martedì, dicembre 29, 2009

Carenza di Bosforo / 6

Ovvero: "Il basileus che siede a Costantinopoli vince sempre."
_____ Cecaumeno, Strategikon (XI secolo d.C.)


L’archimandrita Tichon Sevkunov del monastero moscovita della Presentazione al Tempio, è il padre spirituale di Vladimir Putin.
Racconta l'archimandrita: "è venuto da noi in Chiesa, poiché il nostro monastero è situato non lontano dal suo precedente posto di lavoro". Il monastero della Presentazione è, infatti, vicino al palazzo della Lubjanka, sede del Kgb.

L'archimandrita Tichon salì all'onore delle cronache quando nell'anno Domini 2000 si mise alla testa di una campagna contro l'introduzione del codice fiscale considerato come l'apocalittico marchio dell'Anticristo. Ci fu bisogno di un solenne intervento del Santo Sinodo del Patriarcato di Mosca che negò ogni legame tra i codici a barre e il numero della bestia dell'Apocalisse.
Nell'aprile 2002, in un periodo di forti tensioni tra il Vaticano e il Patriarcato Moscovita, la rivista 30 Giorni dava conto di un'intervista al quotidiano Izvestija in cui l'archimadrita Tichon definiva Putin: "un cristiano ortodosso vero, e non solo per modo di dire. Un uomo che si confessa, fa la comunione ed è consapevole della responsabilità che ha dinanzi a Dio per l’alto compito affidatogli e per la salvezza della sua anima". E accompagnando l'ascesa dell'anima di Putin, Tichon Sevkunov è divenuto il punto di riferimento dei "teo-con" russi.
Per lo slavista Adriano Dell'Asta si tratta niet'altro che dei vecchi ideologhi sovietici riciclati: "I neoconservatori rivendicano una parentela con Solzenicyn, ma le loro posizioni sono agli antipodi. Questi autori parlano di espansione della Russia, invece la prospettiva che Solzenicyn indicava al potere era di rinunciare al perseguimento della via imperiale e di rivolgersi a uno sviluppo interno politico e umano, vero ambito della grandezza russa."

Or dunque: telegenico, sorridente, con lunghi capelli chiari raccolti in un codino, e con tanto di diploma in cinematografia, l'archimandrita Tichon in un cortometraggio realizzato nel 2008 con la benedizione del Cremlino, espone e pubblicizza l'ideologia "teo-con" imperialista russa di stampo putiniana. E del resto, l'imperialismo russo -anche quello sovietico- ebbe sempre come proprio ideale l'impero ortodosso di Costantinopoli: si deve a Stalin il potenziamento gli studi bizantini nelle università sovietiche.
Nel proprio saggio "Lo Stato Bizantino" la bizantinologa Silvia Ronkey osservava che non è un caso che la bizantinistica russa sia la più suggestiva del Novecento: "Il sospetto che l'analisi del passato bizantino sia debitrice di un'osservazione del presente sovietico riaffiora continuamente negli studi della generazione che fu annunciata da Levcenko. Il che non ne compromette la validità e lucidità. Anzi, l'attualizzazione dei problemi, la loro proiezione nel presente, ha fatto sì che gli studiosi dell'ex Urss abbiano nutrito verso Bisanzio un interesse meno casuale e meno marginale di altre culture europee."


Propongo di seguito ampli stralci del commento che (la Stampa 25 Marzo 2008), con la perfidia degna di una basilissa, Silvia Ronchei fa delle tesi dell'archimandrita:

« “La distruzione dell’impero: una lezione bizantina” è il titolo del cortometraggio di 45 minuti in cui Sevkunov passa dalle cupole innevate di Mosca a quelle di Santa Sofia a Istanbul e di San Marco a Venezia. Qui, davanti al celebre tesoro che include il bottino della conquista crociata di Costantinopoli nel 1204, il regista-narratore lancia l’accusa centrale: fin dal protocapitalismo delle repubbliche mercantili il rapace Occidente ha dissanguato il millenario impero bizantino, custode dei valori dell’ortodossia e della tradizione antica. Ha arraffato e predato quel che poteva — “Guardate, guardate, qui tutto è bizantino”, mostra Tichon alla cinepresa — per abbandonare poi Costantinopoli all’orda islamica del 1453.

L’equazione è chiara. Lo stesso accade oggi alla Terza Roma, Mosca, erede dell’autocrazia bizantina fin da quando il matrimonio del Gran Principe Ivan III con l’ultima erede dei Paleologhi trasmise al nascente impero russo il DNA di Bisanzio. Ma è altrettanto “genetico”, secondo il film, l’odio antibizantino degli occidentali. Se il primo errore di Bisanzio era stato fidarsi dell’Occidente [...] lo stesso può accadere alla Russia di oggi, insidiata dallo “spirito giudaico dell’usura” che anima il demone del capitalismo americano.

Bisanzio è caduta perché si è lasciata contagiare dalla modernizzazione importata dai mercanti genovesi e veneziani, infiltrare dal “satanico spirito del commercio” e del profitto. Oggi rischia lo stesso la Russia, minacciata dagli imprenditori americani e tradita dagli avidi oligarchi loro alleati.

“Lotta contro gli oligarchi” è chiamata senza mezzi termini la campagna vittoriosa di Basilio II contro i “ricchi e potenti” dell’impero. [...] Perché i veri traditori dell’impero, quelli che lo consegnarono all’Occidente, si annidavano all’interno della classe dominante, esattamente come oggi in Russia. Solo dimostrando che neppure la ricchezza può proteggerli dalla prigione gli oligarchi possono essere domati e trasformati in apparatciki, come nell’XI secolo i “ricchi e potenti” dell’impero erano stati costretti nei ranghi della burocrazia di corte al servizio dell’autocrator.
[...]
Così, mentre Solgenitsin è ormai uno sbiadito revenant che nessuno ascolta, è il fantasma di Stalin nell’immaginario dell’intelligencija, e nei talk show televisivi una vecchia leva di bizantinisti direttamente passati dalla fede nel partito a quella nella chiesa proclama apertamente: “L’Occidente è sempre stato contro Bisanzio così come è oggi contro la Russia”. E mentre nelle librerie di Mosca e Pietroburgo i libri di storia bizantina vanno a ruba, l’antico antioccidentalismo dei grandi reazionari contagia in versione mediatica le masse.»

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