faceva che trasmettere la sofferenza dell'anima che era la vera sede del dolore.
Sarà bene insistere su questo punto: affermo, cioè, che non era il corpo a soffrire ma l'anima nel corpo. L'anima e non il corpo era la dimora della sofferenza dell'Eterno Verbo.

Consideriamo perciò come non vi sia vero dolore, benché vi sia una sofferenza apparente, se non c'è alcuna sensibilità interiore, o uno spirito che ne sia la sede. [...] Quello che rende così penoso il soffrire sta nel fatto che non possiamo smettere di pensarci fintanto che lo sentiamo. Esso è davanti a noi, domina la nostra mente e tiene fissi i nostri pensieri su di se. Tutto quello che distoglie la nostra mente da quel pensiero lo mitiga; per questo quando soffriamo i nostri amici cercano di farci divertire, perché il divertimento è una distrazione. Se la sofferenza è leggera essi a volte raggiungono lo scopo e noi ci troviamo in qualche modo senza dolore, anche se soffriamo. [...] Così nelle risse e nelle battaglie si ricevono ferite delle quali, a causa del'agitazione del momento, chi combatte non ha coscienza del dolore che ha provato nel riceverle ma in seguito alla fuoriuscita del sangue. [...] E' la comprensione intellettuale del dolore come di un tutto ripartito in momenti successivi che conferisce alla sofferenza forza e acutezza particolare [...].

Applichiamo ora questo alle sofferenze di Nostro Signore.
Ricordate che al momento della crocifissione gli offrirono vino mescolato con mirra? Egli però non ne volle bere; perché? Perché quella bevanda gli avrebbe stordito la mente, mentre egli era deciso a sopportare la sua sofferenza in tutta la sua amarezza.
Questo ci rivela, fratelli, il carattere dei suoi patimenti; egli li avrebbe volentieri evitati se questo fosse stata volontà del Padre. Se è possibile, disse, passi da me questo calice. Ma poiché questo non era possibile all'apostolo che voleva sottrarlo alla sofferenza rispose tranquillamente: Non berrò io il calice che il Padre mi ha dato?
Poiché doveva soffrire, si consegnò alla sofferenza. Non cercò di soffrire il meno possibile; non voltò le spalle alla sofferenza, l'affrontò, gli andò incontro -se così posso esprimermi- in modo che ogni minima parte di essa potesse pienamente imprimersi in lui.

Come gli uomini sono superiori agli animali e sono colpiti maggiormente dal dolore a motivo dello spirito che è in loro, e che dà al dolore consistenza (il che non avviene nel caso degli animali) così, similmente, Gesù provò la pena del suo corpo con una consapevolezza e una coscienza e, di conseguenza, con un'acutezza ed un'intensità e con una unità di percezione che nessuno di noi sarebbe capace di scrutare o comprendere tanto la sua anima era perfettamente in suo potere, così completamente libera da ogni distrazione, così totalmente orientata al dolore, così pienamente abbandonata e sottomessa alla sofferenza.
Possiamo ben dire che egli soffrì la Passione tutta intera in ogni singolo momento.


Ricordiamoci che Nostro Signore benedetto era diverso da noi in questo: benché fosse perfettamente uomo, tuttavia c'era in lui un potere più grande della sua anima, e che governava la sua anima, poiché era Dio.
L'anima dell'uomo è sottoposta ai suoi desideri, sentimenti, impulsi, passioni, turbamenti; l'anima di Gesù invece non era sottomessa che alla sua eterna e divina Persona. Nulla accadde all sua anima per caso o all'improvviso; egli non fu mai colto di sorpresa; nulla ebbe alcun effetto su di lui senza che lui lo volesse. Mai si afflisse, o temette, o desiderò, o si rallegrò nello spirito senza che prima non avesse voluto affliggersi, temere, desiderare, gioire.

Noi soffriamo perché cause esterne ed emozioni incontrollabili della nostra mente ci provocano sofferenza. Subiamo involontariamente la disciplina del dolore, soffriamo più o meno vivamente a seconda delle circostanze, la nostra pazienza è messa a più o meno alla prova secondo lo stato del nostro spirito e noi facciamo del nostro meglio per alleviarlo o trovarvi rimedio.
Non possiamo prevedere in che misura il dolore si abbatterà su di noi, né per quanto tempo saremo in grado di sopportarlo; e quando è passato non sapremmo dire con verità perché abbiamo provato quello che abbiamo provato, o perché non abbiamo sopportato meglio il dolore.

Ben diversamente fu per il Signore. La sua divina Persona non era soggetta, né poteva essere abbandonata all'influsso dei suoi affetti e sentimenti umani, se non nella misura da lui voluta.
Lo ripeto: quando sceglieva di di temere, temeva; quando sceglieva di segegnarsi, si sdegnava; quando sceglieva di addolorarsi si addolorava. Non era esposto all'emozione ma sceglieva volontariamente ciò che doveva commuoverlo. Di conseguenza, quando decise di soffrire la sua Passione in espiazione dei nostri peccati, tutto quello che fece lo fece, secondo l'espressione del Saggio, "instanter", prontamente, con tutta la forza della sua volontà.
Non si fermò a metà; non cercò -come facciamo noi- di distogliere la propria mentre dalla sofferenza (e come avrebbe potuto non patire, lui che era venuto per patire; che non avrebbe patito se non lo avesse voluto?); no, egli non disse e poi disdisse; non fece e disfece; disse e fece.
Disse: Ecco, io vengo per fare la tua volontà, o Dio; tu non hai gradito sacrificio e offerta; un corpo invece mi hai preparato. Prese un corpo per poter soffrire; divenne uomo per poter soffrire; e quando venne la sua ora, l'ora di satana e delle tenebre, l'ora in cui il peccato doveva rovesciare su di lui tutta la sua malizia, allora egli si offrì totalmente in olocausto, in sacrificio tatale.

E come tutto il suo corpo fu disteso sulla croce, così tutta la sua anima, tutta la sua attenzione, tutta la sua consapevolezza, una mente vigile, una intensa sensibilità una viva cooperazione, un'intenzione attuale e assoluta -non un implicito consenso o una sottomissione senza cuore- tutto questo egli offrì ai suoi carnefici. la sua passione fu un'azione; la sua energia vitale era nel pieno delle sue funzioni mentre egli languiva, sveniva, moriva.
Se morì fu perché lo volle; chinò il capo in segno di comando e rassegnazione, e disse: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito; disse lo parola, rese l'anima, non la perdette."



(John Henry NEWMAN; Discourses Addressed to Mixed Congregations)

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