giovedì, marzo 14, 2013

DOMINUM GEORGIUM MARIUM

Ovvero: IL GELO SULLA TERRA


Ringrazio Dio di aver nuovamente vissuto l'esperienza di essere in Piazza San Pietro al momento della fumata bianca; di aver potuto condividere con tanti buoni cristiani (qualcuno un po' esaltato per i miei gusti) l'attesa, la preghiera, le lacrime di gioia; così come lo sguardo commosso quasi ancora incredulo di un ragazzo argentino e le reazioni esterrefatte di un gruppetto di cultori della messa tridentina. Ma soprattutto ringrazio l'Onnipotente di non aver dovuto patire nell'attesa dell'habemus papam gli scomposti miagolii di Bruno Vespa.
Ho così assistito all'immediata alzata di mani impugnanti YPad rispetto ai telefonini del 2005, e al coro di strilli impazienti verso quelli più avanti che continuavano a tener aperti gli ombrelli o sventolavano bandiere, impallando la visione della loggia centrale della basilica: inutile tentare di avvisare che prima di una cinquantina di munuti il nuovo pontefice non si sarebbe affacciato di certo.
Ho notato la discreta sincronizzazione tra fumata bianca e il suono del campanone e soprattutto - rispetto al 2005 - il silenzio che ha paralizzato gli applausi della folla al sentire pronunciare l'inaspettato nome "Giorgium Marium"! Un silenzio che ha permesso al protodiacono di procedere celermente con lo svelamento del cognome. Solo l'annunzio del nome pontificale ha sciolto lacrime, sorrisi ed applausi, nonchè i primi cori dei sudamericani inneggianti ritmicamente a papa "Francisco".
E poi quello che in tv non si vede: l'apririsi in contemporanea delle finestre dei quattro balconi che affiancano la loggia centrale, che si riempiono di cardinali, e la folla che applaude al buon lavoro fatto dai porporati. Finalmente lo scatenersi dell'ovazione popolare all'appare del "bianco" successore di Pietro, nelle cui nuove vesti fai difficoltà a riconoscere il "nero" cardinal Bergoglio. E si appalaude mentre con simpatia si intuisce il timore e tremore di papa Francesco che guarda sotto di se la piazza stracolma, mentre sento salire dal gruppetto dietro le mie spalle alti lai di fronte alla carenza di mozzetta pontificia.
Sarà la novità di un viso che nella fantasia mai hai immaginato vestito da papa, sarà la bianca veste che il neo-papa indossa con disagio, saranno le luci dei riflettori puntati sulla loggia delle benedizioni, che genera nella mia mente come la sensazione di stare sul set di una delle tante fiction della Rai sulla vita dei papi.
Se non sbaglio una fiction su Pio XI non è stata ancora messa in cantiere e mentre, stando in mezzo alla folla plaudente, guardavo a quell'uomo com gli occhiali vestito da papa ho pensato che sarebbe stato un buon candidato al ruolo: un carattere deciso e volitivo, dietro il bonario sorriso, un papa che non ha remore ad imporre il proprio punto di vista sin dalla stanza delle lacrime.
Il "prete" Bergoglio sin da subito pone in essere la propria capacità di sintonizzarsi con l'immaginario collettivo del cattolicesimo popolare che - nonostante ci siano abbondanti immagini di Benedetto XVI, Giovanni Paolo II, Giovanni Paolo I, Paolo VI, Giovanni XXIII in abito corale -  percepisce il papa come il "vescovo vestito di bianco" (non a caso così lo vedono i pastorelli della Cova d'Iria!), oggetto di una tradizionale devozione popolare - molto più antica di ogni neotradizionalista feticismo per le mozzette bordate d'ermellino - che identifica il buon cattolico nel cultore dei "tre amori bianchi": l'Eucaristia, l'Immacolata e il Papa. Perciò il muovo pontefice ha voluto farsi vedere alla loggia delle benedizioni  esattamente come il secolarizzato uomo della strada vede il papa, come il pietismo spicciolo del catttolicesimo militante degli ultimi due secoli ha esaltato il "candore" del "bianco padre", quasi ipostasi della immacolata ostia. E il popolo non poteva non intuire tutto ciò.
E se nella storia recente della Chiesa i papi "buoni" come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II per la loro simpatetica indole pastorale sono stati definiti "parroco del mondo", papa Francesco sin da subito chiarisce il suo ruolo premimente e peculiare di "Vescovo di Roma". Pur sapendo benissimo che in piazza non ci sono solo romani egli si rivolge alla folla come se fosse il "popolo romano" al quale umile si inchina chiedendo una benedizione che ratifichi l'elezione fatta dal "senato ecclesiatico", come se fosse un eligendo pontefice della Roma di prima dell'anno mille.
E con la praticità dei gesti di un vescovo diocesano ha indossato la stola sull'abito piano per impartire la benedizione urbi et orbi, senza cantarla ma con tono retto, per poi subito togliersela da solo dalle spalle con la ferialità con cui un monsignore di provincia benedice una nuova scuola elementare o un centro anziani.
 

Nessun commento: