mercoledì, maggio 13, 2009

Per la visita di Benedetto XVI a Betlemme e Territori dell'Autorità Palestinese


REBECCA E MARIA

La coesione di componenti di una famiglia, in quanto clan primitivo, è talmente forte che talvolta la consapevolezza del proprio io individuale viene assorbita dalla coscienza dell'io collettivo cioè da da tutto il clan. Ognuno vive in grazia della collettività: da solo non potrebbe che morire, ed è così che ognuno cerca di essere qualche cosa, o, per meglio dire, qualcuno, nell'organismo associato.
Lo sviluppo della civiltà e delle condizioni di vita, la spartizione dei beni, il maggiore sviluppo della coscienza di possesso privato, individuale, non più collettivo, la divisioni in famiglie, tutto ciò fa sorgere gelosie, complicazioni, odii, fratricidi.
Caino uccide Abele e, come in tutta la storia del periodo di allora, si notano sempre e ovunque le interferenze dell'elemento divino. Il primo fratricidio, che poi è il primo omicidio, fu occasionato dal fatto che il Signore ha gradito il sacrificio dell'uno più di quello dell'altro. Comunque gelosia.

Nella vita di Rebecca, la moglie di Isacco, che è sterile e che diventa madre soltanto per intercessione delle preghiere del marito, nella vita di Rebecca, diciamo, il grave dissidio tra fratelli si annuncia molto presto, cioè quando Esaù e Giacobbe si trovano ancora nel ventre materno. La madre percepisce lo stato di tensione tra i due minuscoli esseri. Le madri sono sensibili e percepiscono molto col cuore.
E' il Signore stesso che annuncia a Rebecca che la lotta fra i due piccoli esseri va proiettata sullo schermo della storia futura: i due bambini sono destinati ad essere in futuro i capi di due stirpi, fra cui non ci sarà pace e armonia. Esaù sarà capostipite degli Edomiti, Giacobbe di Israele. Ecco che lo stesso corpo della madre, della donna gestante, diventa il campo di battaglia.


Come la vita, così anche il riflesso della vita, la storia viene considerata come l'eterna contesa, un'eterna lotta, come una espressione dell'eterna necessità di affermarsi e per conseguenza necessità di negare il diritto di affermarsi, se non addirittura di vivere, ad altri.
E' così che si vive ed è così che le madri, generando figli, preparano nuove contese, nuove lotte, nuovi lottatori, nuove sconfitte, nuove uccisioni nuove vittorie; i vincitori diverranno, tosto o tardi, vittime di altri vincitori. Ecco un triste quadro della concezione della vita e della storia.
Il desiderio di rinchiudersi in sé da parte di chi è nato in una data stirpe, significa esclusione di altri, ed è così che le varie stirpi, i vari gruppi, i vari partiti, i tanti uomini non vanno più in cerca l'uno dell'altro per amarsi, ma per sopprimere l'uno l'altro e, ove ciò non fosse possibile, per reprimerlo, per comprimerlo, e -in extremis- sopprimerlo. Ed è così che gli oppressi hanno un solo sogno e un solo desiderio: diventare oppressori. Nascono le tempeste nella storia; di una di quelle tempeste parla Isaia profeta (10,33-34).


E a Betlemme vi è una madre fuggiasca, senza patria.
E' la sorte dell'antico cristianesimo, il quale per crescere ed affermarsi deve vivere così come ha vissuto il Cristo stesso: la volpe ha la sua tana, l'uccello il suo nido, ma il Figlio dell'Uomo non ha dove posar la testa. Gesù Cristo è il Figlio della Donna sublime, che non trovava un posto dove partorire il suo Divin Figliolo, e fu così che ella si avvia verso la stalla per partorire il suo Fanciullo, tra gli animali. Fra gli uomini la Madre di Dio non trovò un posto dove partorire; suo Figlio non trovò un posto dove dormire.
I primi cristiani sentivano la grandezza e la santità di essere senza patria, sempre raminghi, sempre espatriati, sempre pellegrini, pellegrini sulla terra che essi percorrono per trovare la via, che li condurrà al Padre nei cieli.
Maria è la madre di Colui che fonderà un Regno anch'Egli, ma non sarà un regno di questo mondo. Sarà perseguitato, oppresso, odiato anche Lui, e andrà incontro alla Passione e alla morte, ma non già in seguito a una contesa per dominii, ma per essere stato un lottatore strenuo contro il male, per aver vissuto per un più grande amore, per quell'amore che verso tutti si protende, che tutti chiama, che tutti ama, tutto sopporta, a tutti perdona, anche ai nemici.



[Eugenio Pio Zolli; "Da Eva a Maria"; 1954]

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