martedì, aprile 07, 2009

Martedì Santo [5]


" Ben vedete, fratelli miei, che se anche Nostro Signore avesse sofferto soltanto nel corpo, e in questo meno di altri uomini, tuttavia riguardo al dolore egli avrebbe sofferto infinitamente di più perché il dolore deve essere misurato dalla capacità di essere consapevoli. Chi soffriva era Dio; Dio soffriva nella sua natura umana; le sofferenze appartenevano a Dio, e furono bevute fino in fondo, furono sorbite fino all'ultima goggia del calice perché era Dio che beveva. Non furono assaggiate o sorseggiate né aromatizzate mascherate con lenitivi umani, come fa l'uomo con la coppa dell'angoscia.

Quanto sono venuto dicendo servirà inoltre come risposta d un'obiezione che ora voglio prendere in considerazione e che forse esiste, latente, nello spirito di molti cosicché questo li porta a trascurare l'importanza della parte avuta dall'anima di Nostro Signore nella sua volontaria espiazione del peccato.
Quando la sua agonia stava per avere inizio, il Signore disse: La mia anima è triste fino alla morte. Vi chiederete, forse, fratelli, se egli non avesse alcune consolazioni proprie a lui solo, impossibili a chiunque altro, che mitigassero o impedissero l'angoscia della sua anima e gli facessero sentire la sofferenza non più intensamente ma piuttosto meno vividamente di un'uomo comune. Egli, per esempio, aveva il sentimento della sua innocenza, sentimento che nessun altro nella sofferenza potrebbe avere; gli stessi persecutori, lo stesso falso apostolo che lo tradì, lo stesso giudice che lo condannò, persino i soldati che lo condussero all'esecuzione testimoniarono la sua innocenza. Giuda disse: Ho tradito sangue innocente. Sono innocente del sangue di quest'uomo, disse Pilato. Veramente questo era un uomo giusto, gridò il centurione.
Se persino costoro che erano peccatori attestarono la sua innocenza, quanto più l'attestò la sua anima. E anche noi stessi, che siamo peccatori, sappiamo bene che la nostra forza di resistere alle ostilità e alla calunnia poggia sulla coscienza dell'innocenza o della colpa; quanto più, direte voi, per il Signore il sentimento della sua santità non doveva compensarlo della sua sofferenza e spazzar via la sua vergogna!

Ancora potreste dire che egli sapeva che le sue sofferenze sarebbero state di breve durata e si sarebbero risolte nella gioia, mentre l'incertezza del futuro è l'elemento che rende più acuta l'angoscia umana. E a conferma di questo si potrebbe citare san Paolo che ci dice espressamente: che per la gioia postagli innanzi Nostro Signore disprezzò la vergogna.
Certo, vi sono una calma e una padronanza meravigliose in tutto quello che fa: si consideri il suo ammonimento agli apostoli: Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione, lo spirito è pronto ma la carne è debole; o le sue parole a Giuda: Amico, perché sei venuto? E: Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo? O a Pietro: Tutti quelli che che prendono la spada periranno di spada; o all'uomo che lo colpì: Se ho parlato male dimmi dov'è il male, se ho parlato bene perché mi percuoti? A sua Madre: Donna, ecco tuo figlio. Tutto ciò è vero, ed è bene insistervi sopra; a ciò si accorda perfettamente e ancor più chiarisce quello che vengo dicendo.
Fratelli, altro voi non avete detto se non che, per usare un'espressione umana, egli era sempre se stesso. La sua anima era il suo proprio centro, e mai fu scossa, neppure in minimo grado dal suo divino, perfetto equilibrio.

Quello che soffrì lo soffrì perché si sottopose volontariamente alla sofferenza; e sempre deliberatamente e con calma.
Come disse al lebbroso: Lo voglio, sii guarito; e al paralitico: Ti sono perdonati i tuoi peccati; e al centurione: verrò e lo guarirò; e di Lazzaro: Vado a svegliarlo dal sonno; così pure disse: Ora comincerò a soffrire, e in verità cominciò.
La sua tranquillità è la prova del pieno dominio che egli aveva sul proprio spirito. Al momento giusto egli tolse i catenacci e le serrature, aprì le cateratte e i flutti abbatterono sulla sua anima con tutta la loro forza.
Proprio questo ci narra di lui san Marco del quale si dice che abbia scritto nel suo Vangelo quanto aveva appreso dalla bocca di san Pietro, uno dei tre testimoni presenti in quel momento: Giunsero intanto, egli dice, a un podere chiamato Getzemani, ed egli disse ai suoi discepoli: Sedetevi qui mentre io prego. prese con se Pietro, Giacomo e Giovanni, e cominciò a sentire paura e angoscia.

Osservate come egli agisca deliberatamente.
Si reca in un certo luogo, poi, dato l'ordine e sottratta la sua anima al sostegno della divinità, angoscia, terrore e disperazione lo invadono. Egli va incontro, duque, a un'agonia mentale, con un'azione così ben definita quasi fose un tormento fisico come il fuoco o la ruota.
Stando così le cose, vedrete subito, fratelli, che non è corretto dire che Nostro Signore nella prova fu sostenuto dalla consapevolezza dell'innocenza e dalla cetezza del triofo futuro poichè la sua prova consistette nel rifiuto di quella consapevolezza e di quella preveggenza, così come degli altri motivi di consolazione.
Lo stesso atto di volontà che permetteva l'influsso di ogni possibile angoscia sulla sua anima ammetteva subito, insieme, tutte le angoscie.

Non fu una lotta tra impulsi o idee, provenienti dall'esterno, in conflitto tra loro ma l'effetto di una decisione interiore.
Come gli uomini ben capaci di autocontrollo passano da un pensiero all'altro secondo il proprio volere, così il Signore rifiutò a se stesso deliberatamente ogni conforto e si saziò di amarezza.
In quel momento la sua anima non pensò al futuro; egli in quell'ora pensava solo al peso che gravava su di lui, e che per sostenerlo egli era venuto qui in terra."


(John Henry NEWMAN; Discourses Addressed to Mixed Congregations)

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